Le carte del vino all’origine della crisi del vino


Tra una cosa e l’altra, visito oltre 200 tavole pubbliche all’anno ed è stato dunque facile rendersi conto ultimamente di come uno degli aspetti della crisi del vino ha origine proprio qui dove invece ci si aspetterebbe il rilancio.
Mi  è apparso molto chiaro visionando le carte dei vini della maggioranza dei locali al top, di quelli insomma, che dovrebbero fare tendenza. Ebbene, cosa è successo? Molto semplice, al netto di alcune eccezioni minoritarie, gli acquisti si sono fermati e molti vini alla page degli anni ’90 sono paralizzati come mosche nelle ragnatele, fermi come carri armati colpiti nel deserto.
Leggendo queste carte mi sono accorto di vedere nero su bianco l’origine delle attuali difficoltà. Anche alcuni stellati e bistellati tengono carte che nemmeno un’osteria di periferia potrebbe esibire.
Si tolgono cipolle e si pianta sangiovese per Brunello a Valle? La produzione dell’Amarone aumenta di un terzo? Famosi bianchisti campani si mettono a produrre rossi senza neanche avere vigne e magari neanche dalla stessa vigna ogni anno? Piccole aziende hanno più etichette di una cantina sociale pubblica?
La risposta a queste domande che in un paese enologicamente maturo sarebbe impensabile immaginare è nella sostanziale incoltura alla base delle scelte di acquisto.


Sappiamo come è andata, si è pagato cento euro bottiglie dal costo commerciale di tre euro e adesso nessuno è più disposto a ricomprarle per berle: meglio un Lambrusco da tre euro che un Supertuscan che vale tre euro è il ragionamento dei clienti.

Sembra incredibile, ma la crescita dell’importanza del vino nei ristoranti è stata così vorticosa da non creare la possibilità di formare gli acquirenti. E allora è successo o che si sono scartabellate le guide specializzate o che ci  si è affidati ai rappresentanti.
Adesso i ragionieri hanno chiuso i cordoni degli acquisti e c’è paura di investire.
Essendosi bloccato il ciclo degli acquisti per la crisi economica il risultato, molto triste, è di vedere carte assolutamente imbarazzanti e ferme ad una filosofia assolutamente opposta alla tendenza di mercato e di gusto che privilegia, per dare un titolo giornalistico, il silenzio efficace della cerbottana al rumore a casaccio del bazooka.


Ma in realtà, come dovrebbe essere costruita la carta del vino in un locale pubblico?
La risposta è semplice e difficile.
Un oste, ristoratore stellato, destrutturato, molecolare, pasta e fagioli, insomma chiunque fa da mangiare dovrebbe anzittuto comprare i vini che ben si accompagnano al proprio stile di cucina.
Ma questa evidenza semplice ha la difficoltà di doversi aggiornare perché poche categorie sono ignoranti di vino come gli osti e gli chef, anche se questo atteggiamento può essere nobilitato da un Marchesi che dice si debba bere solo acqua per capire il piatto.
Come dire, Marchesi è come Virna Lisi del dentrificio, con quella bocca può dire ciò che vuole e noi lo ammiriamo, ma in linea di massima non è mai saggio rispondere con estremismo a un estremismo.

Questa antinomia tra gli chef e il mondo del vino è esemplificativa di quel che è successo in Italia, dove mentre la cucina si alleggeriva sempre di più e si mangiava sempre di meno si sono prodotti vini più alcolici, più strutturati, più concentrati.
Una regione come la Campania che non ha problemi di vendita con i bianchi continua, parliamo del 2008, a piantare più uve rosse che bianche. Poi magari si lamenta se l’uva aglianico sta a 15 centesimi mentre la falanghina a 45.
Perché? Molto semplice, la seconda ha mercato, il primo no.

Il secondo criterio per formare una carta è lo stesso di quello del mercato delle azioni: vendere quando tutti acquistano e comprare quando gli altri vendono. In realtà adesso è il momento di comprare in Italia, fare affari dalla Val d’Aosta alla Sicilia è molto facile, a sapere qualcosa di vino.

Dove si pensa di andare se la bussola è completamente persa, se anche nel vino si riflette il solito pressapochismo italiano, l’incapacità di guardare sui tempi lunghi e soprattutto di tenere la barra dritta?

Ecco dunque che la crisi di questi anni ha evidenziato bene tutte le contraddizioni e i temi che quasi nessuno ha preferito ascoltare: in fondo un incidente stradale non ci interessa finché non siamo coinvolti personalmente.


Voglio però chiudere con una nota di ottimismo. Proprio perché l’Italia non è un paese vitivinicolo maturo, è possibile bere bene, benissimo, riuscendo a spendere cifre più che abbordabili.

