Contrade di Taurasi story


di Giulia Cannada Bartoli

Maurizio De Simone, Giancarlo Moschetti e Sandro Lonardo con il patròn dell'Abraxas Nando Salemme

I Professori del Taurasi all’Osteria Abraxas
Mai titolo fu piu’ indovinato. Lo scorso 26 febbraio, tra mille timori visto l’inizio di Quaresima, abbiamo ospitato una serata colta progettata da tempo.
Un fantastico blend, di cultura, scienza, territorio, umanità e ironia. Questo hanno trasmesso i Professori di Contrade di Taurasi: il proprietario Sandro Lonardo, l’enologo Maurizio De Simone, e uno dei consulenti scientifici, Giancarlo Moschetti dell’Università di Palermo. Contrade di Taurasi nasce nel 1998 dall’esperienza di molte generazioni di vinificatori della famiglia Lonardo. La volontà di Sandro di creare qualcosa di nuovo nel rispetto assoluto della tradizione porta all’incontro con l’enologo Maurizio de Simone, mentre il caso assoluto è responsabile dell’arrivo di Giancarlo Moschetti, incontrato in un’enoteca napoletana dove, davanti ad un bicchiere di vino, per puro accidente, si scopre essere docente della figlia di Sandro, Enza, oggi parte attiva dell’azienda. Veniamo al racconto, tutti e tre i Prof hanno espresso il meglio della propria verve, passione e professionalità. Una tra le poche volte in cui ho visto un pubblico tra il divertito e il profondamente interessato ad approfondire e a voler sapere di piu’ sui vini e sullo stile enologico decisamente particolare e profondamente identitario. “Un ritorno al passato per un’enologia del futuro”, così hanno definito l’ imprinting dei propri vini i tre professori. L’operazione condotta da Contrade Taurasi in questi ultimi dieci anni si può definire il trionfo della selezione in vigna dei lieviti autoctoni. In contrapposizione con parte delle teorie enologiche attuali, i tre responsabili dell’azienda, insieme ad un nutrito pool di ricerca, a partire dal 2001, con l’isolamento del “Greco Musc”, che non è un clone di Greco di Tufo, bensì una varietà autoctona minore scovata nelle vigne dei contadini irpini che continuavano a vinificarla per la sua bontà e del tutto ignari di cosa fosse, sono arrivati all’isolamento di 19 ceppi di lieviti autoctoni selezionati in vigna.
Si tratta di una delle pochissime uve a bacca bianca, insieme alla coda di volpe, presenti nell’areale di Taurasi. Definito dai contadini “ roviello” o Greco Musc’, semplicemente perché nell’avellinese qualsiasi uva a bacca bianca veniva definita Greco con l’aggiunta di un’aggettivo che ne identificava eventuali caratteristiche diverse. In questo caso, l’aggettivo “musc’” stava ad indicare il fatto che nelle fasi di maturazione i chicchi tendono ad appassire rapidamente soltanto sulla buccia, che diventa rugosa, lasciando integra, ma piu’ concentrata la polpa all’interno. Il Greco Musc’ fermenta in legno medio – grande e sosta 18 mesi sulle fecce. La resa in vino è appena del 45/50% e l’estratto secco si attesta tra 30 e 33, per 14° di alcool. Praticamente un Blanc de Noir, un rosso mascherato da bianco.
La pratica della sosta sur lies, o, sulle fecce fini, è una costante di tutti i vini di Contrade di Taurasi, le fecce delle diverse annate vengono conservate e poi “blendate” con quelle dell’annata corrente, in questo greco ci sono quelle del 2003. Finalmente il vino arriva nel bicchiere: giallo oro carico, brillante e di inusitata consistenza per un vino bianco. Al naso è una sorpresa per tutti, il primo sentore, che precede gli scolastici floreale e fruttato, è la pietra focaia, intensa e affascinante, difficile staccare il naso dal bicchiere. Lentamente, alla distanza. si sviluppano note di mela annurca acerba, fieno, miele di leguminose, tipo sulla e un torbato da whisky. Insomma, intensità e complessità se la giocano sul filo, è difficile dire quale delle due sensazioni olfattive sia prevalente.
Al palato la corrispondenza gusto olfattiva è lineare, freschezza, sapidità e morbidezza si alternano piacevolmente ad ogni sorso. Lunghissima la persistenza aromatica. Le vigne sono a circa 400 metri sul livello del mare e l’escursione termica giorno – notte favorisce i profumi.
Dall’annata 2005, ci racconta Giancarlo Moschetti, tutti i lieviti del Greco Musc’ sono auto selezionati in vigna. L’abbinamento pensato da Nando Salemme, patron di Osteria Abraxas e realizzato dallo chef Tommaso di Meo, giovane promessa del panorama flegreo, è particolarmente riuscito: un tortino di baccalà su salsa di patate e pomodori del piennolo, un misto di sapidità, tendenza dolce e acidità che si è sposato perfettamente con la pietra focaia e la mineralità del vino.
A malincuore lascio da parte il bianco per passare al tris di rossi della serata.
