Federdoc, le nuove regole comunitarie mettono a rischio il comparto vitivinicolo italiano


Riccardo Ricci Curbastro

Federdoc, l’organismo che rappresenta le Denominazioni di Origine del Vino italiano, lancia l’allarme sulle conseguenze negative che potrebbero causare le nuove regole comunitarie al settore vitivinicolo, chiamato a confrontarsi con un mercato globale sempre più spietato.

Il momento dell’applicazione delle nuove regole non è immediato, ma le decisioni già prese in materia di liberalizzazione degli impianti e quelle che verranno per la nuova PAC richiedono attenzione, impegno, interventi pertinenti e soprattutto nei tempi giusti: presto potrebbero disegnarsi scenari futuri ancora più difficili e complicati per il comparto, non solo italiano ma anche europeo.

Il disimpegno della Comunità europea verso problemi di assoluta priorità e delicatezza, come quello del controllo e della gestione delle produzioni vitivinicole, così come previsto dalla nuova OCM, potrebbe sconvolgere l’attuale assetto economico, sociale e qualitativo del comparto vitivinicolo italiano, che è il più importante al mondo. Per Federdoc si tratta di una prospettiva pericolosa che intende contrastare decisamente. La liberalizzazione degli impianti senza alcuno strumento di gestione della produzione rischia di destabilizzare l’economia di molte regioni viticole in Europa, in particolare nelle zone di produzione a Denominazione di Origine più importanti. La nuova misura avrebbe conseguenze drammatiche per il vino a DO, che sarebbe improvvisamente investito da fenomeni destabilizzanti come sovrapproduzioni, cadute dei prezzi, speculazioni, perdita dei valori patrimoniali dei vigneti. Verrebbero messi in discussione gli sforzi qualitativi  portati avanti fino ad oggi dai produttori, senza considerare l’improvviso disequilibrio  quantitativo, rispetto al mercato, che la proliferazione dei vigneti e delle produzioni porterebbe in molte zone viticole. La superficie vitata della Cotes-du-Rhone, ad esempio, potrebbe salire da 61.00 a 120.000 ettari, quella del Chianti da 17.000 a 35.000 ettari, quella della Rioja da 60.000 a 200.000

Attualmente il settore vitivinicolo si avvale ancora di uno strumento efficace per gestire le produzioni: i diritti di impianto. Il principio-base è che nuovi vigneti possano essere impiantati solo se supportati da diritti di impianto in mano al viticoltore, o se particolari esigenze di mercato possano richiedere nuovi impianti, attingendo alle riserve regionali. Si tratta di un modo indiretto di controllare la produzione attraverso la gestione del vigneto con l’obiettivo di stabilizzare i prezzi e contrastare le crisi di sovrapproduzione. L’OCM prevede la soppressione al 31 dicembre 2015 di questo regime.  

Attualmente, le aree in cui è possibile produrre vini a denominazione di origine sono strettamente delimitate sulla base di criteri storici, agronomici, e climatici. Le zone delimitate sono molto più ampie delle superfici coltivate, il divario tra le zone delimitate e le superfici coltivate è oggi più di 1 milione di ettari (i vigneti europei sono coltivati su una superficie di 3,4 milioni di ha).

“Sulla questione siamo fortemente impegnati a livello comunitario, oltre che nazionale” – ha sottolineato Ricci Curbastro, Presidente di Federdoc ma anche di  EFOW, Federazione europea dei vini a IG. “Siamo convinti che pur in prospettiva di un regime di liberalizzazione degli impianti possano esserci le possibilità di controllare e gestire le produzioni dei vini europei, anche di quelli non IG, solo che i Paesi produttori lo vogliano e decidano di gestire la situazione singolarmente al proprio interno, naturalmente nell’ambito di nuove norme eventualmente ottenibili anche dalla nuova PAC”.

A favore del mantenimento dei diritti di impianto si è pronunciato il governo tedesco, mentre in Francia il rapporto Vautrin appena presentato al Parlamento francese (18 ottobre) ha sostenuto ugualmente questa tesi.

“Auspichiamo che anche gli altri maggiori Paesi produttori tra cui quello italiano possano presto sostenere questa posizione”, ha concluso Ricci Curbastro.

Relativamente alla nuova PAC, il sistema di politiche e finanziamenti che regola e incentiva il settore agricolo comunitario, attualmente in fase di discussione a livello europeo, Federdoc guarda con particolare attenzione affinché vengano salvaguardati importanti principi di attenzione alle specificità del settore, naturalmente con i dovuti mezzi finanziari necessari.

“Il comparto vitivinicolo ha tutta una serie di specifiche disposizioni normative e di bilancio che nel tempo hanno dimostrato di dare stabilità al comparto – spiega Ricci Curbastro – e queste devono essere preservate. Il vino è il prodotto agricolo più regolamentato. La sua legislazione copre l’etichettatura, le pratiche enologiche, marketing, promozione e molti altri settori e ogni Stato membro ha uno sviluppo nazionale definito dall’OCM. Ciò consente uno sviluppo equilibrato del nostro settore”.

Uno sviluppo garantito in questi anni dalla PAC che, secondo Federdoc, deve continuare nel perseguimento dei suoi principali obiettivi: la produzione di alimenti di qualità per i consumatori e il mantenimento di redditi che permettano agli agricoltori di produrli.

“l’Unione eurpoea è il maggior produttore, consumatore ed esportatore di vini nel mondo – prosegue il presidente di Federdoc – e i vini a denominazione d’origine costituiscono una parte significativa della bilancia commerciale di molti Stati membri. Il nostro modello soddisfa pienamente le aspettative della società e dei consumatori: qualità e tracciabilità, la conservazione della biodiversità e lo sviluppo delle economie locali”.

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