Bere alla grande non è questione di tasca, ma soprattutto di cultura, aggiornamento e passione.
Diffidate dunque di quelle tavole dove ci si affida solo ai rappresentanti per costruire le carte: se la pensano così sul vino, perché nel mangiare dovrebbero essere seri e bravi?

Ossia, può essere una persona arronzona sul 50 per cento del conto e pignola sull’altro 50?

33 Commenti

  1. scusate per l’ot

    nel lasciare certamente la parola a chi ne sa piu’ di me ,cioè tutti, debbo pero’ dire che sono colpito dallo sguardo spaventato ma anche interessato della ragazza.

    di fronte ha certamente il guardiano del faro.

    ma cos’ha in mano per destare tanto stupore ,roberto’ ? forse la bottiglia di krug ‘ 61 che non trovava ?

  2. Analisi lucida e attenta della situazione attuale……questi secondo me i passaggi chiave:
    1)”Famosi bianchisti campani si mettono a produrre rossi senza neanche avere vigne e magari neanche dalla stessa vigna ogni anno? Piccole aziende hanno più etichette di una cantina sociale pubblica?”……
    2)”poche categorie sono ignoranti di vino come gli osti e gli chef ”
    3) “Diffidate dunque di quelle tavole dove ci si affida solo ai rappresentanti per costruire le carte: se la pensano così sul vino, perché nel mangiare dovrebbero essere seri e bravi?”…….
    RIFLETTETE,RISTORATORI,RIFLETTETE…………

  3. Quando scorro la carta dei vini di un ristorante campano, la richiudo spesso con grande delusione. I vini sono sempre gli stessi e riesco ad intuire con faciltà chi sia il fornitore. Il ristoratore quasi sempre sceglie la via della pigrizia e dell’ignoranza nella scelta dei vini. Mai che si affidi ad uno specialista del settore, un sommelier attento ed aggiornato, un po’ per presunzione, un po’ perchè proprio non ci arriva. Ma di recente ho avuto una piacevole sorpresa: in un piccolo ristorante, non dico ne’ dove ne’ il nome, scorrendo i nomi dei vini in carta, mi sono resa conto che il ristoratore è un attento lettore di questo blog. Innanzitutto non a caso è sommelier ed appassionato di vini, ma mi ha poi dato la possibilità di giocare piacevolmente nella scelta dei vini da abbinare ai vari piatti, cosa che in genere posso fare solo a casa mia. Quindi ho stappato un otiimo greco di tufo a prezzo contenuto, un buon fiano, e non i soliti con tanto di nome e poco contenuto, ed ho apprezzato anche il fatto che avesse della buone birre artigianali.

    1. perchè non ci dici chi è?i posti buoni vanno valorizzati.vorrei sapere anche il nome del greco di tufo che hai trovato buono,magari non lo conosco e la prossima volta lo provo.Grazie per la dritta :-D

  4. . Settembre 2007 .

    Il mio primo lavoro retribuito fu il “baby Giornalista”
    Mi piaceva seguire e commentare i Rally internazionali.
    Marku Alen godeva della mia massima simpatia: “Occi proplemi, tomani spera di finire sesto, settimo, o massimo ottimo…”
    Ne ho conosciuti di fenomeni anni 70/80, poi mi capitò di dover intervistare un senatore del rallysmo italiano, che non vinse mai un cxxxo di importante a livello internazionale, ma che verso fine carriera usava permettersi snobisticamente, presentarsi a bordo di una GTB Ferrari alla partenza.
    Ahimè! Non fui abbastanza preparato sulla sua brillante storia di prendi-fossi, e fui (GIUSTAMENTE) messo gentilmente alla porta, in quanto impreparato.
    Che poi il giorno dopo, quattro foglie quattro, ma umide, lo fecero capottare non fa differenza.
    Non era lui un grande Rallysta. Tanto meno ero io in grado di far quel mestiere senza preparazione.Non avevo onorato la mia presunta professione, retribuita.
    Qualunque fosse l’argomento da affrontare o il personaggio da intervistare.

    Ho fatto anche il rappresentante di diversi articoli, ma, mai di vini.
    Immagino sia una Mission Impossibile conoscere i vini che si vendono.
    Anzi, lo deve essere. Ne ho le prove ormai.

    Da anni, da quando faccio carte dei vini affronto i Piazzisti del Vino.

    “ Il nostro Brand è forte! Il marchio”***” è vincente, e facilmente riconoscibile. Ha visto il nostro Packaging? Bhe. Me lo lasci dire ,la nostra, è una collocazione d’alta gamma…”

    “ Scusi se la interrompo… Io vorrei acquistare del vino”


    “Buongiorno, rappresento queste aziende italiane, che ora andrò a presentarle”

    “Gentilissimo, grazie. E dovendo parlare di prodotti esteri cosa può propormi?”

    “ Qualche francese da questo catalogo di “***” , ma … tanto non si vendono…”

    “Bene, io vorrei questo, quest’altro e anche questo qui…”

    “ Ma è sicuro?”

