E se tutti i vini di Caserta (o della Campania) diventassero Falerno doc?
Una bella serata al Pontelatone e Pallagrello Festival in attesa delle prime refole serali dopo la degustazione di dodici Casavecchia. Mi viene qui, proprio dalla chiacchiera al Wengè Bar di Francesco Scaramuzzo, l’idea che adesso vi trasmetto.
Quale? Questa: riunire tutta la produzione certificata a marchio europeo in una doc unica della provincia di Caserta e chiamarla Falerno.
Attualmente il casertano ha ben tre doc: Apsrinio, Casavecchia Falerno, Galluccio a cui si affiancano due igt, Terre del Volturno e Roccamonfina. Nonostante tutte queste doc caserta è poco pià di una goccia nel mare del vino campano che a sua volta è una goccia di quello italiano.
Per qvere una idea, ecco una scheda ricavata dal blog di Marco Baccaglio I Numeri del Vino.
I tempi cambiamo e l’accelerazione degli ultimi anni impone una riflessione profonda sulla comunicazione. Se per una fase storica è stato giusto rivendicare la specificità territoriale tipica del vino e di ogni produzione agricola, ora bisogna avere la capacità di semplificare la complessità se si vuole essere vincenti nei messaggi. Serve un cambio di mentalità radicale anche se mi rendo conto che l’Italia è sempre più legata al piccolo mondo antico dell’era pre internet.
La prima difficoltà quando si gira per il mondo è spiegare dove si trova l’azienda, e quello che per noi è centrale e scontato per tutto il resto della popolazione mondial non lo è . Facciamo u ngioco: quanti di voi mi sanno dire con precisione dove si trova lo stato americano dell’Utah? Eppure si tratta di un territorio grande dieci volte la provincia di Caserta.
Inutile farsi illusioni,a parte Roma, Venezia, Vesuvio e Sicilia pochi toponimi itliani potrebbero essere indicati come tali da un cinese o da un americano medio.
Quindi, data per scontata la qualità del vino, il primo tema è trovare un nome facilmente comunicabile. In Campania abbiano l’esempio del Sannio che ha organizzato il sistema delle doc creandone una provinciale con sottozone delle vecchie e storiche doc cone Guardiolo, Solopaca, Taburno.
Falerno mi sembra la soluzione giusta, con un nome storico, evocativo e che si riallaccia alla storia dell’Antica Roma che da sempre appassiona gran parte degli abitanti del nostro piccolo pianeta. Tutte le altre potrebbero diventare delle sottozone.
Sento già le obiezioni all’italiana, magari di chi già gode di questa denominazione e vuole manterne il privilegio o da parte di chi invece non vuole rinunciare alla propria identità.
La risposta è molto semplice: i numeri sono infinitesimali per le dimensioni modniali e la concorrenzza non riguarda le altre aziende della provincia. Questda un lato, dall’altro a cosa serve conservare una identità che altrimenti è destinata alla estinzione o nel migliore dei casi, alla dimensione amatoriale?
Nei mesi scorsi l’assessorato all’agricoltura ha spinto per il Campania doc, fossi io l’assessore avrei proposto Falerno doc o Vesuvio doc per indicare dove siamo, da dove veniamo e su che suoli abbiamo le viti. Chi non conosce la storia di Pompei.
So bene che questa mia proposta mi attirerà molte critiche, ma credo che vada fatta lo stesso.
Bisogna ragionare lungo e in modo commerciale, come ha fatto Zaia che ha esteso la doc Prosecco fiino al paese fripur di tutelare il nome.
Le nuove forme di comunicazioni impongono un cambio di mentalità radicale se non si vuole soccombere, la Campania è piccola ma ha una ricchezza di biodiversità e di storia come poche altre regioni del vino al mondo e può giocare bene le sue carte in un momento cui il vino per essere cool dovrà smettere di parlare di portainnesti e percentuali di solforosa, vitigni e tostature di legno, per tornare a raccontare la cultura e la passione che sono sempre state alla base del suo successo ormai trimillenario.
Una cosa sono le degustazioni professionali, le analisi da laboratorio, altra è la velocità di comunicazione che i tempi moderni impongono. Non usare le armi che la storia ci ha consegnato è semplicemente da folli.
Può non piacere, l’alternativa è assistere senza fare nulla alla fine di un’epoca, bella, bellissima, ma passata. Proprio come è accaduto al mondo della carta per l’informazione.