Radici 2012 Fiano di Avellino docg | Voto 88/100, winner a Radici del Sud


Radici Fiano di Avellino 2012 Mastroberardino


MASTROBERARDINO

Uva: Fiano
Fascia di prezzo: 10,00 – 12,00 euro in enoteca
Fermentazione e maturazione: acciaio

Vista 5/5 – Naso 26/30 – Palato 26/30 – Non omologazione 31/35

 

A volte, e non capita molto spesso, ci sono dei vini che ti vogliono raccontare tutto di sé e allora bisogna stare molto attenti e cercare di ascoltarli, perché quello che dicono è sempre interessante: la loro storia, quella dell’azienda di appartenenza, l’unicità del prodotto stesso, l’emozione che cercano di trasmettere, la convenienza del prezzo ed altro. E proprio tutto questo l’ho riscontrato assaggiando recentemente il Radici Fiano di Avellino Docg 2012 di Mastroberardino, vino primo classificato nella categoria dei Fiano da parte della giuria nazionale di Radici del Sud.

Analizzando singolarmente le varie voci si può dedurre che sicuramente il Radici può vantare una consolidata storia alle spalle, che è poi quella che si rifà alla stessa azienda di provenienza. Si pensi, infatti, che la famiglia Mastroberardino ha cominciato a produrre vino fin dalla metà del Settecento e adesso è arrivata a contare dieci generazioni, con l’attuale Presidente Piero. L’unicità del vino, poi, è innegabile, perché, come dice la denominazione, il Fiano di Avellino appartiene soltanto all’areale irpino, pur essendo coltivato, sotto varie specifiche, in quasi tutto il Meridione d’Italia. L’emozione che comunica questo vino a chi lo beve è altrettanto un fatto certo. Probabilmente nessun altro vino bianco italiano da uve autoctone sa esprimere tanta passione, commozione ed eccellenza. Il prezzo di acquisto, poi, intorno ai 10 euro in enoteca, è sicuramente molto conveniente in rapporto alla qualità del vino stesso.

Ho preferito degustare la bottiglia di Fiano a casa mia, come faccio solitamente, in abbinamento ad un pasto adeguato. Mi spiace soltanto che, come tirare il collo ad un galletto di pochi giorni, ho dovuto affrettare i tempi, perché è un vino questo, come tutti sanno, molto longevo e sicuramente tra quattro-cinque anni si sarebbe espresso al meglio. Ora è stato quasi uno spreco. Ma tant’è…

Il vigneto si trova a Santo Stefano del Sole a 550 metri s.l.m. su un terreno franco-sabbioso, profondo e ricco di minerali. La resa per ettaro è molto bassa, sui 60 quintali. La vendemmia viene effettuata tardivamente nella seconda metà di ottobre. Dopo la fermentazione, il vino transita in serbatoi di acciaio per cinque mesi e poi viene affinato in bottiglia per ulteriori quattro mesi, prima di essere messo in commercio. La gradazione alcolica si attesta a 13.5° C.

Il colore nel bicchiere tradisce un cromatismo giallino ancora in fase di assestamento, come quando ci si veste con indumenti intimi senza ancora mettersi camicia e giacca. Ci vuole più tempo ovviamente. Il naso si distende verticalmente come una figura agli anelli di Jury Chechi per cogliere pervasive ed intriganti sfumature di pera, pesca, mela, ananas, pompelmo, miele e biancospino, che s’intrecciano a slanci piritici e di idrocarburi e a reattivi sentori di nocciola tostata. E qui si vede che l’escursione termica collinare ha lavorato molto bene. E’ in bocca, tuttavia, che il vino gioca le sue carte migliori, nonostante la sua imberbità. Il registro gustativo è mozartianamente seducente e trascinante per la polposità del frutto, la freschezza salivante, la sapidità espansiva, la spinta minerale, la succosità della beva, gli echi agrumati, la parvenza fumè, il coté lievemente speziato, l’ampia ed affidabile struttura e l’elegante dinamicità. Chiude su toni lunghi e persistenti. Un bianco che sicuramente si esalterà ancora di più col passare del tempo. Abbinamento classico su tutta la cucina di mare, carni bianche e formaggi freschi, soprattutto la mozzarella di bufala. Prosit!

 

Questa scheda è di Enrico Malgi

 

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