Giodo – Montalcino incontra l’Etna
di Francesco Raguni
A Montalcino, nei pressi di un vulcano ormai sopito, il Monte Amiata, si trova un’azienda vitivinicola che ha saputo guardare non solo al proprio territorio – la Toscana – ma anche oltre, fino alle pendici dell’Etna. Stiamo parlando di Giodo e, di conseguenza, della sua versione etnea: “Alberelli di Giodo”, nome che richiama il tipico sistema di allevamento della vite sul vulcano siciliano.
Giodo è nata grazie a Carlo Ferrini, ideatore del progetto Chianti Classico 2000, il cui obiettivo era selezionare cloni di Sangiovese con caratteristiche specifiche: piante resistenti, a resa contenuta ma orientata alla qualità. Così furono selezionati otto cloni, oggi utilizzati da molte aziende toscane. Terminata quest’esperienza, Ferrini lasciò il consorzio, aprendosi alle consulenze e avvicinandosi a Montalcino. Così, oggi, l’azienda conta a Montalcino 7 ettari vitati, di cui 4 dedicati esclusivamente alla produzione del Brunello – prodotto di punta dell’azienda, con circa 40.000 bottiglie l’anno. I vigneti si trovano tra i 300 e i 400 metri sul livello del mare, su suoli ricchi di scheletro e argilla. La quinta vigna è invece destinata alla produzione del Toscana IGT “La Quinta”, introdotto sul mercato nel 2018.
Proprio grazie alla sua attività di consulenza, Ferrini si è avvicinato all’Etna. Nel 2015, infatti, l’azienda ha acquisito diverse parcelle su quattro contrade del versante nord: Rampante, Pietrarizzo, Zottorinoto e Calderara. È interessante notare come non sia stato piantato nulla di nuovo: si sono trovate viti già innestate, a piede franco, con un’età compresa tra i 50 e i 100 anni. L’azienda non ama la parcellizzazione, perciò propone solo due etichette etnee: un Terre Siciliane Bianco a base di Carricante e un rosso a base di Nerello Mascalese.
Ogni etichetta di Giodo, inoltre, ha una sua storia. Quella del Brunello raffigura un omino stilizzato che solleva una sfera – simbolo del mondo del vino. Nell’etichetta de “La Quinta”, l’omino è circondato dal mondo, in omaggio all’ampiezza della denominazione. Per i vini dell’Etna, invece, l’etichetta richiama le tre bocche del vulcano. Ed è proprio in una serata di primavera etnea che le versioni toscane e siciliane di Giodo si sono incontrate, durante un evento esclusivo svoltosi presso Il Sale – Art Cafè in via Santa Filomena, nel cuore di Catania.
La cena: dall’Etna…
Il primo vino servito è stato Alberelli di Giodo – Terre Siciliane IGT Bianco. L’etichetta nasce da alcune delle viti più antiche di Rampante, cioè delle piante di Carricante quasi centenarie, coltivate tra gli 860 e i 940 metri di altitudine. Il vino affina esclusivamente in acciaio. Al calice si è presentato con un colore giallo paglierino carico; al naso, profumi di mela dell’Etna e, in evoluzione, una nota interessante di limone, oltre a sentori iodati e minerali. Ad un bouquet di odori così complesso ha fatto seguito una bocca fresca, sapida, di medio corpo. Azzeccati gli abbinamenti con la polpetta di alici e la mozzarella in carrozza. Il vino, tuttavia, ha faticato un po’ quando il boccone includeva anche il ragù di tonno, il cui gusto tendeva a prevalere.
Dal bianco si è passati al rosso, rimanendo sull’Etna. Alberelli di Giodo -Terre Siciliane IGT Rosso è un nerello mascalese in purezza che proviene da tutte e quattro le contrade aziendali, con vigne situate tra i 560 e i 960 metri di altitudine e un’età compresa tra i 50 e i 70 anni. Dopo la fermentazione alcolica e una macerazione di 20 giorni a contatto con le bucce, si procede con la svinatura e la fermentazione malolattica, che si svolge in cemento grezzo.
