La gelatina di maiale


Gelatina di maiale

di Carmen Autuori

Il procedimento per la preparazione è lo stesso di quello dell’aspic, protagonista di sontuosi banchetti ottocenteschi e in auge fino agli anni Ottanta del secolo scorso sulle tavole borghesi – brodo addensato caldo versato su una pietanza fredda che assume una consistenza gelatinosa – messo a punto da Marie Antoine Careme, chef de cuisine di Napoleone Bonaparte, per allungare i tempi di conservazione di carne e pesce e per migliorarne il sapore. In questo caso, però, parliamo di una leccornia ‘povera’ diffusa in tutte le regioni meridionali: la gelatina di maiale.

Due sono gli ingredienti fondamentali, il freddo e le parti di scarto del maiale: la testa, le orecchie, le zampe, la carne che resta attaccata alle ossa, la cotenna, il tutto ricoperto da un brodo in cui, grazie alla lunga bollitura, le parti ricche di cartilagine hanno rilasciato il collagene rendendolo denso.

A variare, invece, sono gli aromi a seconda della regione in cui il piatto viene realizzato e, talvolta, anche della provincia.

In Campania, ad esempio, abbiamo due scuole di pensiero, quella dell’Alta Valle del Calore dove l’immancabile alloro viene affiancato da un bicchiere di mosto cotto di Fiano di Avellino, “mai di Aglianico perché non solo la gelatina verrebbe troppo scura, ma il mosto predominerebbe su gli altri ingredienti”, come scrive Lelllo Tornatore, cultore vero delle antiche ricette irpine, che spesso viene arricchita da pinoli, uva sultanina e qualche gheriglio di noce. Sempre in Irpinia, è in uso una versione con le bucce di limone ed una agrodolce con il cacao.

Nel Cilento e nella Piana del Sele è presente esclusivamente l’aceto, qualche grano di pepe (c’è anche chi lo sostituisce con polvere di peperoncino piccante) e l’immancabile alloro.

La versione lucana in alcune zone prevede l’aggiunta dell’aglio, del rosmarino e dell’origano. Da qualche anno è Prodotto Agroalimentare Tradizionale (Pat) della Basilicata, così come in Sicilia dove viene chiamato zuzzu (unto), suzo o lìatina e prevede l’aggiunta di chiodi di garofano oltre agli altri ingredienti canonici.

L’elemento comune a tutte le regioni è quello di considerare la gelatina di maiale il piatto della condivisione, se ne prepara sempre in quantità abbondante per poterne distribuire una piccola zuppiera ai vicini.

Ormai sono pochissime famiglie che ancora s’impegnano nella lunga e faticosa preparazione di questo pietanza. Per fortuna a mantenerne la memoria ci sono alcune macellerie, soprattutto nei piccoli centri, dove nel periodo invernale è possibile acquistarne qualche fetta.

Una di queste è L’ Antica Macelleria Bisogno, a Santa Cecilia di Eboli, sulla strada che porta verso il Cilento, dove la signora Enza Pierro mantiene la tradizione ereditata dal padre Salvatore, macellaio di lungo corso.

Gelatina di maiale, Enza Pierro dell’Antica Macelleria Bisogno

<<In questi ultimi anni la richiesta di cibi antichi, legati alle nostre tradizioni più ancestrali, è in forte aumento – spiega Enza Pierro -. Per questo io continuo a preparare oltre alla gelatina, la cui materia prima proviene da maiali allevati in Lucania, anche gli involtini d’intestino di capretto (gnummarelle), i cicoli, lo strutto perché queste tradizioni non possono andare perse. C’è da dire però, che la gelatina che prepariamo oggi è molto alleggerita nei grassi, nel senso che la quantità di cotiche è inferiore rispetto al passato, sostituita da qualche pezzo di carne ricco di cartilagine. È un alimento che si conserva per circa 20 giorni in frigorifero e che, servito a cubetti, può completare egregiamente un tagliere di salumi, magari in accompagnamento dell’aperitivo: sarebbe un bel modo per avvicinare i giovani a questi cibi fortemente identitari>>.

Ricetta di Enza Pierro, Antica Macelleria Bisogno raccolta da Carmen Autuori

  • Tempo di preparazione 1 ora
  • Tempo di cottura 5 ore e 50 minuti
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Ingredienti per 12 persone

  • Testa di maiale
  • 1 piede
  • 4 – 5 pezzi di cotenna
  • 1 bicchiere di aceto di vino bianco
  • 1 limone
  • 6 foglie di alloro
  • 10 chiodi di garofano
  • Peperoncino se gradito
  • Sale
  • Pepe nero

Preparazione

Lavate molto bene la testa di maiale in tutte le sue parti avendo cura di bruciare i peli accostandoli alla fiamma del gas.
Fate lo stesso sia per il piedino che per la cotenna.
Prendete una pentola molto capiente, riempitela d’acqua e immergete tutti i pezzi di carne.
Aggiungete le foglie d’alloro, una decina di chiodi di garofano, salate e fate cuocere per circa quattro ore.
Durante la cottura dovete aver cura di schiumare il brodo. Quando le carni risulteranno ben cotte, toglietele dalla pentola e tenete da parte.
Aggiungete al brodo un bicchiere d’aceto e fatelo bollire ancora fino a quando si sarà ridotto a circa 1/4 della sua quantità iniziale.
Spegnete il fuoco, filtratelo con un colino e lasciatelo raffreddare per tutta la notte.
Il giorno dopo tutto il grasso contenuto nel brodo che si sarà solidificato e affiorato in superficie dovrà essere eliminatelo con un cucchiaio.
A questo punto disossate accuratamente la carne e tagliatela in pezzi piccolissimi.
Aggiungete un pizzico di pepe e il peperoncino a piacere.
Mescolate il tutto e sistematela in vari contenitori.
Spremete il succo di un limone, se necessario aggiungete un po' di sale e riscaldate nuovamente il brodo facendolo bollire per almeno 20 minuti.
Versatelo nei contenitori fino a coprire tutta la carne.
Lasciate raffreddare bene, riponetelo in frigo per permettere una completa gelificazione.

Un commento

  1. Un colpo basso ma siamo al sud e ci sta.Sarà che difficilmente si trova ma ammetto che in quel caso personalmente ne “ingurgito”quantità tali da perdere la dignità.PS Più che di scarti amo parlare di quinto quarto nobilitato nei secoli da industriose massaie che rendevano godibile ogni cosa commestibile.Con simpatia FRANCESCO

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