Coronovirus e vino. Roberto Bruno, Fontanafredda: la grande lezione di questa crisi? Imparare a diversificare, il web non sostituirà il rapporto diretto


Cosa sta succedendo nel mondo del vino? Abbiamo rivolto domande a chi sta in trincea, cioé a coloro che lo vendono. Dopo Leonardo Vallone , Dario Pennino e Dominga Cotarella, abbiamo girate alcune domande a Roberto Bruno, direttore  di Fontanafredda, la storica azienda piemontese acquisita dal 2012 dal gruppo di Oscar Farinetti.
Segnaliamo anche le interviste a Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi, e l’intervento di Donatella Cinelli Colombini, fondatrice del Movimento Turismo del Vino.

Roberto Bruno, direttore di Fontanafredda

La prima domanda che mi viene da fare è: sta cambiando il tuo lavoro? E come?

Il mio lavoro è inevitabilmente e profondamente cambiato. Il Coronavirus ha messo il mondo sotto chiave e lo stop ai viaggi è stata una dei primi effetti dell’isolamento forzato. Mi sono dovuto fermare e per me, abituato a viaggiare per il mondo per oltre metà del mio tempo, è stato un trauma. Vado in azienda ogni mattina ma le giornate di lavoro scivolano via sospese, senza tempo. Da subito ho annullato quasi tutti i momenti di lavoro in presenza fisica, i miei collaboratori lavorano tutti i modalità smart-working e con loro interagisco quotidianamente sulle diverse piattaforme digitali. Ogni giorno programmo almeno un paio di video conferenze con i nostri interlocutori esteri che avrei dovuto incontrare di persona soprattutto in occasione delle fiere di settore che si sarebbero dovute tenere in questo periodo.
Da un certo punto di vista, la situazione attuale mi fa tornare indietro nel tempo, a quando ho cominciato ad occuparmi di export oltre 20 anni fa. Allora muoversi era molto più complicato per tempi e per costi. Si cercava, quindi, di ottimizzare e ridurre il numero di viaggi al minimo. Oggi però, a differenza di quanto non fosse possibile fare negli anni novanta, abbiamo la tecnologia che ci aiuta ad annullare le distanze e a comunicare in tempo reale come se si fosse nello stesso luogo dei nostri interlocutori. Certo, il viaggio e l’incontro di persona con un cliente attuale o potenziale è sicuramente molto importante perché la sua fidelizzazione passa anche attraverso la relazione umana. Tuttavia a causa del Coronavirus ci dovremo abituare all’idea di un “export senza viaggi” all’estero almeno per un bel po’ di mesi visto che, a quanto pare, i “travel ban” che quasi tutti i Paesi del mondo hanno imposto dureranno ancora molto a lungo. Per questo motivo, insieme al mio team, stiamo dedicando buona parte del nostro tempo alla riconsiderazione delle strategie, dei mercati o dei segmenti di mercato su cui puntare di più, ma anche alla revisione di alcuni aspetti della catena del valore, della logistica e, anche se solo momentaneamente, di alcuni modelli di business. Oggi del resto possiamo disporre di tutti gli strumenti per analizzare o organizzare un mercato senza visitarlo di persona o per attrarre (o trovare) nuovi potenziali clienti, avviare e concludere trattative anche solo con una stretta di mano virtuale.

Quali contromisure avete preso di fronte al lockdown e al crollo del settore Horeca? Siete presenti anche nella Gdo?

Abbiamo una discreta presenza nel canale moderno in Italia e questo ci ha permesso nell’immediato di compensare le perdite registrate nell’Horeca.

Ma i tempi di uscita da questa pandemia non si prospettano brevi e quindi è evidente che, sebbene per il momento il Coronavirus abbia lasciato intatta la capacità di assorbimento del retail, man mano che si andrà avanti la crisi economica generata da quella sanitaria andrà ad impattare direttamente e significativamente sulla capacità generale di spesa delle famiglie. E’ quindi prevedibile che questa sorta di paracadute oggi offerto dalla grande distribuzione diventi per il vino via via sempre meno sicuro.