L’invecchiamento avviene per un anno in tonneau da 5-7 ettolitri in rovere francese, di cui il 30% del legno è nuovo, successivamente riposa un altro anno in bottiglia. Il vino si presenta con un colore rosso rubino, all’olfatto profumi di amarena sotto spirito e spezie scure, con una particolare sfumatura cinerea. In bocca è morbido, con un tannino fine ed elegante e una buona freschezza. Si tratta di un vino assolutamente valido che, tuttavia, in una degustazione alla cieca, potrebbe faticare ad essere immediatamente riconosciuto come un nerello mascalese in purezza. Lo stile di vinificazione, infatti, incide profondamente, marcando la differenza tra un vino prodotto sull’Etna e un vino dell’Etna, inteso come espressione assolutamente tipica del territorio. L’abbinamento con la lasagna “sbruciacchiata” al ragù di maialino nero dei Nebrodi si è rivelato comunque ottimo: ogni sorso richiamava un nuovo boccone.
… a Montalcino
Il terzo assaggio ci ha riportati alle origini di Giodo, cioè in Toscana. La Quinta Toscana IGT è un Sangiovese in purezza, con una macerazione di 15 giorni, fermentazione malolattica in acciaio, affinamento per metà in anfora e per metà in tini di rovere francese da 25-35 ettolitri, e successivo assemblaggio in cemento grezzo. Segue un affinamento in bottiglia di 8 mesi. Al naso è tipico e riconoscibile: emergono note di frutta rossa, mentre in bocca è delicato, con un tannino elegante e vellutato. Lasciandolo aprire, si possono percepire sentori di sigaro e tabacco. Perfetto l’abbinamento con il filetto di manzo e i mugnoli (broccoletto selvatico tipico della Puglia); tuttavia, la presenza della scaglia di tartufo nero ha messo in difficoltà il vino, che ha rischiato di eclissarsi.
La serata si è chiusa con l’etichetta più attesa: il Brunello di Montalcino (annata 2020). Dopo una macerazione di 20 giorni e fermentazione malolattica in cemento grezzo, il vino affina in tonneau di rovere francese (90%) e austriaco (10%), per poi proseguire con ulteriori 18 mesi in bottiglia. Pur essendo ancora giovane, il vino è già perfettamente godibile: il tannino è presente, ma né tagliente né aggressivo. La freschezza al palato suggerisce un ottimo potenziale evolutivo. All’olfatto sprigionia sentori di fragole e ciliegie, e ancora cannelle ed altre spezie. L’abbinamento con formaggi siciliani (tuma, pepato fresco, piacentino ennese e ragusano) è stato altalenante: soltanto il più stagionato è riuscito a competere con la potenza del Brunello, gli altri si sono rivelati troppo “deboli”.
Una serata così ha certamente lasciato spazio a diversi spunti di riflessione: sia sugli abbinamenti, dove si può sempre giocare e in cui il gusto personale è la bussola che guida l’assaggiatore. Provare a circoscriverli a regole troppo stringenti è quasi un peccato. Sul fronte del vino, è chiaro come l’Etna ormai attiri sempre più produttori oltre lo Stretto, portandoli così ad esportare i loro metodi sul territorio del vulcano. Resta di fondamentale importanza – e ciò non deve tradursi in un divieto differenziazione – non offuscare troppo l’identità del territorio in cui sorge la vite da cui nasce il vino.
Il Sale Art Café
Via Santa Filomena n. 10/12
Numero di telefono: +39 095 316 888
Mail: [email protected]
Ferrini un grande che a suo tempo lavorò anche nel Cilento.Col tartufo bianco o nero c’è poco da fare:in Borgogna bisogna andare!Sull’abbinare personalmente e da tempo che non mi scervello più:mi diverto a giocare.Scendo in cantina e prendo la bottiglia che desidero stappare anche se a volte non so cosa c’è da mangiare:ne può venir fuori uno scivolone ma spesso un inaspettato ed originale successione. PS Chiaramente in caso di convivi casalinghi o al ristorante il mestiere bisogna esercitare per rispetto a se stessi e agli ospiti che nutrono giuste aspettative al riguardo. FRANCESCO