Formazione, si riparte. Peppe Daddio di Dolce&Salato: “Adesso conta la qualità, è la fine degli improvvisati e degli avventurieri”


Lo chef Peppe Daddio con i suoi allievi

Lo chef Peppe Daddio con i suoi allievi – foto Antonella D’Avanzo

di Antonella D’Avanzo

Dopo oltre due mesi di fermo forzato, anche le attività relative alla formazione professionale ripartono. Una ripresa in cui sarà possibile svolgere, fino a nuova ordinanza, pratica di laboratorio con presenza, mentre la didattica teorica rimane ancorata agli schemi dell’Istruzione e quindi a distanza. Giuseppe Daddio, direttore della “Dolce & Salato”, scuola di cucina e pasticceria fondata nel ’98 con il pasticciere Aniello di Caprio, ente per l’alta formazione gastronomica a Maddaloni, riconosciuto dalla Regione e accreditato per il rilascio di qualifiche EQF valide in ambito europeo,fa il punto della situazione
Come avete affrontato questa crisi?
«Facendo squadra, in un momento dove la formazione professionale a livello nazionale veniva ignorata, tanto da essere assimilata all’Istruzione. C’è stato un intervento coeso, ovvero, l’unione di tanti enti di formazione e, non parlo solo del mio settore, che insieme hanno denunciato la manchevole considerazione nei riguardi dell’intero comparto, un indotto che in Campania conta più di 500 istituti accreditati muovendo ogni anno diversi studenti provenienti anche da altre regioni d’Italia».
Dolce & Salato come è ripartita?
«Con elementi oggettivi, dove i contenuti rappresentano il punto di forza di un percorso storico che la scuola vanta con i suoi ventidue anni di attività e senza perdere l’obiettivo, quindi colmando quel vuoto della filiera scuola-lavoro in cui il livello di apprendimento e le rispettive competenze fanno la differenza per scommettere sul futuro di una carriera professionale».
Partiranno dei nuovi corsi o saranno ripresi quelli sospesi?
«Dobbiamo attendere il 7 settembre, quando ci auguriamo la piena ripresa di tutti i corsi, dove gli allievi potrebbero frequentare con serenità la nostra scuola. Ora, invece, dobbiamo completare il programma didattico congelato a marzo di cinque discipline formative di qualifica professionale (cuoco, pasticciere, pizzaiolo, operatore di sala, bar e della panificazione) e, successivamente, collocare gli allievi in strutture dignitose ed importanti per la loro crescita professionale».
Nel periodo del lockdown, siete riusciti in qualche modo a proseguire con l’attività di formazione?
«Per non spezzare completamente il filo didattico abbiamo mantenuto i contatti con la platea degli allievi sulle piattaforme autorizzate dal comparto della formazione professionale e, parallelamente, abbiamo lavorato ad un programma corsistico a scopo non didattico-formativo per un pubblico di amatori o, ancor meglio, per addetti ai lavori che cercano la iper-specializzazione».
Quale scenario vi aspettate per il futuro?
«Il futuro sarà rappresentato da più concretezza e meno avventurieri. I giovani hanno bisogno di riferimenti capaci di trasmettere il mestiere e non di showman che si autocelebrano. Per l’aspetto economico necessario per la formazione autofinanziata, le scuole dovrebbero avere il sostegno finanziario (attraverso voucher, ad esempio) per poter offrire la possibilità di svolgere stage che aiuti a crescere e maturare per affrontare il mondo del lavoro. Come in tutti i settori, la competizione tra enti di formazione, sia in Italia che all’estero, stabilisce il termometro dei contenuti e delle opportunità rivolte ai nuovi talenti. Da evitare, laddove possibile, grazie anche alla comunicazione e ai controlli serrati da parte delle istituzioni, sono le pseudo organizzazioni di corsi che tendono ad assumere la veste di scuola e che, purtroppo, sono un danno per il futuro dei giovani».