    “ Lei deve prendere questi vini! La Sicilia va forte! E’ di moda, Si vende alla grande”

    “ Non dubito, magari ai wine bar che sbicchierano..”

    “ No.No. Il Nero d’Avola è un vino a tutto pasto”

    “ Abbia pazienza, ma il Piemonte ormai confina con le Alpi Marittime e non più con il Regno delle due Sicilie”


    “ Sa! Noi importiamo anche questo Sotern, Chateau Ykiem 2001 le può interessare? Costa 480 euro”

    “Caspita, si, però a quel prezzo…”

    “480 euro . La cassa da 12”

    “480 euro? 12 bottiglie?! Sicuro?

    “ Certo, + iva”

    “Ok! 20 casse”

    gdf

    1. tutto purtroppo vero……a Napoli diremmo: A’ pazziella in mano ai creaturi!” Questa è la enorme abbissale differenza tra noi ed i francesi; menomale che un pò di luce si vede con le nuove generazioni di produttori….. ( quelli che vengono dalla terra però…….e non da altri mestieri….)

    1. L’ordine fu fatto. Ma Ovviamente l’azienda non l’ha mai spedita quella roba, spedì il rappresentante, a fare altro nella vita.

      E’ altissima la percentuale di agenti che conoscono il vino solo per l’aspetto che ha sul catalogo .
      Per loro è solo un prodotto da vendere.
      Ne ho conosciuti pochi veramente professionali, e solo con quelli poi ho proseguito i rapporti.

    1. grazie per la dritta…..non l’ho mai provato…..il nome del locale proprio non me lo vuoi dire…….anche in privato([email protected]) anche se continuo a ritenere che i locali validi vadano condivisi con gli altri appassionati. :-)

      1. Bellissimo Bicchiere Lello…..come in verità diversi del circondario di Tufo provati di recente…. Complimenti a chi ha scritto l’articolo, fredda e lucida disamina della situazione…..

    2. secondo me il ristorante in questione si trova in penisola sorrentina ….visto che ho trovato una cosa analoga la settimana scorsa .

  5. Il mio punto di vista è leggermente diverso. Anzitutto molto della grave situazione nella quale si dimenano cantine e ristoratori dipende dalla crisi che è ben lontana dalla sua fine. Il resto, invece, è il risultato della politica sbagliata dei produttori di vino, che invece di puntare sulla specializzazione, tendono, con le dovute eccezioni (e meno male), a produrre di tutto e di più. Si va a rimorchio dei brand, delle “appellation”, delle doc e delle docg famose nella assurda convinzione che basta una fascetta a legittimare la qualità di un vino !!!
    La strada maestra, invece, è quella della zonazione, dei crus, delle micro-caratterizzazioni, per dirla alla francese delle “parcelle”che in italiano si dovrebbe tradurre “particelle”. Uno degli esempi più fulgidi di questa impostazione l’abbiamo visto sotto i riflettori della recente manifestazione ” Piccole Vigne ” di Castelvenere : il giovane e bravo enologo Luigi Sarno che ha vinificato separatamente un Fiano 2009 coltivato esclusivamente nella “particella 928 “, che gode, rispetto alla maggior parte dei suoi vigneti, di una esposizione molto particolare che gli consente di ottenere un prodotto eccezionale in termini di profumi e di struttura del vino, al di sopra della media dell’areale nel quale gravita.
    https://www.lucianopignataro.it/a/fiano-di-avellino-2009-docg-cantina-del-barone/14195/
    Ma potremmo fare tanti altri esempi di produttori illuminati che stanno puntando alla caratterizzazione delle loro produzioni, a cominciare, per continuare con l’ Irpinia e con il Fiano di Avellino, da Villa Raiano che è “uscita” sul mercato recentemente con due crus, a Villa Diamante che realizza un prodotto esclusivamente circoscritto nell’ areale di Montefredane, a Marsella esclusivamente areale di Summonte, Ciro Picariello che fa un blend , di cui solo lui ne conosce le percentuali di assemblaggio, areale di Summonte e areale di Montefredane, ecc. ecc.. Andate a vedere se qualcuno di questi ha bottiglie invendute…

