Eugenio Signoroni:”I social non potranno mai sostituire le guide, sono il vecchio passaparola. Ma le guide vanno ripensate”


Eugenio Signoroni

Eugenio Signoroni

Ormai in Italia Osterie Slow Food sembra essere l’unica guida specializzata in grado di competere con la Michelin. Occupa un campo completamente diverso, è quasi complementare. Forse questo è il suo segreto. A differenza delle altre, la troviamo ben distribuita ovunque. Su Mattino e sul Gazzettino di Venezia abbiamo pubblicato questa intervista ad uno dei due curatori, Eugenio Signoroni, che vi riproponiamo volentieri.

di Luciano Pignataro

Sono ormai otto anni che Eugenio Signoroni, classe 1983, cura la Guida Osterie di Slow Food insieme a Marco Bolasco. Un successo editoriale importante che racconta la trasformazione delle trattorie italiane e l’evoluzione del gusto e dei nostri costumi a tavola. Si può dire, senza essere retrò e populisti, tanto meno sovranisti, che la gastronomia italiana si regge ancora sulle osterie e le trattorie a gestione familiare. Questo mondo, quasi completamente evacuato dalla critica fighetta e purtroppo, negli ultimi anni, anche dalle guide specializzate, vive di passaparola, di segnalazioni di TripAdvisor ed è presidiato da Slow Food con questa guida.
Eugenio Signoroni, come di consuetudine avete presentato la vostra guida al Salone del Gusto di Torino. Quali le novità?
«Quest’anno la più importante innovazione riguarda proprio i bere che è diventato importante quando si va in trattoria, abbiamo per questo ridisegnato il simbolo della bottiglia. Forse all’esterno non significa nulla, ma per noi è una piccola grande rivoluzione perché è stato il primo ad essere introdotto nella guida. Una carta dei vini dei vini contemporanea è una delle cose qualificanti che ogni trattoria e osteria per noi deve avere».
Beh, i tempi dello sfuso forse sono lontani e piacciono a qualche nostalgico anche se dobbiamo dire che ce ne sono i ottimi in circolazione. Quale altra cosa nuova che troveremo?
«Piccola rassegna di locali attenti all’uso dell’olio extravergine in cucina e in sala. Si tratta di un altro elemento dirimente nella valutazione di un locale. Per il resto abbiamo lavorato in continuità con il passato coniugando le osterie storiche più radicate con quelle fondate da giovani. In totale 1617 schede su quasi duemila visite. Un grande lavoro di ricerca».
Ma oggi cosa è una trattoria? Come possiamo definire questo segmento della ristorazione?
«Questo termine racchiude un numero molto elevato di locali. Credo sia un problema di atmosfera, con un oste in grado di guidare il cliente attraverso le proposte del locale e le peculiarità del territorio con i prodotti e le tradizioni. Una cucina appagante e riconoscibile rispetto al contesto in cui opera. Rappresentano il loro territorio attraverso la materia prima. Infine un prezzo giusto, sui 35 euro tra antipasto, primo secondo e coperto».
Come sta cambiando questo mondo dal vostro punto di vista?
«L’osteria si è più consolidata come modello, ma è una forma che ha molte sfaccettature. Non stanno scomparendo, è magari più difficile scovare quelle che fanno buon lavoro, abbiamo infatti tante che non hanno né arte né parte con materie prime di bassa qualità. Importante anche l’uso delle tecniche aggiornate, che non deve essere ristretta solo all’alta ristorazione. Le nuove generazioni hanno portato più consapevolezza del loro mestiere in questo ambiente e noi cerchiamo di darne conto. Molti locali non ne hanno l’anima, lo spirito. L’osteria non c’entra non deve inseguire il ristorante, ma mantiene forte la propria identità».
Si può essere ottimisti?
«Le nuove generazioni si sono integrate nel percorso con grande armonia, portando il loro punto di vista ma restando all’interno del solco del locale a loro assegnato».
Perché l’italiano preferisce la trattoria?
«Lo sente più vicino, più alla sua portata. C’è ancora un forte rapporto con la cucina della bisnonna più che della nonna. C’è maggior vicinanza alla cucina di casa. Atteggiamento di paura nei confronti di una ristorazione vissuta a torto come qualcosa di lontano, inarrivabile, difficile da capire.
Una domanda fondante: ma ha ancora senso fare un guida cartacea?
«Il cartaceo ha ancora un grande valore. Funziona ancora molto bene nonostante il calo generalizzato. Come vendite siamo appaiati alla Michelin, forse un po’ sotto in libreria, ma davanti al Gambero e alle altre. La app ripercorre la modalità della guida cartacea e va molto bene. Nella nostra guida chi la compra sa quello che trova, visitiamo tutto in anonimo valutando informalità, cucina appagante, prezzo giusto».
I social non vi stanno togliendo terreno?
«I social sono la forma moderna, certamente più veloce e più ampia, del vecchio passaparola. Ma la Guida è fatta da persone che sono del settore, è qualcosa in più e se fatta bene mantiene prestigio. In questo il cartaceo è ancora lo strumento più efficace. Nonostante la flessione negli anni, siamo ben lontani dal dire che è morto».
In che direzione vi state muovendo sui contenuti?
«Molta attenzione alla montagna e ci siamo spostati più verso il Sud negli ultimi anni. Nella forma ci sono differenze regionali certo, ma crediamo di aver dato buoan uniformità al nostro lavoro».

2 Commenti

  1. Il problema delle guide, di qualsiasi guida, ma soprattutto di quelle cartacee, è sempre lo stesso: non si può giudicare compiutamente un locale mangiandoci una volta l’anno. Allora riducessero il numero di locali visitandoli più di una volta per giudicarli come si deve, e risulteranno credibili. Fino a quel momento, purtroppo, conterà uno per uno, e per avere un’idea credibile risulterà sempre indispensabile rivolgersi anche ai “blogger” per avere una massa critica sufficiente ad avere un’idea compiuta del locale, al netto del fatto che tutti possano avere la serata storta nella quale mangi male, stellati compresi. E tutto questo ovviamente al netto dei redattori, ognuno ha quelli con i quali ha una maggiore “affinità gustativa” coltivata dopo anni nei quali ci si è trovati d’accordo con le recensioni lette e verificare tramite prova sul campo.

  2. @Me ha colto l’aspetto evidente eppure taciuto, Il piccolo grande blogger che innaffia e coltiva il suo piccolo territorio, che si nutre e si abbevera nelle trattorie nelle osterie e nei locali attorno al suo centro di gravità permanente più e più volte nel giro di un anno è forse più credibile di chi passa una tantum o, molto più probabilmente, non passa nemmeno.
    È evidente che il polso della situazione di un paesino qualunque da Trieste in giù non c’è l’hanno né la Questura di Roma né il Vaticano ma il Carabiniere di provincia e il Parroco…

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