Fiano di Avellino 2010, Villa Diamante e Guido Marsella


Fiano di Avellino 2010 Marsella Villa Diamante

Fiano di Avellino 2010 Marsella Villa Diamante

Fiano di Avellino 2010. Vabbè faccio outing: quella è stata l’unica annata in cui ho pensato di poter fare una azione commerciale nel vino. Comprare un centinaio di bottiglie dei migliori produttori (Clelia Romano, Villa Diamante, Picariello, Marsella) per riproporli in cassette pensate ad hoc dopo un bel po’ di anni. Non lo feci, ovviamente, perché ci si può improvvisare esperti ma non mercanti di vino, ma questo disegno bizzarro, che ho accarezzato per più di qualche giorno, mi è venuto in mente durante un pranzo al Don Geppi di Sant’Agnello vicino Sorrento, locale che ha un’ottima carta dei vini, ampia e profonda, con i proprietari appassionati e competenti.

Siamo a tavola con Alfonso e la barra va subito sui vini campani, Giochiamo dunque con questi due Fiano, molto diversi fra loro.
Villa Diamante 2010 è davvero un capolavoro, poliedrico, ricco al naso con frutta evoluta, note minerali, zafferano mentre al palato l’acidità è ben integrata al corpo del vino nel quale si ritrovano i sentori olfattivi con precisione, ricchezza e mutevolezza. Un vino che non sta mai fermo, insomma, al naso come in bocca, vero esempio di alto artigianato. Forse, insieme al 2005, il più buono mai fatto da Antoine Gaita, anche se dobbiamo dire che la capacità di questo bianco di sfidare il tempo è davvero impressionante. Solo acciaio, eppure sembra di stare in Borgogna, e siamo sicuri che ne metterebbe davvero tanti in riga per questa sua opulenza.

Marsella 2010 invece appare giocato maggiormente sulla potenza. Non solo perché è più alcolico di un grado dichiarato in etichetta, ma anche per la spiccata acidità che emerge con maggiore forza e chiarezza. Il limite, rispetto al precedente, è quello di essere eccessivamente monocorde al naso sul tono fumè che sovrasta la frutta. Una fase che i vini di Guido Marsella attraversano e che poi superano quando scapolano la decina d’anni. Al palato la bocca è appena più sottile, meno rassicurante e più veloce, rispetto al bianco di Montefredane. Anche questo grandissimo Fiano, un pelo sopra al precedente.

E insomma, esistessero veri mercanti di vini in Irpinia e in Campania ci sarebbe davvero da divertirsi. Certo il tasso di rischio è alto, ma avere capitale e possibilità di stoccaggio si potrebbe provare a afre quello che la maggior parte dei produttori ancora non ha capito, e cioè dare valore alle bottiglie con il tempo. Un elemento di assoluto vantaggio quando si parla di Fiano di Avellino.