La ricerca italiana conquista le vigne di Francia e Spagna


Winegraft

Un straordinario successo internazionale del progetto di ricerca supportato dalle aziende riunite in WINEGRAFT

La ricerca italiana conquista i vigneti di Francia e Spagna

I “portainnesti M” selezionati dall’equipe del prof. Attilio Scienza saranno sperimentati a Bordeaux e Rioja: ad annunciarlo Scienza insieme a Marcello Lunelli, presidente di WINEGRAFT, nel corso del convegno sul futuro della ricerca scientifica per una nuova viticoltura svoltosi, oggi, al Padiglione Vino di Expo. E, in futuro, arriveranno anche in Borgogna…

“Circa 600 talee di “portainnesti M” sono partite nelle scorse settimane dagli impianti della Vivai Cooperativi Rauscedo alla volta delle Università di Bordeaux e Rioja che hanno chiesto di poterli innestare con i principali vitigni delle due grandi regioni viticole europee, per avviare una nuova fase di studio e sperimentazione sui loro territori”. A dare la notizia dell’importante riconoscimento internazionale conquistato dallo studio avviato negli anni 80 all’Università di Milano, sono stati il prof. Attilio Scienza, esperto di fama mondiale e promotore della ricerca sui portainnesti, e Marcello Lunelli, presidente di WINEGRAFT srl, la start-up promossa da nove primarie aziende vitivinicole di diverse regioni italiane (Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Settesoli insieme a Fondazione di Venezia e Bioverde Trentino) per supportare anche finanziariamente lo sviluppo della ricerca.

“L’interesse che i nuovi 4 portainnesti della serie M hanno suscitato nelle università di Bordeaux e Rioja – ha sottolineato Scienza – conferma la validità di un progetto di studio che è tornato ad occuparsi delle “radici” della vite dopo oltre un secolo di disinteresse da parte della scienza e del mondo produttivo”. Tempranillo, in Spagna, Cabernet e Merlot in Francia saranno i vitigni che troveranno dimora nei vigneti sperimentali di prossimo impianto in autunno con la nuova generazione di portainnesti, destinati a sostituire quelli attualmente utilizzati “che stanno mostrando forti limiti alle pressioni del cambiamento climatico oltre a dare segni di deperimento veloce – continua Scienza – Mentre l’M1 e l’M3, per lo loro basse rese, si presentano come ottime alternative per una viticoltura di qualità in stile bordolese, così come l’eccellente capacità di resistenza alla siccità farà dell’M4 una risorsa preziosa per i vigneti del Rioja”.

L’interesse mostrato da questi centri internazionali di eccellenza nella ricerca viticola “costituisce un doppio riconoscimento di cui dobbiamo andare fieri – ha commentato Marcello Lunelli, presidente di WINEGRAFT – perché premia sia i risultati della ricerca dell’Università di Milano sia il modello virtuoso di collegamento università-impresa interpretato da WINEGRAFT grazie al quale i prodotti della ricerca sono diventati accessibili ai produttori e disponibili sul mercato nel giro di poco tempo”.

Quante volte abbiamo visto frutti di ricerche anche importanti rimanere chiusi nei laboratori o nelle università. “Una cosa è produrre un portainnesto e lasciarlo nelle collezioni dell’università, ma tutta un’altra storia è produrlo e renderlo disponibile per le imprese, come abbiamo fatto noi grazie alle aziende riunite in WINEGRAFT: una rivoluzione!”, ha voluto sottolineare ancora Scienza.

Ed è stato questo duplice aspetto “virtuoso” a conquistare viticoltori e ricercatori di Bordeaux e Rioja: la possibilità cioè di sperimentare un portainnesto che diventa rapidamente disponibile per l’impianto. Tant’è che, in fila c’è già la Borgogna che ha fatto richiesta di impiantare vigneti sperimentali di “M” ……

Una sperimentazione che, se avrà successo, aprirà un mercato straordinario per i nuovi portainnesti firmati UniMi e WINEGRAFT, commercializzati in esclusiva mondiale dai Vivai Cooperativi Rauscedo e garantiti, dal punto di vista sanitario e della corrispondenza genetica delle barbatelle, dal laboratorio di IpadLab.

Un bel successo della ricerca e di un innovativo “business-research model” italiano celebrato nell’anno di Expo …

Winegraft: chi e perché

Winegraft srl nasce nell’agosto del 2014 ad opera di un gruppo di primarie aziende vitivinicole di diverse regioni italiane – Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Sette Soli – insieme a Fondazione di Venezia e Bioverde Trentino (azienda di supporto tecnico per la vigna) con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo della innovativa ricerca portata avanti dall’Università di Milano, sotto il coordinamento del prof. Attilio Scienza, sulla nuova generazione di portainnesti “M” per la vite. Con un capitale di circa mezzo milione di Euro e attraverso lo spin-off di IpadLab, società specializzata nel campo della fito-diagnostica leader a livello internazionale che avrà anche il compito di monitorare la sanità e la corrispondenza genetica delle barbatelle prodotte con questi portinnesti, Winegraft finanzia e rilancia il lavoro del gruppo di ricerca dell’Università di Milano. Si organizza, così, un innovativo sistema virtuoso di collaborazione tra università, aziende e mercato che permetterà alla ricerca di finanziarsi con i proventi derivanti dalla commercializzazione dei nuovi portainnesti affidata, in esclusiva mondiale, ai Vivai Cooperativi Rauscedo.