  6. <>
    Salve a tutti: ne siete proprio così tanto sicuri? Inviterei ad una riflessione e ad una valutazione con i piedi per terra. Non continuiamo valutare tutto sempre di più.
    Il vino – soprattutto quello Campano – (la terra) non era, né mai poteva essere la net economy. L’augurio, ora, è che non ne condividi neanche la fine. Nel decidere di seguire le orme dei padri e dei nonni, nel produrre vino, la passione non basta, non è tutto. Probabilmente si sopravvive, e solo con la consapevolezza dell’attesa – in senso temporale – delle amarezze, della durezza che nessuno ti regalerà nulla, che non ci sono strade brevi, che non ci sono facilitatori. Diversamente no.
    Il sistema vino Campania è un gigante dai piedi d’argilla e per di più acefalo? È una balena spiaggiata, che ha smarrito la rotta e troppo pesante per riprendere il largo? E i primi timidissimi segnali di ripresa che arrivano se durano saranno sufficienti a far ritrovare almeno la linea di galleggiamento alla nave delle botti Campane?
    Ben lieto al confronto, se e quando vorrete, magari sono io che mi sbaglio e de visu attorno a un tavolo. Niente convegni, finiscono nella carta riciclata.
    buon lavoro e cordiali saluti

    1. Bene, dott. Mastroberardino, se lei ha una ricetta diversa…anche io, piccolo produttore di Fiano, avrei piacere di confrontarmi con lei in merito, soprattutto in quanto vicepresidente del Consorzio di Tutela dei vini dell’ Irpinia. Sono d’accordo con lei, niente convegni, attorno ad un buon tavolo di castagno massello con un pezzo di Carmasciano e una soppressata, naturalmente lei avrà cura di deliziarci con ” Il Principio” 2004 Terradora, che tra l’altro è di casa a Tenuta Montelaura.
      Luciano, a quando?

      1. Gentilissimo,
        la sua risposta, ringraziandola dell’invito, mi da spunto per dire che forse, forse sarebbe il Consorzio la sede per tale riflessione.
        La seconda riflessione, subito dopo, che mi viene è che però la stragrande maggioranza delle aziende nuove nate e non solo in provincia di Avellino si è sempre ben guardata dall’aderire al Consorzio. A differenza del resto d’Italia, dove la prima azione di ogni azienda che nasce è quella di iscriversi al consorzio, su oltre 180 aziende che, oggi, vinificano ed imbottigliano solo un quarto è iscritta al Consorzio.
        Con fatica, comunque, il Consorzio è nato e rappresenta larga parte della produzione.
        Dove sta allora il vulnus? Secondo me nell’idea che il Consorzio è un disegno per avvantaggiare le solite aziende grandi che ormai sono conosciute, a svantaggio e costo dei piccoli produttori.
        La domanda più frequente che si ascolta e si legge è: <>.
        Non si capisce, meglio non capisco e forse è solo un mio deficit persoanle, ma il Consorzio con il contributo e l’operato di chi e di quali aziende deve e/o dovrebbe operare?
        Non aderendo e non partecipando alle iniziative proposte da Bianchi Irpinia ad Anteprima Taurasi ad Anteprima Irpinia, ci si dà da fare più a non far riusicere le poche iniziative che il Consorzio – con le limitate risorse che ha – può mettere in atto e nella disposizione della collettività della nostra realtà produttiva. L’ultimo esempio: Anteprima Irpinia solo 31 aziende partecipanti!
        Con l’approccio di chi si auto-considera detentore della visone assoluta del nostro settore causa l’essere, al tempo stesso, “contadino” e “winemaker”, (anziché considerarsi imprenditore), nella nostra provincia si è consolidata una barriera culturale alimentata dall’ossessione del “cartello dei blasonati”.
        Una miriade di piccoli-medi produttori Irpini rifiuta di maturare una coscienza e cultura consortile di tutela e valorizzazione del vino, preferendo porsi alla pari o sopra di quelli che da tempo hanno avviato un percorso di crescita, inclusivo da sempre di adeguato supporto anche pubblicitario generato con proprie risorse. Anche questo porta a cantine piene di vino. Invenduto!
        Lungi dal lamentarsi, perché lamentarsi per lamentarsi è un gioco al quale gli imprenditori seri non dovrebbero mai abbandonarsi, non è nascondendo i problemi che questi possono essere risolti.
        I miei più cordiali saluti

