Grandi Langhe 2025 a Torino. Alcuni assaggi dalla piu’ importante manifestazione della viticoltura piemontese
di Giulia Gavagnin
Nell’annus horribilis del vino, delle recite del de profundis perché i giovani bevono cocktail analcolici e kombucha tonificante, del cimitero delle cantine decretato dal Codice della Strada salviniano (che, nell’epoca dell’analfabetismo funzionale è stato così misread e misunderstood da non capire che no, i limiti precedenti non sono cambiati) e, soprattutto, del vino rosso che ormai vende solo ai parenti dei cantinieri c’è una manifestazione che –toh guarda!- sembra ribadire il contrario. L’assoluta e incontrovertibile vitalità del vino. Rosso, soprattutto.
A Natale passo per una cantina di fiducia a Milano e mi dicono che il Barolo lo vendono solo per il periodo del cappone.
Poi, il 27 e il 28 gennaio vado alla due giorni di “Grandi Langhe”, faraonica manifestazione che quest’anno festeggia la 9’ Edizione nella città di Torino, nei magnifici spazi delle Officine Grandi Riparazioni a due passi dal Politecnico e m’accorgo con gioia che tutta questa agonia risiede probabilmente solo nella testa dei soliti giornalisti in cerca d’autore.
In particolare, se pensiamo a una manifestazione incentrata sul nebbiolo, vitigno a bacca rossa che si esprime pressoché solo nella regione d’appartenenza e connotata da tannini che conferiscono eleganza e carattere al vino solo se domati da mani sapienti.
500 cantine a fronte delle 300 dello scorso anno con un’apertura verso tutte tutte le denominazioni del Piemonte, cinquemila presenze e una sala stampa allestita in modo (finalmente) iper-professionale con la possibilità per i giornalisti di assaggiare tutte le doc e le docg presenti alla manifestazione, con presenze da tutto il mondo.
Ed ecco che li abbiamo visto colleghi assaggiare, prendere appunti e sputare con certosina cura per compilare la loro lista di “best of” –l’annata di riferimento è la 2021 ma c’è anche altro- di vini not to be missed.
Poiché invece noi siamo consapevoli dei nostri limiti e di quanto sia faticoso e provante sputare, abbiamo fatto meno, senza pensare di aver fatto meglio.
Semplicemente, ci siamo affidati agli amici produttori, facendoci consigliare qualche novità o cru semplicemente imperdibile, privilegiando i produttori più giovani.
E’ terribilmente complesso il mestiere del degustatore, perché nel mare magnum dei produttori, dare un punticino in più o in meno all’uno anziché all’altro è difficile (spesso sono sfumature) e anche un po’ ingiusto. Ci sono grandissimi professionisti che, giustamente, fanno il pelo e il contropelo a ogni singolo produttore e stilano classifiche. Riteniamo sia molto difficile a una manifestazione, così preferiamo fornire qualche segnalazione che possa donare anche una piccola emozione: gustativa, di memoria, ovvero un’occasione sull’approfondimento di un territorio.
Ecco qualche suggerimento.
ALBERTO OGGERO Montoliva
Alberto Oggero è un produttore di Santo Stefano Roero che insieme ad altri due eccellenti viticoltori –Cascina Fornace e Valfaccenda- ha dato vita all’associazione “Solo Roero”. I loro vini sono artigianali, fermentati con lieviti indigeni e connotati da grande beva. Hanno infatti capito che il terreno sabbioso su cui s’innesta il nebbiolo di Roero si presta a conferire leggerezza al vino, anziché portare a inutili imitazioni dei vini di Monforte o di La Morra.
Montoliva è l’ultimo prodotto di casa Oggero ma, attenzione. Non è un nebbiolo, ma una barbera d’Asti, da lui prodotta nel Monferrato., vicino a casa di sua moglie. Alberto non voleva produrre barbera nel Roero ed è dunque andato alle origini. Macerazione per trenta giorni in cemento, molto frutto e grande beva, conformemente al suo diktat. Un vino da merenda sinoira, ma anche da spezzatino di fassona.
ROSAVICA BENOTTI Priocca 2022
E’ una piccola azienda a conduzione familiare, sempre nella zona del Roero, a Priocca, dove giace uno dei più grandi ristoranti del Piemonte, il Centro.
Producono quindicimila bottiglie e anche loro appartengono alla scuola del Roero di facile beva. Ciò non comporta una mancanza di complessità. Se il Dolcetto mantiene la sua rustica tipicità, il cru Roero Priocca ha un bouquet floreale di ampiezza inaspettata, oltre agli aromi di karkade e frutti di bosco in sottofondo. Ci piacerebbe riassaggiarlo proprio nel blasonato ristorante (dove magari non è in carta, non lo sappiamo) magari con il loro agnello.