 

Una nuova generazione di portainnesti per il futuro del vigneto “globale”

Ricominciamo … dalle radici

Negli anni ’80, all’Università di Milano, il gruppo di ricerca coordinato dal prof. Attilio Scienza avvia un inedito studio sui portainnesti della vite ed arriva a selezionare la nuova generazione di “portainnesti M”, capaci di tollerare la siccità e resistere ad elevati tenori di calcare nel terreno.

Nel 2014, grazie a Winegraft, riparte la ricerca …. e nel 2016 Vivai Cooperativi Rauscedo porterà sul mercato le prime 30 mila barbatelle dei principali vitigni italiani con “portainnesti M”.

Se a fine 800, la selezione e diffusione dei portainnesti “su piede americano” ha salvato il vigneto europeo dalla fillossera avviando quella che chiamiamo “viticoltura moderna”, oggi, a distanza di oltre un secolo, una nuova, originale, ricerca tutta italiana sta aprendo la nuova era della “viticoltura post-moderna”. Al centro dell’attenzione sempre i portainnesti che, dopo oltre 100 anni dagli ultimi lavori scientifici sul tema, tornano al centro di una ricerca attivata dall’Università di Milano i cui risultati aprono alla viticoltura frontiere di sviluppo fino a ieri inaspettate inaugurando, nel contempo, un innovativo modello di rapporti tra ricerca e innovazione, università e mondo delle imprese.

“La crescente incidenza delle fitopatie – dichiara Attilio Scienza, animatore del progetto di ricerca – i cambiamenti del clima e le loro conseguenze, da un lato, sulla necessità di crescenti quantità di acqua per la coltivazione della vite e, dall’altro, l’estendersi dei fenomeni di salinità dei suoli, la necessità di ridurre e ottimizzare l’impiego dei fertilizzanti e, ancora, la diffusione della viticoltura in ambienti climaticamente molto diversi da quelli europei, nonché le nuove esigenze di qualità da parte del consumatore, stanno evidenziando la sostanziale inadeguatezza dei portainnesti tradizionali ponendo la necessità di creare nuovi genotipi con caratteristiche migliori di resistenza agli stress biotici e abiotici”.

Nonostante la consapevolezza dell’importanza della scelta del portinnesto per l’adattamento delle piante alle diverse condizioni ambientali e quindi per la buona riuscita di un vigneto, la ricerca in questo campo si era sostanzialmente fermata agli inizi del 900, tempi in cui l’obiettivo principale del miglioramento genetico era la resistenza alla fillossera, al quale si sono aggiunti successivamente obiettivi di resistenza al calcare ed alla siccità.

Ancora oggi sono largamente utilizzati alcuni portinnesti selezionati tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, nonostante la viticoltura nel tempo si sia radicalmente trasformata.

La frenetica attività di miglioramento genetico che si sviluppò a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, incalzata dalla necessità di ottenere rapidamente dei portinnesti resistenti alla fillossera e tolleranti al calcare attivo presente in quantità elevate in molte zone viticole europee, puntò su poche specie pure e, all’interno di queste, utilizzò solo qualche individuo tralasciando di valutare la grande variabilità che ogni specie presentava.

Nella valutazione dei portinnesti che venivano via via proposti per il rinnovo dei vigneti, si teneva naturalmente conto delle caratteristiche della viticoltura del tempo spesso consociata, strutturata cioè con tutori vivi o caratterizzata, al contrario, da alte fittezze d’impianto e quindi con basse produzioni/ceppo.

Oggi, le diverse esigenze espresse da nuovi modelli viticoli, le conseguenze determinate dal cambiamento climatico sulla fisiologia della pianta e l’estendersi di fenomeni di salinità dei suoli, hanno evidenziato la sostanziale inadeguatezza dei portinnesti tradizionali e la conseguente necessità di creare di nuovi genotipi aventi altre caratteristiche di resistenza.

Al miglioramento delle doti di adattamento è inoltre necessario associare al portainnesto anche la capacità di ridurre gli input energetici quali l’impiego di fertilizzanti, ed acqua di irrigazione, rispondendo alle esigenze dei viticoltori che richiedono una viticoltura a maggior sostenibilità ambientale e minori costi di gestione.