Come molte altre aziende vinicole, in questo periodo abbiamo anche cercato di strutturare meglio e di potenziare la nostra presenza nel segmento Direct-to-Consumer. Del resto il lockdown ed il confinamento forzato hanno portato i consumatori di vino a ricercare nuovi canali di approvvigionamento anche grazie alle grandi opportunità offerte dalla rete. Da qui il grande successo registrato dalle vendite on-line. In questo ambito possiamo dire che il Coronavirus si sta rivelando uno straordinario acceleratore di tendenze perché la crisi ha di fatto spalancato nuove, importanti prospettive per l’e-commerce del vino che finora in Italia aveva avuto un peso marginale nel mercato, seppure in costante crescita. Per noi produttori approcciare questo canale significa, assieme ad una migliore comprensione del mercato, essere personalmente coinvolti nel coltivare il rapporto col cliente finale, tenere il polso di ciò che il pubblico desidera e ricevere dei feedback immediati. Tuttavia non credo che l’on-line farà scomparire l'”on-land” del vino, rappresentato soprattutto delle enoteche, molte delle quali hanno potenziato la propria attività di e-commerce e i servizi di home-delivery. Personalmente resto convinto che i due canali si integreranno e si completeranno a vicenda, di più e meglio. I negozi specializzati diventeranno sempre più una vera e propria “destinazione”, più che un luogo di transito; uno spazio di esperienza per il consumatore ma anche di valorizzazione per i produttori, le filiere e i territori. E la modalità di acquisto, se diretta in negozio o on-line, a quel punto sarà meno rilevante.

Quali sono le tendenze di acquisto tra i consumatori in questo momento?

Il Coronavirus sta incidendo significativamente sulle aspettative e sui comportamenti dei consumatori. Complice lo stop forzato delle attività commerciali, il consumo di vino all’interno delle mura domestiche sta crescendo sensibilmente. Almeno momentaneamente, ai consumi “fuori casa” subentrano quelli “in casa”, con tutto ciò che ne consegue. La socialità e la convivialità che sono sempre stati aspetti intrinsechi ed inscindibili della nostra cultura di bere vino lasciano oggi spazio ad un modo più “intimo” di vivere il vino, più privato e familiare, senza però perdere il desiderio di condivisione. Una condivisione che oggi diventa sempre più socialmente mediatica. In questo ambito stanno proliferando ovunque nel mondo iniziative di “virtual socialising” lanciate da produttori, sommelier o wine blogger che, promuovendo il consumo “dal divano”, aiutano i brand alla fidelizzazione e i wine lovers a non sentire troppo la distanza rispetto al mondo che li appassiona.

In merito ai trend : osservando il mercato del vino al tempo del Coronavirus, tra evoluzioni del gusto, curiosità e orientamenti diffusi su scala internazionale, mi sembra di poter rilevare una generalizzata tendenza a ricercare il miglior rapporto qualità-prezzo per l’impossibilità a permettersi più frequentemente un prodotto premium. Forse la pandemia potrebbe in qualche modo frenare, se non addirittura arrestare, quel processo di premiumizzazione che aveva interessato il mercato del vino negli ultimi anni. Mi aspetto anche un crescente interesse verso i vini locali, nazionali, espressione di un ritrovato spirito di appartenenza e di un istinto di protezione, anche inconscio, che il consumatore potrà avere nei confronti del proprio Paese.

Ci sono degli insegnamenti di questa crisi che le aziende devono applicare per il futuro se vogliono sopravvivere?

A mio avviso uno degli insegnamenti più importanti che questa crisi consegna alle aziende vinicole è quello di puntare maggiormente alla diversificazione di canali e di mercati. Oggi più che mai le imprese stanno lottando contro un nemico invisibile e inesorabile. Molte filiere sono state compromesse e l’incertezza che caratterizza i tempi e i modi di uscita da questa situazione di emergenza ci costringe ad “immaginare” il nostro futuro. Dobbiamo approfittare di questa occasione per reiventarci ed elaborare strategie commerciali più articolate, differenziate e flessibili. Ci vuole un metodo nuovo che ci aiuti ad assumere atteggiamenti più dinamici, a diventare più agili, ad aprirci, a non cullarci su comode certezze, a non avere paura di sbagliare.

Dovremmo anche vincere la tentazione di azzerare gli investimenti in marketing e comunicazione che rappresentano, in momenti di crisi come quelli che stiamo attraversando, una delle prime voci di budget ad essere tagliata. Siamo tutti consapevoli che ci troveremo ad affrontare fasi molto delicate di carenza di liquidità che implicheranno la forte necessità di tenere sotto controllo e razionalizzare i costi aziendali. Tuttavia investire in promozione e in comunicazione in questo momento, magari in forme e contenuti nuovi, potrebbe fare la differenza. Anche perché le classiche modalità di promozione del vino, come degustazioni, fiere, winedinner, saranno “bandite” per un periodo di tempo indeterminato.