        1. Anzitutto la ringrazio per aver affrontato l’argomento, e “senza svicolare” è andato dritto dritto al nocciolo della questione. Ma se mi permette, le sue affermazioni sono alquanto contraddittorie :
          se da un lato riconosce che su oltre 180 aziende, solo un quarto di esse (cioè 45) sono iscritte al consorzio, poi però dice che il consorzio rappresenta larga parte della produzione. Che significa, è una svista o intende dire che le più forti, in termini di numeri, stanno col Consorzio? Ma me lo lasci dire, se come giustamente fa notare solo 31 aziende hanno partecipato ad Anteprima Irpinia, questo è molto grave, significa che non hanno partecipato nemmeno tutte le aziende che aderiscono al consorzio, e forse nemmeno tutte quelle che hanno la rappresentanza in consiglio !!! Allora qualche problema ci sta già all’interno degli organismi…Se il consorzio è visto “come un disegno per avvantaggiare le solite grandi aziende” è perchè probabilmente chi ne è a capo, e non mi riferisco alla famiglia Mastroberardino, è impresentabile e non rappresenta produttori, sia di uve che di vino!!!
          Non è lamentarsi, il denunciare che il consorzio è fermo nella fatalistica interpretazione che
          “non c’è adesione ecchèdobbiamofare “, piuttosto ci chiediamo perchè non si è capaci di aggregare consenso? La risposta credo sia, oltre che nella scarsa, direi ormai nulla , credibilità di personaggi che hanno il piede in molte staffe, anche su come tali personaggi si sono adoperati per far fallire le pochissime iniziative messe in campo per la promozione dei nostri vini, tipo Bianchirpinia , che era una manifestazione a sè e che quest’anno maldestramente e con scarsissimi risultati si è tentato di accorpare ad Anteprima Irpinia, tipo la Fiera Enologica di Taurasi, fatta saltare l’anno scorso, tipo Anteprima Taurasi che si fa quando capita, cioè quando potenzialmente può fruttare il massimo in termini elettorali…
          Queste non sono lamentele, dott. Mastroberardino, sono denuncie che dovrebbero essere valutate per eventualmente prendere le opportune misure!!! C’è da ricostruire un rapporto con i produttori, soprattutto i piccoli, proponendo loro un nuovo programma, serio e responsabile, sapendo che il futuro è la qualità, non la quantità, quindi il faro che ci dovrà condurre in porto è la caratterizzazione dei prodotti e delle aziende attraverso la zonazione, la creazione di crus, la biodinamica ecc. ecc. : in Italia e nel mondo si beve sempre meno, ma sempre meglio !!!
          Cordialmente la saluto
          P.S. L’invito è sempre valido.

          1. Dei problemi dei vini irpini poco ne so ma mi interessa la soppressata dell’invito……posso unirmi a voi?così mentre voi ve le suonate(nessun metodo migliore per risolvere questioni del genere) io mangio il salume magari con un bel pezzo di pane della vecchia che tu conosci……se qualcuno si vuole unire sappia che gli lascio il carmasciano ma sui salumi non faccio sconti se buoni come quelli di Lello.

