Il Sifone e la Barrique: sul caso Adrià a Striscia


Questo è un post doroteo

Ferran Adrià

Il demenziale programma Striscia la Notizia ha attaccato per due giorni a muso duro Ferran e, a cascata, Massimo Bottura della Francescana di Modena che ne è una delle massime declinazioni italiane come spiega il suo nome.
I modi e gli argomenti sono simili a quelli con i quali nei secoli che hanno preceduto l’Illuminismo le donne e gli eretici erano bruciati senza altra motivazione se non quella addotta dall’istinto animale e dai sentimenti di paura, di povertà e di insicurezza.
In realtà l’alta ristorazione ha avuto sempre due grandi autostrade su cui camminare. La prima, soprattutto in Francia e in Italia, e’ pescare in continuazione nell’enorme miniera della tradizione regionale da cui trarre rielaborazioni, esecuzioni classiche, spunti, rinnovamenti, nuove presentazioni e nuove combinazioni.
Altrove, lo ha più volte sottolineato Vizzari, si parte dalla materia prima, dal prodotto edibile, per cercare di creare qualcosa di originale e innovativo giocando sulle forme e le consistenze attraverso la ricerca e le nuove tecniche applicate.
Ferran è entrato nel casello di questa seconda autostrada procedendo oltre ogni limite e convenzione, ha poi avuto l’effetto di influenzare anche le correnti considerate piu’ tradizionali. E’ infatti innegabile che negli ultimi quindici anni in Italia l’intera alta cucina è andata verso un processo di alleggerimento mettendo quasi nel dimenticatoio il burro (che negli anni ’70 faceva invece modernità), gli altri grassi animali e persino i fondi bruni e le cotture prolungate.

Nel gioco mediatico, quel circo di cui noi tutti facciamo parte, ora prevale l’una tendenza, diciamo la spuma di cozza, ora l’altra, la cozza pescata di fronte al proprio ristorante e accompagnata con il limone e il prezzemolo dell’orto di nonna Lucia.
Più o meno è successa la stessa cosa con il vino: le zone che avevano scarsa o inesistente tradizione di buon grado hanno subito adottato la barrique, come le cucine il sifone, per trattare più o meno con gli stessi protocolli tutti i vini a prescindere dalla latitudine e dal vitigno di partenza. In tal modo anche territori più consolidati ne sono stati a loro volta influenzati.
Anche in questo caso si assiste a una dura reazione, con motivazioni altrettanto apocalittiche e forti, ma pure in questo caso è innegabile che anche coloro che hanno continuato ad usare legni grandi hanno dovuto fare i conti con la barrique curando, tanto per dire la cosa più banale, la pulizia olfattiva e cercando profumi a cui prima si dava poca o nessuna importanza.
Essendo tutto sommato un conservatore nato e pasciuto in un territorio fortemente tradizionale e impermeabile alle mode, almeno a tavola, i miei gusti personali sono deduttivamente chiari: amo far funzionare i denti e la vaniglia la preferisco nel cono anzichè in bottiglia.
Ma la mia mente giornalistica non è schiava del mio palato, ancestrale o acculturato che sia, sino al punto di arrivare a intolleranze ideologiche verso chi si muove su altri percorsi con serietà, studio e determinazione: non sopporto la continua demonizzazione di chi mangia, parla, pensa e crede in modo diverso da noi. Anzi, più conosco il Cabernet, per dire e banalizzare, tanto più amo l’Aglianico, il Nebbiolo e il Gaglioppo. La spuma di parmigiano mi diverte e mi piace anche, ma riesce a farmi apprezzare meglio la zuppa di cipolle di Montoro con il caciocchiato di Ariano Irpino.
Da vecchio e convinto hegeliano, sono fiducioso che alla fine lo Spirito si disveli attraverso la eterna spirale di tesi, antitesi e sintesi.
Evocare la naturalezza del prodotto finito non può prescindere dalla ricerca scientifica e dall’innovazione tecnica nel piatto come nel bicchiere, altrimenti mangeremmo solo erba e berremmo certo aceto a sufficienza. Per ottenere vini con bassa solforosa, il tema del 2008 remember?, sono necessari cospicui investimenti tecnologici e grande ricerca sul campo per impedire l’ossidazione durante le diverse fasi di lavorazione del vino.
Trovo infine deprimente, e sintomo di chiara subalternità culturale alla visione sanitaria del cibo di stampo anglosassone, tirare in ballo questioni mediche e di sicurezza alimentare, giacchè si sa cosa è meglio fare per noi stessi dai tempi degli antichi egizi i quali sostenevano che la morte inizia quando si mangia e si beve: digiunare e restare astemi.
Ma poichè la vita è breve, appare assolutamente inutile morire sani.

Ps: Un nota di incoraggiamento. La reazione dei critici, dei giornalisti e degli operatori è stata quasi unanime: schifo e amarezza per come sono stati trattati certi argomenti dai villici di Striscia. A prescindere dalle inclinazioni e dalla simpatia o meno per la cucina molecolare e per Adrià. Almeno questo è un dato positivo che si può incassare dalla vicenda: una cosa è criticare lo stile e l’impostazione di Ferran, come ha fatto Ducasse ad esempio nell’intervista a Gigi Padovani sulla stampa, altra è dire che è un criminale perché avvelena la gente. El Bulli non è la Spectre. Comunque ho riproposto la nota su Facebook dove si sta sviluppando, qui come altrove, un vivace dibattito. Forse è tempo di pensare finta e funzionale al sistema la funzione salvifica di certe trasmissioni e capire che se un ospedale funziona male non bisogna rivolgersi al Gabibbo, ma organizzarsi.