Per tutte queste ragioni, agli inizi degli anni ’80 un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano coordinati dal prof. Attilio Scienza, avvia una ricerca orientata ad ottenere portainnesti migliorativi rispetto a quelli utilizzati capaci di tollerare la siccità e resistere ad elevati tenori di calcare attivo nel terreno, raggiungendo nel giugno del 2014 l’ambizioso obbiettivo di iscrivere ben 4 nuovi portainnesti nel Registro Nazionale delle varietà. “Il cammino per arrivare alla valutazione delle caratteristiche agronomiche tali da giustificare l’inserimento dei nuovi portinnesti nel Registro nazionale è stato molto lungo – ricorda Scienza – All’inizio siamo partititi con spirito pionieristico, poche risorse e, quindi, limitate possibilità di valutare i risultati della sperimentazione. La ricerca marciava molto a rilento fino a che, nel 2010, arriva un finanziamento importante attraverso il Progetto Ager Serres, supportato da un consorzio di Fondazioni bancarie: il progetto di ricerca si allarga da Milano alle università di Padova, Torino e Piacenza, al CRA Vite di Conegliano e alla FEM di S. Michele all’Adige e i lavori subiscono una forte accelerazione che ci porta, in soli 3 anni, alla valutazione finale di questi 4 portainnesti – chiamati della “serie M” da Milano, sede dell’Università promotrice del progetto – per giungere, quest’anno, alla loro iscrizione nel Registro nazionale delle varietà”. A quel punto, si poneva la necessità di trasferire al mondo produttivo i risultati della ricerca, diffondere tra le aziende questi portainnesti che avevano mostrato in diversi ambienti performance nettamente superiori rispetto a quelli commerciali, e, nel contempo trovare nuove risorse per portare avanti la ricerca. Serviva cioè un partner commerciale ed imprenditoriale in grado di saldare quel gap tra ricerca e mercato che rimane una dei grandi problemi irrisolti del nostro Paese. L’anello mancante, arriva presto: in meno di tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei nuovi portainnesti, 9 aziende vinicole di primaria importanza (Ferrari, Zonin, Bertani Domains, Albino Armani, Banfi, Nettuno-Castellare, Cantina Due Palme, Claudio Quarta vignaiolo e Cantine Settesoli), che rappresentano le principali regioni viticole italiane dalle Alpi alla Sicilia, danno vita – insieme ad una società di supporto, la Bioverde Trentino, ed alla Fondazione di Venezia – a Winegraft, società nata con lo scopo di supportare la diffusione dei risultati della ricerca e finanziarne la prosecuzione. Sul piatto, mezzo milione di euro, che le aziende hanno messo a disposizione delle Università per i prossimi anni del progetto che ha di fronte un planning di sviluppo fino al 2030.

Un ponte tra ricerca e mercato, un sistema virtuoso di collaborazione tra università e impresa per lo sviluppo della vitivinicoltura di domani

Winegraft: chi e perché

 La società fondata da nove aziende vitivinicole di rilevanza nazionale – Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo,

Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Sette Soli –insieme a Fondazione di Venezia e Bioverde Trentino

Winegraft srl nasce nell’agosto del 2014 ad opera di un gruppo di primarie aziende vitivinicole di diverse regioni italiane – Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Sette Soli – insieme a Fondazione di Venezia e Bioverde Trentino (azienda di supporto tecnico per la gestione del vigneto) con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo della innovativa ricerca portata avanti dall’Università di Milano, sotto il coordinamento del prof. Attilio Scienza, su una nuova generazione di portainnesti per la vite.

Con un capitale di circa mezzo milione di Euro e attraverso lo spin-off di IpadLab, società specializzata nel campo della fito-diagnostica leader a livello internazionale che avrà anche il compito di monitorare la sanità e la corrispondenza genetica delle barbatelle prodotte con questi portinnesti, Winegraft finanzia e rilancia il lavoro del gruppo di ricerca dell’Università di Milano che dagli anni ’80 sta lavorando sui nuovi “portainnesti M”. Si organizza, così, un innovativo sistema virtuoso di collaborazione tra università, aziende e mercato che permetterà alla ricerca di finanziarsi con i proventi derivanti dalla commercializzazione dei nuovi portainnesti affidata, in esclusiva mondiale, ai Vivai Cooperativi Rauscedo.

Così il presidente di Winegraft Marcello Lunelli, vice presidente di Cantine Ferrari, spiega l’originale meccanismo che è riuscito a chiudere, per la prima volta nella storia del nostro Paese, il famoso circolo “università/ricerca-impresa/mercato”: “i diritti su questi portinnesti saranno esercitati da uno spin-off dell’Università di Milano, l’IpadLab, mentre i Vivai Cooperativi di Rauscedo si occuperanno della sviluppo industriale, dalla moltiplicazione alla commercializzazione del materiale vivaistico in tutto il mondo. Le royalty provenienti dalle vendite garantiranno la continuazione del progetto di ricerca”, una collaborazione, ha sottolineato il prof. Attilio Scienza “tra Winegraft e Università di Milano che consentirà di sviluppare nei prossimi anni nuovi portinnesti anche utilizzando tecniche diagnostiche molecolari innovative”.