          2. Lello, con schiettezza e linearità, e mi auguro senza fraintendimenti, non ricerco e non mi appassiona il gioco delle parti.
            La Sua risposta conferma la fondatezza delle mie osservazioni e le mie affermazioni, lungi dall’essere contraddittorie, restituiscono lo stato dei fatti e la realtà delle cose.
            In primis, se le aziende più grandi con le altre che hanno aderito al Consorzio per prime, ciò restituisce che queste sono le aziende che hanno creduto nel progetto e capito che se da solo si possa andare certamente più veloce, forse insieme si riesce ad arrivare anche più lontani. Questo lo si fa, nel caso di decidere l’adesione al Consorzio di Tutela, indipendentemente dal chi c’è e dal chi non c’è.
            In generale, è più facile parlar in sfavore che aderire, impegnarsi, confrontarsi e coagulare il consenso per contribuire al cambiamento e alla crescita. Richiede risorse e impegno: umano, temporali e spesso economiche.
            Il cambiamento si ottiene solo lavorando e da dentro, come fisiologicamente è naturale che sia.
            Invece, in questa storia la logica aventiniana la fa da padrona. Non mi sta bene? Sto fuori, tanto comunque parlo lo stesso! Ma parlare senza produrre conseguenze è improduttivo. E sarà così fin quando Lei, che si definisce piccolo produttore di Fiano, e tutti gli altri non aderirete al Consorzio.
            I consorzi non funzionano per cooptazione, ma per adesione. Per poter tramutare le Sue osservazioni in azioni e decisioni, bisogna che Lei sia dentro si includa. Se Lei ritiene che bisogni cambiare perché non entra e porta avanti le proposte e i progetti di cambiamento? Su cui democraticamente confrontarsi, non qui con me, misurarsi e pesarsi.
            Il sottoscritto e la Sua azienda, dopo aver speso in prima persona tre anni pieni ed intensi (sottratti alla propria vita personale e alla propria azienda) in colloqui e confronti aspri e duri, nel giorno della costituzione del consorzio non fu né ricompreso e né rappresentato nell’organo di amministrazione del Consorzio; ciononostante e tra la sorpresa di tutti aderì al progetto. Tanti al momento di sottoscrivere, presenti in sala, invece, non vedendosi “premiati” fecero finta di non sentire e restarono così fuori. Lei sottolinea che sono un vicepresidente del Consorzio. Questo a distanza di anni.
            E’ chiaro che ad un progetto si aderisce sulla base di valutazioni che sono: credo al progetto sì o no? è funzionale ai miei interessi sì o no? lo condivido sì o no? Mi impegno sì o no? Lo supporto, anche economicamente, sì o no?
            Ciò detto ne consegue che se credo nell’importanza e nella fondatezza strategica del progetto io al progetto aderisco, a priori, e non perché si viene elitariamente cooptati o invitati. (tutte le aziende furono invitate e post costituzione, mio zio, l’allora presidente per mesi girò l’Irpinia bussando a tutte le porte, comune per comune). Un Consorzio Vini non è una consorteria, meno che mai, una confraternita.
            Concludo, sul di Lei “ecchèdobbiamofare”: se non ricordo male dalle nostri parti si usa dire che “senza soldi non c’è messa cantata”.
            Mi esimo dal rispondere alla Sua osservazione: “nella scarsa, direi ormai nulla, credibilità di personaggi che hanno il piede in molte staffe” perché troppo generica. Di più: da Consorziato Lei e tutti avrebbero il diritto, oltre la possibilità, di rivolgere l’osservazione direttamente nel muso degli eventuali interessati. Per il bene della vitivinicoltura Irpina basta con la tecnica “del sasso nello stagno”.
            “Le pochissime iniziative messe in campo per la promozione dei nostri vini”, in aggiunta alle mie osservazioni, una riflessione: la pretesa del gratis tutto e sempre ha portato l’Italia e la Campania al disastro finanziario oltre all’impossibilità, oggi, di disporre di qualunque risorsa aggiuntiva. Figurarsi poi con le aziende che si rifiutano di pagare anche qualche centinaio di Euro per contribuire alle manifestazioni.
            Personalmente non posso risponderle sui “termini elettorali” da Lei sollevati, non essendo impegnato in qualunque genere di attività politica e non avendone ambizione e poi veda quanto sopra detto.
            “Le denunce”, la sede per produrre cambiamenti è l’assemblea dei soci del consorzio e il suo Cda, il che presuppone diventarne almeno soci. Invito Lei e tutti a pensarci seriamente.
            “Come ricostruire il rapporto con i piccoli”: le “madonne” – mi scusi l’essere tagliente – si pregano in chiesa sperando in un miracolo. Più di piccoli, a tutti quelli che son fuori ribadisco basta entrare mettersi insieme e generare i cambiamenti. Inoltre, non abbiamo bisogno di generare miracoli, ma, come nel mio precedente post, che la miriade di piccoli-medi produttori maturi una coscienza e cultura consortile di tutela e valorizzazione del vino.
            Per tutto il resto Lei suggerisce, a costo di esser ripetitivo e noioso, ma Lei i soldi dove penserebbe di recuperarli? Dalla mia personale esperienza, razionalmente, dal nulla può generarsi solo il nulla.
            Infine, il primo post poneva delle considerazioni a partire dall’affermazione: “una regione come la Campania che non ha problemi di vendita con i bianchi continua, parliamo del 2008, a piantare più uve rosse che bianche. Poi magari si lamenta se l’uva aglianico sta a 15 centesimi mentre la falanghina a 45.” Considerata la piega presa dall’argomento, vorrei avanzare una proposta all’amministratore del Blog: perché non dedicate una finestra appositamente dedicata, magari trasferendo questi post, così vediamo cosa salta fuori. Chiedo scusa nel caso di uso non appropriato della terminologia del blog, ma non sono granché erudito in materia.
            Cordialmente

          3. Teoricamente tutto giusto quello che dice. Particolarmente nell’affermazione del principio che le battaglie si combattono dall’interno. Ma le sfugge un particolare : il sottoscritto è socio del consorzio di tutela, e così come tanti altri, non condividendone la “politica”, più volte è intervenuto in assemblea e queste cose che scrivo qui, le ho denunciate in quella sede. Ricordo l’ultima occasione, la penultima assemblea, nella quale ebbi pure un confronto abbastanza vivace, ma molto civile, con suo cugino, il prof. Piero, proprio in merito a tali questioni!!! Quindi non mi può accusare di lanciare il sasso e nascondere la mano. Comprendo la sua delicata posizione, e conosco la sua correttezza per cui capisco che non può fare altro che difendere questa gestione a tutti i costi, anche se sono convinto che nel suo intimo alcune cose non le condivide. Ad ogni buon conto, nel merito delle proposte concrete che pure ho avanzato, anche se per grandi linee, comunque non mi ha risposto ! E poi, mi lasci dire, mettiamo da parte l’orgoglio personale, e andiamole a pregare “le madonne”, perchè il consorzio è tanto più forte quanto più è rappresentativo, e mi consenta, non in termini di quantità di produzione, non sarebbe qualificante !!! Mi rendo conto, comunque, che la sede istituzionale per tali discussioni, e qui le dò ragione, è l’assemblea del Consorzio, anche se Luciano è ben lieto di ospitare tali dibattiti che sicuramente ci fanno crescere e contribuiscono a fare luce su quelli che sono i problemi che stiamo vivendo tutti insieme, produttori di uve e produttori di vino, piccoli , ” mezzani ” e grandi. “Least but not last “, mi intriga la sua proposta dell’ultimo capoverso, che quoto e sottoscrivo in toto, premurandomi di girarla a Luciano.
            Con cordialità