FRANCESCO VERSIO Barbaresco 2022
Francesco Versio è stato una sorta di enfant prodige dell’enologia. E’ stato cantiniere di Bruno Giacosa poco più che ventenne e ha coltivato lo studio con grandi maestri prima di mettersi in proprio giovanissimo. L’azienda nasce del 2012 con alcuni vigneti di famiglia nel comune di Neive, poi s’è ampliata: quindi c’è già qualche annata di barbaresco da assaggiare.
La 2022 ha tannino setoso e grande beva. E’ ancora una ragazza, ma promette di diventare una gran bella signora non appena avrà acquisito i terziari.
CASA TALLONE – Cisterna d’Asti 2023
E’ un’azienda nuova, nasce nel 2013 tra il Roero e l’astigiano, ma il corso vero e proprio è iniziato nel 2021 con i fratelli Davide e Matteo Sacchetto. Fanno Arneis e Roero, ma hanno vigne anche nel luogo di nascita a San Damiano d’Asti dove producono Cisterna.
Questa piccola Doc prevede l’utilizzo in prevalenza di uve Croatina, è amara ma soave, ricorda per alcuni tratti il Pelaverga. E’ un vino decisamente nuovo e diverso, di nicchia, ma sul quale scommettere.
DELINQUENT – Grignolino Schersa nen
Anch’essi assai giovani, sono marito e moglie, lui astigiano, lei americana. Lui si chiamerebbe Rocca, ma data la concorrenza degli omonimi ha preferito dare all’azienda il soprannome che gli davano da bambino, perché evidentemente era un discolo. Anche se non si direbbe.
Sotto il motto “nojautri schersum nen” (non si scherza) producono nebbiolo, freisa e.. grignolino. Il vino più bevuto negli anni Sessanta che poi è progressivamente scomparso, o regredito a comprimario. Invece, per la sua bevibilità e la snellezza, è un vitigno che molti giovani stanno riscoprendo e coltivando con successo. Del resto, ricorda vagamente la schiava: perché lasciare tutto il successo solo agli altoatesini? Qui non si scherza!
MARENGO – Barolo 2021 Brunate
E’ una cantina a gestione familiare assai nota, produce all’incirca cinquantamila bottiglie ed giunta alla quarta generazione. Il giovane di casa, Stefano, è uscito con il suo barolo omonimo, ci è piaciuto, ma coltiva una tendenza che ci ricorda quella dei barolo boys, non la nostra preferita. Siamo tradizionalisti e abbiamo apprezzato in modo particolare il Brunate, insieme a Cannubi il cru più storico di Barolo.
Se lo si confronta ad altri cru, si capisce perché fin dal Cinquecento abbiano compreso l’eccellenza di questi poderi: la promessa di longevità è assoluta, particolarmente laddove ci si trovi dinanzi a un barolo “vecchio stile” come questo.
PIERPAOLO GRASSO – Barbaresco 2021
Sono in due: Pierpaolo Grasso e Sara Morra, viticoltore di professione dal 2000 e consorte di tutt’altra estrazione. Hanno costruito una cantina moderna nei pressi di Neive e sono particolarmente attenti all’eleganza dei vini.
Barbera, Arneis, Langhe nebbiolo e Barbaresco, nei poderi Cà Grossa, Rio Sordo, Tre Stelle e Pajorè che portano nomi fantasiosi ispirati ai giochi delle figlie. Il Barbaresco base è snello ed elegante, di nobiltà e facile beva. Non male per questo viticoltore che si definisce “guerriero”.
OLEK BONDONIO “LA BERCHIALLA” – Barbaresco Roncagliette 2021
Olek Bondonio è un mattacchione, già appassionato di skateboard, e dalle evoluzioni sulla tavola ha imparato a essere spregiudicato. Ha ereditato dal nonno cinque ettari pressochè contigui ai vigneti di Angelo Gaja, quindi il suolo –per sua fortuna- offre molto. Ma per fare un Roncagliette come il suo oltre al fattore “c” c’è anche tanto fattore “b”, bravura. E’ già pronto da bere, ma promette un’evoluzione importante, quasi camaleontica. Un barbaresco che non stonerebbe con il pesce e tra qualche anno sarà adatto anche alla carne più robusta. Oggi lo azzarderei con un piatto di acciughe al bagnetto verde.