Si parte dall’Aglianico Igt Campania 2006, 100% Aglianico Taurasi: nell’annata 206 il team di contrade di Taurasi opera una scelta coraggiosa: decide di declassare il vino destinato a diventare Taurasi Docg in Aglianico Igt Campania. Il motivo? Mancavano le premesse per un Taurasi corrispondente allo stile aziendale, mentre c’erano tutti gli elementi per produrre un grande Aglianico. Al bicchiere si comprende e si condivide questa scelta. Il colore è quello dell’Aglianico di scuola con la A maiuscola, rosso rubino brillante con note ancora di gioventu’. Al naso è intenso, ancora un po’ vinoso, si avverte la potenza del frutto e già all’olfatto il vino si annuncia elegante e minerale.
La vinificazione è avvenuta per il 50 % della massa in tonneau (doveva diventare Taurasi 2006) e per il restante 50% in acciaio con 20 giorni di macerazione sulle bucce e circa 8 mesi di permanenza sur lies. La fermentazione malolattica che ha parzialmente smussato la potenza del tannino è partita naturalmente, i lieviti naturali e non selezionati – ci dice Giancarlo Moschetti – partono già ad una temperatura di 14° C. L’ingresso al palato è abbastanza morbido, ma si avverte in pieno la possente spalla acida e spigolosa caratteristica dell’ Aglianico, siamo a 6,20 di acidità totale.
Al gusto la freschezza e la moderata morbidezza rendono il vino piacevolissimo da bere, lo abbiniamo alla rivisitazione di polenta con salsiccia e friarielli. Questo vino è un affare, esce a poco piu’ di 6 € oltre iva dalla cantina, compratelo e dimenticate di averlo!
Sua Maestà il Taurasi entra in sala, a pochi giorni dall’uscita ufficiale dell’annata 2005, partiamo dalla 2004, quella a cinque stelle, austera, elegante e longeva. Questi caratteri si confermano nel bicchiere, l’ulteriore permanenza in bottiglia di oltre 15 mesi rispetto al mio ultimo assaggio del dicembre 2007, ha regalato al vino complessità ed eleganza, adesso si percepiscono delle leggere note balsamiche ed eteree, anche se il vino è ancora giovane sia all’esame visivo che al gusto. Il tannino è abbastanza morbido e fine, ma non è ancora perfettamente fuso, si smusserà di un poco ma resterà spigoloso come il vero aglianico richiede.
Il menu’ intanto prosegue con un primo piatto che richiederebbe ancora il Greco Musc’ che ho conservato nel bicchiere: fusilloni di Gragnano con cime di broccoletti in crema, acciughe di Sciacca e vellutata di patate a pasta gialla.
Arriva la sorpresa della serata, il Taurasi Riserva 2003 che non era in programma: 180 giorni di macerazione sulle bucce, l’annata 2003 si sa, è stata terribilmente siccitosa, il tannino è leggermente amaro e decisamente ancora acerbo. La struttura del vino s’intravede, il colore è rosso rubino appena tendente all’aranciato, di buona trasparenza, grazie alla lunghissima macerazione, al naso si avvertono il fruttato maturo, le spezie tipiche del taurasi ma soprattutto la mineralità che ritorna al gusto. Stavolta l’abbinamento con il piatto riesce meglio: mezzanini di patate fatti a mano con gustoso di maiale e pomodori secchi di casa, tendenza dolce della pasta, grassezza e untuosità del sugo, leggera acidità del pomodoro secco si sposano perfettamente con la freschezza e mineralità di questa Riserva che adesso sono prevalenti. In poche parole: il 2004 E’, il 2003 SARA’.
Siamo al botto finale: Taurasi 1999. Questo vino potrebbe essere utilizzato come caso di scuola: così dovrebbe essere il Taurasi, cioè devono passare almeno dieci anni per il pieno apprezzamento, per lo svolgimento e l’evoluzione piena dei suoi componenti. Il vino è elegantissimo, intrigante, siamo molto vicini al goudron, il tannino è vivo e morbido, altrettanto presenti freschezza, mineralità e sapidità. Al naso è complesso, ci sono tutti i markers sensoriali del Taurasi, avvertiamo tutti gli aromi terziari fino al goudron appunto. La frutta non è morta, è soltanto evoluta ed il colore è straordinariamente vivace. Abbiniamo una locena di maiale a lunga cottura con il suo fondo e scarolella alla carrettiera, piatto strutturato, tendenza dolce del grasso della carne e leggera untuosità del fondo si sposano bene al vino.
Insomma è un vino importante, ma, ci dicono ancora Moschetti e De Simone, non mitizziamo, il vino è pur sempre una bevanda. Della serie non prendiamoci troppo sul serio…
Chiudiamo in dolcezza con una crema di canditi con biscotto al cioccolato e meringa di grano e, sarà stato il cioccolato, ma il Taurasi ’99 dei professori ci stava alla grande.
L’abbinamento più riuscito? Il divertimento, la passione, l’auto ironia, la profonda amicizia e rispetto reciproci che i tre professori di Contrade di Taurasi hanno saputo trasmettere.