  7. Da Ristoratore penso che sia giunta l’ ora di darsi qualche bottigliata alla Tafazzi . Prendiamo un vino che esce dalla cantina a 10 euro + iva , dopo vari passaggi arriverà in carta ad almeno 25 euro , è giusto ? Il produttore si accolla tutti i rischi di produzione , climatici , di mercato per 10 euro mentre il rivenditore per 13,5 ( 15 – iva ) ha il rischio di vendita e della propria incapacità a comprare . Questo per ricarichi modesti , se poi fai 3/4 volte hai voglia a lamentarti che non vendi !!! Se poi dici che in un locale il vino è l’ unica cosa che ha un costo certo e quindi puoi guadagnare matematicamente , vuol dire che non hai capito niente di investimenti .Non tiriamo fuori che all’ estero i vini costano molto di più , vero ma qui siamo in Italia per fortuna e nella stragrande maggioranza dei casi spendere 30 euro per una bottiglia di vino è inconcepibile . Che fare dunque ? Io direi di darsi tutti una regolata , i produttori ” famosi ” con prezzi fantasiosi e ristoratori con problemi di cantina . Ripeto per chi non mi conosce sono un ristoratore con un migliaio di etichette in carta con un momento di lucidità

    1. Concordo pienamente con quanto da Lei affermato. Anzi, è davvero confortante verificare che c’è qualche ristoratore consapevole dei gravi errori commessi dalla sua categoria, errori che sono da ascrivere tra le cause basali del calo dei consumi interni di vino (soprattutto nel fuoricasa, che dovrebbe costituire, oltre che un momento di mero consumo, anche un contesto di esaltazione emozionale, di crescita culturale e via così. Io credo molto nella funzione “culturale” della ristorazione. Ma raggruppando i dati del territorio dove vivo e quelli che si possono pescare dalle fonti tecniche, è evidente che l’Italia, il Bel Paese, depositario della cultura enogastronomica mediterranea, è paradossalmente, come ha giustamente sottolineato Luciano, “un paese non maturo”. L’italiano medio, indubbiamente, non sa né mangiare, né bere. E’ questo è anche dovuto al fatto che ci sono pochi veri ristoratori, in giro. Quanto lavoro c’è ancora da fare!

  8. Con le aziende presenti alle Piccole Vigne si potrebbe fare una grande carta dei vini. Magari !

  9. i sistemi per far guadagnare le aziende e per far una buona carta dei vini ci sono.I locali che si affidano a persone affidabili come i sommelier qualificati che hanno un bagaglio professionale costruito con le esperienze sul campo nei locali e nelle aziende , hanno grandi opportunità perchè si possono fare grandi cose .Sono ancora mosche bianche,sopratutto in Campania ma ci sono.La crisi e il mercato che cambia non lascia spazio a quelli che restano immobili fermi.Guardate ogni sera nei locali quanti tavoli hanno vino e quanti hanno vini che costano.Fino a qualche anno fa i tavoli erano pieni di bottiglie e molto erano costose anche in modo esagerato.
    1.CAMBIARE DIREZIONE :
    I ristoratori devono cambiare il modo di proporre i vini ,una carta semplice non eccessiva , fatta di vini di qualità con un buon rapporto qualità prezzo.Sviluppare politiche di partnership con i produttori per gestire le cantine e gli stock in maniera da dividere i costi e rischi.
    Avviare la politica della mescita a bicchiere.Educare i propri clienti e appassionarli .
    La sintonia dei vini con i piatti proposti è una priorità.

    2.PROFESSIONALITA’
    Devono affidarsi a consulenti esperti , non importa che siamo dipendenti o solo consultati nella preaparazione della carta e dei prodotto ,l’importante e che non siano legati a guide e interessi di parte, Persone che fanno del loro lavoro una passione. Un Sommelier, degustatore esperto che abbia anni di esperienza.

  10. “In realtà adesso è il momento di comprare in Italia, fare affari dalla Val d’Aosta alla Sicilia è molto facile, a sapere qualcosa di vino”…
    Scusate, forse, il candore: ma questo vale solo per gli acquirenti professionali (enoteche, ristoratori) o anche per me normale consumatore?
    In enoteca non ho notato cambiamenti di trend nei prezzi, mentre purtroppo mi è capitato di acquistare bottiglie direttamente in cantina e poi scoprire di avere pagato un prezzo uguale o addirittura superiore a quello praticato al dettaglio…

    1. Tranquillo Antonio, il consumatore se lo prende comunque in quel posto. I produttori hanno le cantine piene di invenduto, i ristoranti hanno le carte piene di bottiglie che nessuno compra, ma di abbassare i prezzi per il consumatore finale non passa neanche per l’anticamera del cervello a nessuno :-D In Italia la legge della domanda e dell’offerta non è mai stata in vigore. O meglio, funziona sempre quando si tratta di alzare i prezzi, mai quando si dovrebbe abbassarli

