Ecco i dolci dell’Immacolata nel Sud


di Alfonso Sarno

Quali dolci dell’Immacolata al Sud? Niente novena con gli zampognari, i biferari che Stendhal non amava e li definiva nei “Ricordi di Roma” “dettratori della buona musica; coperti di montone arrivano quindici giorni prima di Natale e ne ripartono quindici giorni dopo”; niente affollate, suggestive cerimonie religiose, mercatini e via dicendo. La festa dell’Immacolata Concezione al tempo del coronavirus si gioca tutta all’interno della famiglia ma – attenzione, secondo le disposizioni governative – non allargata. Ed allora non rimane che rifugiarsi tra pentole, padelle e fornelli omaggiando la mamma di Gesù con un buon pranzo da concludere con gli immancabili dolci. Preferibilmente di tradizione, con sul buffet il cartoccio in bella vista da saccheggiare mentre si preparano l’albero ed il presepe visto che la Campania insieme con altre regioni del Sud ha la fortuna di avere una bella storia di dolci strettamente legati alla ricorrenza e per lo più nati nelle nascoste cucine monastiche.

Come il roccocò, goloso dolce napoletano che tradizionalmente conclude il pranzo dell’8 dicembre inventato nel 1320 dalle monache del Real Convento della Maddalena quando, da esperte pasticciere, sposando armoniosamente farina, mandorle, zucchero, cedro, scrozetta d’arancio e pisto ovvero un miscuglio di cannella, noce moscata, chiodi di garofano, anice stellato e coriandolo crearono queste originali ciambelle che chiamarono roccocò, dal francese “rocaille” – roccia – proprio per la loro caratteristica di essere un cibo spaccadenti. Da gustare, dunque, bagnati nel vin santo o in un casalingo vermut. Altra dolcezza campana, secondo alcuni nata in quel di Castellammare di Stabia sono le zeppole dell’Immacolata: fatte con pasta lievitata, senza uova, e poi immerse in uno sciroppo di miele e zucchero e decorate con i “diavulilli”, confettini dai variegati colori. A piacere si possono arricchire con un accenno di profumato anice ed aggiungendo all’impasto delle patate bollite.

Simili alle campane zeppoline sono i calabresi cuddurieddi o cullurielli conosciuti anche con il nome di crispelli o crespelle: immancabili sulle tavole dell’8 dicembre e della vigilia di Natale sono delle ciambelle di pasta lievitata fritta composta di acqua e farina a cui si possono aggiungere delle patate per ottenere un impasto più soffice passate, una volta pronte, nello zucchero semolato. Il dolce calabro fa ritornare alla memoria le dimenticate crespelle salernitane ricordare dal medico-gourmet Achille Talarico nell’introvabile, raro libro “Gastronomia salernitana”. Raccolta di storie, tradizioni locali e di ricette: tra queste, appunto le crespelle, farcite con un composto di cioccolato grattugiato sciolto in acqua bollente, zucchero e nocciole abbrustolite, private della pellicola e tritate finemente. A completare il tutto pezzetti di canditi “per lo più cedronata, zucchero a velo, vanigliato o mescolato a polvere di cannella (oppure miele secondo alcuni) e numerosi “diavolilli”, che sono quei confettini multicolori pressocchè microspopici, tanto cari ai fanciulli di un tempo”.

“Nel giorno dell’Immacolata, la prima preparazione di pettole, nel giorno della Candelora, l’ultima”: questo proverbio rende efficacemente l’idea di come in Puglia le pettole che troviamo, però, anche in Basilicata, scandiscano il tempo festivo. Cosa sono? Pallottole di pasta sempre lievitata molto morbida, fritte nell’olio e passate nel miele e nello zucchero. Nella barocchissima Sicilia, invece, il dessert prevede il petrafennula, durissimo dolce fratello del roccocò fatto con miele, mandorle, bucce di cedro e arance, confetti e cannella e – per quanto riguarda le tipicità locali – la nipitidda a Messina ovvero pasta sfoglia ripiena di fichi secchi, noci, mandorle, spezie, marmellata ed un po’ di cioccolato e, a Palermo, il buccellato, antico dolce a forma di ciambella, pasta frolla farcita con uva passa, fichi secchi, mandorle, scorza d’arancia, pistacchi e decorata con frutta candita e cioccolato.

dolci dell’Immacolata al Sud