Infine, il mercato italiano del vino è fatto di export. Cosa sta succedendo nel mondo?

Va detto che Il 2020 era già iniziato con alcune incognite piuttosto insidiose. Prima fra tutte la minaccia, poi scongiurata, di nuovi dazi americani sull’importazione del vino italiano. A questa si era poi aggiunto il rallentamento dell’economia cinese, peraltro accentuato dalla crisi sanitaria che nel frattempo si stava già manifestando in quel Paese. In ambito europeo, poi, non possiamo dimenticare tutte le tensioni legate alla Brexit. A ciò è poi subentrata l’emergenza sanitaria globale derivante dalla rapida diffusione del Coronavirus, con l’attivazione di misure che hanno progressivamente portato in lockdown ampie aree geografiche, sia in Europa che nel resto del mondo. Tra i Paesi interessati ce ne sono molti che rappresentano mercati di sblocco privilegiati e insostituibili per il vino italiano, Stati Uniti. A pesare è soprattutto il pressoché totale azzeramento delle vendite nell’on-trade, il principale canale per il consumo dei nostri vini in questi Paesi. Per il momento siamo riusciti a compensare con le buone performance dei mercati monopolistici (Scandinavia e Canada) nei quali Fontanafredda storicamente vanta una forte presenza e dove i consumi nel canale Horeca sono marginali rispetto alle vendite nel canale retail. Nelle ultime settimane stiamo assistendo a qualche, seppur timido e non del tutto stabile, segnale di ripresa in Cina e in alcuni altri mercati asiatici. Ed è proprio qui che abbiamo deciso di concentrare ed intensificare gli sforzi dal punto di vista delle attività di pianificazione e sviluppo commerciale nella speranza che in questi Paesi il ritorno alla “normalità” possa  essere più vicino.

Le misure del Governo sono per te sufficienti a sostenere il comparto vitivinicolo?

Penso che la prima e vera emergenza sia la liquidità che va in ogni modo sostenuta. E andrebbe sostenuta attraverso misure straordinarie. Quelle contenute nel Decreto Liquidità sono un primo passo ma le criticità che intravedo sono molte. Il limite dei 25.000 euro per i prestiti garantiti dallo Stato senza istruttoria è basso e soprattutto i tempi di restituzione in 6 anni è troppo breve per la portata storica di questa crisi. Questa liquidità di breve indispensabile per poter ripartire dovrebbe poter essere trasformata in un debito a lungo, almeno a 20 o 30 anni. E poi ci sono i dubbi sulla burocrazia perché le aziende hanno bisogno di tempi rapidi e certi nell’erogazione del credito e procedure semplificate nella copertura delle garanzie pubbliche.

Venendo al comparto vinicolo nello specifico, sono state avanzate in queste settimane diverse proposte per fronteggiare le conseguenze negative lasciate dall’emergenza Coronavirus che ora attendono risposte. Tra queste, l’adozione di provvedimenti per far fronte all’inevitabile, forte eccedenza di prodotto che le cantine si troveranno a gestire a seguito del calo delle vendite e dei consumi e della mancanza di capienza in cantina in vista della prossima vendemmia.  E’ fondamentale creare le condizioni per evitare che speculazioni e ribassi eccessivi dei prezzi portino ad una distruzione di valore per l’intera filiera. Vedo con favore a misure per incentivare la vendemmia verde o il ricorso all’ammasso privato per una parte del quantitativo in che giacenza, soprattutto per i vini di maggior valore e dalla longevità più accentuata come il Barolo. Ritengo inoltre auspicabili la concessione di proroghe nella tempistica delle domande OCM e di deroghe nell’esecuzione dei programmi promozionali sui paesi terzi considerando che molte attività già pianificate non potranno più essere svolte. Infine non va dimenticato il comparto enoturistico che avrà bisogno anch’esso di essere sostenuto e rilanciato con misure specifiche alla luce anche dei tanti investimenti per l’accoglienza in cantina messi in campo negli anni da tantissime realtà del vino italiano.