  11. permettemi, con infinita stima, di dire che non sono d’accordo. O meglio, tutto vero, tutto giusto, ma a mio avviso il grande calo della vendita del vino al ristorante è determinato dal terrorismo dell’etilometro. Chiaro che la “bolla” speculativa dei “vini con la cravatta” sia finita, però nè questo nè il costo dei vini per i consecutivi è una causa, son cose su piani diversi… i clienti spesso hanno paura di rimettersi alla guida, cosa che bene o male la stragrande maggioranza di loro deve fare.

  12. La crisi del vino secondo me , è determinata da una serie di fattori :
    1) carta dei vini :è l’estrinsecazione ,il rapportarsi all’esterno , quindi al consumatore-cliente , della “combine” tra il rappresentante dell’azienda e il ristoratore;ossia il primo magnifica , mette in luce il prodotto che deve vendere e il secondo ritiene opportuno adattare il “prezzo” a questo vino “stellare” secondo la solita legge(cà nisciun è fess””)….e il consumatore lo prende….in saccoccia!
    2)L’azienda “famosa”compra l’uva a prezzi stracciati e ,grazie ad un’opera di marketing e battage pubblicitario , vende il proprio prodotto a prezzi ….iperbolici!, (in molti casi famose aziende non sviluppano neanche un indotto locale,quindi con ripercussione lavorativa in negativo , su mano d’opera “locale” , perchè si pensa che altrove si lavori meglio , quindi io consumatore lo prendo in ….saccoccia per la seconda volta!!
    3) il mancato aggiornamento o meglio “il saper del vino” di alcuni ristoratori o chef , che , per essere “alla page”, e pe rl’ubicazione del locale , ritengono opportuno lievitare il prezzo della bottiglia!………per non roipetermi …va tutto ….in saccoccia!!
    4)L’etilometro ,svolge anche un ruolo rilevante nella crisi del vino……..per cui , quali rimedi??……
    mescita a bicchiere!
    al bando ristoratori con carte “stellari”
    ritorno all’acqua ,come dice Marchesi , per capire un piatto!!!(estrema ratio!!)

  13. Salve.
    Scusate l’intrusione………
    Di solito non sono abituato ad intromettermi nei blog….
    Volevo solo lasciare la mia impressione su quanto discusso a proposito della carta dei vini!
    Lavoro nel piu rinomato (forse) ristorante di Venezia faccio il maitre ed assieme ad altri 4 colleghi maitre (due sommelier AIS e gli altri tre uno al 2° livello e due al terzo livello non ancora “diplomati” , scusate il vanto di professionalità ci sono in ballo quasi 150 anni di professionalità) per mesi abbiamo affrontato lo studio della nuova carta dei vini ed alla fine abbiamo “partorito”, territorio e territorialità era il nostro obbiettivo lasciando il giusto spazio alle etichette di riferimento inernazionale premiando le aziende che esaltavano le caratteristiche del vitigno più che la internazionalizzazione del prodottto per adattarlo alla domanda.
    Risultato? Carta straccia! Il food and beverage si è appoggiato ad un grosso fornitore dove assicurava la consegna delle tre/sei bottiglie nel giro di 24 ore dalla richiesta (immaginatevi di fare 80/90 coperti con 6 bottiglie di Pinot Grigio di fascia media ed una media di 15/20 etichette mancanti tutti i giorni), con il conseguente impatto sulla carta dei vini di etichette che non centrano niente con il menù e che la cucina stagionale potrà avvalersi sempre delle solite etichette inflazionate. Ci sono gli asparagi di Bassano dop o i porcini dell Asolano in menù? L’importante è che a fine mese i vini venduti devono appartenere come da budget, alla percentuale prestabilita della fascia verde (quella con il più alto margine di guadagno).
    Non gliene frega un CxxxxO che da tempi immemorabili nel trevigiano il famoso radicchio di treviso tardivo ha il suo vino o che il Raboso del Piave è un vino decantato dai Romani (il Pecino)…………
    Morale? I grandi ristoranti, quelli che devono fare tendenza, devono fare profit!
    Un’altra cosa soltanto. Un giorno mi è stato chiesto di abbinare ad un menu a tema una serie di vini sponsorizzati da alcune aziende (gratuitamente forniti) che nulla avevano in comune con il menu della serata, non c’è stato verso di far capire che gli abbinamenti non si potevano fare a meno chè gli ospiti non ne capissero nulle di enogastronomia…………. e così è stato!!!
    A voi le conclusioni.
    Grazie per avermi dato la possibilità di essere inetrvenuto e scusate lo sfogo.
    Fabio

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