Maddalena Fossati: la cucina è un valore identitario e noi lo abbiamo capito


La direttrice della Cucina Italiana

Maddalena Fossati, direttrice della Cucina Italiana

 

di Santa Di Salvo

Paradossalmente, sono stati i dieci anni vissuti a Parigi a farle apprezzare incondizionatamente la cucina italiana. Per comparazione?
«No, perché i francesi mi hanno insegnato come si protegge la propria identità alimentare. Lo sanno fare benissimo. Noi ancora no».
Maddalena Fossati, milanese, sette anni a Vanity Fair, dal 2017 direttrice de La Cucina Italiana, ha lavorato alacremente in questi anni per arrivare alla candidatura Unesco della nostra cucina, “patrimonio immateriale” in cui ciascuno di noi italiani sembra identificarsi fin dai primi ricordi familiari.
«Sì, ma dirlo e scriverne non è stato sempre materia così rilevante. Prima le pagine di food erano a circolazione limitata. Mi sono sempre chiesta perché investiamo tanto in abiti, in viaggi e poi prestiamo scarsa attenzione al cibo che introduciamo nel nostro corpo».
Per fortuna il vento è cambiato. Oggi la cucina la prendiamo sul serio. Anche troppo.
«Negli ultimi anni una nuova, positiva consapevolezza sta accompagnando la nostra tavola. Certo, non bisogna esagerare con l’aggressività di certi approcci. Troppi elementi esterni, troppa maniera, troppe mode. Ma l’importante è aver capito che il cibo è cultura, che per ciascuno di noi ha un profondo significato esistenziale».
Questo, del resto, è un tema costitutivo della storica testata che lei dirige. Fu La Cucina Italiana a radunare attorno a sé negli anni Trenta un bel gruppo di intellettuali interessati alla materia (Marinetti, Bontempelli, Buzzi, Ungaretti).
«Infatti. E in qualche modo ho voluto richiamarmi alle origini progettando una rivista che non contenesse solo cento ricette, ma si aprisse a contributi culturali come le ricette di Casa Leopardi, i piatti sulla via della Seta di Marco Polo. Di recente chiesto a Paolo Fresu le sue ricette, lui adora cucinare».
In questa direzione anche l’idea di affidare un numero della rivista a un direttore ospite. Il primo è stato Massimo Bottura.
«Esiste un rischio reale di frattura tra la cucina di casa e quella dei grandi chef. Come si fa a rinnegare l’una a favore dell’altra? Così ho invitato molti amici chef a raccontarci le ricette di mamme e nonne, per una visione integrata che penso sia quella che ci salverà. Così è nata anche la collaborazione con Bottura».
Collaborazione che è diventata un progetto più ampio.
«Massimo è lo chef che meglio incarna l’identità italiana. Condividiamo la sua idea che la cucina oggi sia come una bottega rinascimentale, dove il cuoco è un elemento e attorno c’è tutta la filiera. Uno così non poteva non essere parte integrante dell’impresa legata alla candidatura Unesco. Poi sono arrivati gli altri chef amici: Cracco, Oldani, Cannavacciuolo, Klugmann. Importante anche l’endorsement di Alain Ducasse: “cucina italiana patrimonio dell’umanità? Pensavo già lo fosse”.
Che sia una candidatura tardiva lo pensano in molti. Altre cucine, meno rilevanti della nostra, hanno già ottenuto il riconoscimento Unesco.
«C’è una differenza. Messico, Corea, Francia e Giappone lo hanno avuto solo per alcuni aspetti. Noi la chiediamo totalmente».
A che punto è la pratica?
«Assieme all’Accademia Italiana della Cucina e a Casa Artusi, che hanno presentato con noi la domanda, stiamo lavorando presso il Ministero della Cultura ad arricchire il dossier opera di Pier Luigi Petrillo, che è in consegna a Parigi. La decisione è attesa per dicembre 2025».
Ma perché è importante questo riconoscimento?
«Innanzitutto per noi. Perché la cucina è il valore identitario più forte che ha l’Italia. La nostra tavola è un insieme di pratiche sociali, di riti, di saperi. Pur essendo diversi, ci riconosciamo italiani quando ci sediamo a mangiare insieme. Poi è prestigioso per il resto del mondo, e anche perché la nostra enogastronomia è un potente motore turistico».
Diventeremo più responsabili?
«Lo spero. Riconoscendo l’importanza culturale, l’Unesco ci invita a proteggere il patrimonio che abbiamo candidato. Per nuove generazioni più consapevoli e più sane, uno dei primi passi sarebbe quello di insegnare questa materia fin dalle elementari. Gli ingredienti, la spesa, i rudimenti della cucina. I ventenni di oggi ordinano molto on line, va bene, ma bisogna ricordare loro che la cucina di casa deve funzionare. Sedersi a tavola e consumare un pasto insieme, colazione pranzo cena, è il vero modello esistenziale ecologico che renderà migliore il nostro futuro».

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