More Maiorum 1999 Fiano di Avellino doc


More Maiorum 1999

More Maiorum 1999

 

In primo luogo un consiglio di natura generale: quando vi trovate di fronte ad una 1999 non esitate, bianco o rosso che sia, è stata la vera ultima grande annata del vino, con grappoli pieni e sani grazie ad un andamento climatico perfetto. E, a proposito di bianco, è davvero bello ritrovare il More Maiorum di questo millesimo e poterlo stappare con la granitica certezza che potremo godere come ricci. A oltre 21 anni da quella magnifica vendemmia questo Fiano, il primo trattato sui tempi lunghi e con un passaggio in legno grande, si presenta semplicemente perfetto, la buona acidità ci preserva dalla evoluzione naturale verso il dolce di questo vitigno, al naso crema pasticcera, zafferano, miele, cenno fumè, agrumato candito.
Al palato beva sicura, non ossidata, con un allungo amaro deciso e piacevole. Insomma, un piccolo grande capolavoro bevuto a Punto Nave.

More Maiorum 1999 Fiano di Avellino doc

 

Scheda del 12 novembre 2016. Alla fine resta l’amaro. L’amaro che ripulisce, gratifica il palato, allontana il ricordo della dolcezza del naso e della frutta al palato. Cosa sarebbe la vita senza un po’ di amaro nel finale? È la spinta necessaria per riprendersi e ripartire, con un nuovo sorso.
Sempre magnifico questo More Maiorum 1999 che seguiamo con passione dalla nasciate e che ad ogni beva non finisce di stupirci. Ci colpisce, e che ve lo dico a fare, la sua stupenda freschezza che resta viva anche dopo tutti questi anni, a dimostrazione della potenza di un vitigno che davvero non teme confronti con nessun’altra uva a bacca bianca. È solo una questione di saper centrare il protocollo, il tipo di legno, se e come usarlo, poi siamo in presenza di un vitigno, il Fiano, che con il tempo ha solo da guadagnare in evoluzione e complessità.
Già, ma questi vini come vanno bevuti? Noi siamo convinti che dopo un certo numero di anni diventino assolutamente preminenti rispetto al cibo, anzi, meglio se sono bevuti assoluti, da soli, quasi in meditazione: sul tempo passato, sulla capacità di resistenza, sulle potenzialità che ancora hanno da esprimere nei prossimi anni se davvero le aziende avranno voglia di crederci. Questa etichetta fu lanciata dalla Mastroberardino negli anni ‘90 e secondo il nostro punto di vista dovrebbe crederci almeno quanto avviene con il Taurasi. Siamo infatti convinti che solo una grande azienda può avere la forza di conservare la cassaforta del tempo, lo stoccaggio necessario. Non è un vino d’antan anche se il legno è preminente rispetto ai gusti attuali. Ma è quell’amaro finale, tipico della frutta oltre che dei prodotti della terra dell’Irpinia, che ci riporta alla realtà concreta, quella di un vitigno unico con enormi possibilità di crescita nei prossimi anni. Basta saper aspettare, non aver paura di sperimentare.

Scheda del 3 aprile 2012. Adoro il Fiano invecchiato, sono pochi i bianchi italiani capaci di prendermi per mano e accompagnarmi alla soglia della irrealtà, quella fermata del percorso in cui non c’è altra condivisione se non con la capacità di stare bene con se stessi. Mastroberardino è il primo ad avere iniziato il ragionamento, metà anni ’90, il Fiano in grandi botti e via per un paio di anni in più. I risultati di questa sperimentazione dividono, come tutte le cose in Italia: i puristi preferiscono l’acciaio, ma in effetti cosa è più tradizionale, il legno o l’acciaio? Le disquisizioni sul mezzo lasciano in realtà il tempo che trovano, non hanno anzi alcuna importanza quando sono frutto di ragionamenti e non di ricerca della scorciatoia commerciale per poter piacere a tutti.
Il More Maiorum 1999, di recente provato al ristorante aziendale Morabianca dove cucina pulito, semplice ed efficace Francesco Spagnuolo, grande rifacitore di materia prima irpina. Bello bere seduti tra le vigne del Radici Resort nella sala illuminata, l’idea di un miglioramento netto e assoluto della percezione della civiltà rurale rispetto al passato di abbandono, di paura e di umiliazione.
Il More oscilla tra il frutto maturo e dorato, pesca, e le spezie del legno, allungo fumé piacevole e interessante, ciccia snella, dinamismo e allungo nel finale con bocca pulita e ben asciutta. Uno stile Mastroberardino, direi, in cui si richiede concentrazione mentale e attesa, una metafora del carattere montanaro irpino. Interessante, ampio, da meditazione, da bere magari appena appena fresco, mai freddo, giocarci con il naso nel bicchiere per vedere gli effetti del tempo sulla potenza di un vitigno capace di esprimersi al meglio mai prima di tre o quattro anni della vendemmia. Ma soprattutto l’orgoglio di consigliare un vino bianco campano di tredici anni fa che chiunque può comprare a prezzo accessibile recandosi semplicemente in azienda. La vera marcia in più di una vera azienda vitivinicola.

Scheda del 7 aprile 2009. Il Fiano More Maiorum, fino ad oggi, non mi aveva mai francamente convinto. E’ un Fiano lungamente passato in barrique e lungamente invecchiato. Ma la bottiglia di oggi aveva finale lungo, grande complessità, acidità precisa ed ancora gagliarda (dopo 10 anni..): gusto moderno, frutto integro (la nota iniziale di camomilla essiccata è stata seguita da una bella pesca bianca; però c’è stata scarsa nocciolosità), profilo organolettico ovviamente terziarizzato giocato su una vaniglia molto anni ‘90, tanto complesso quanto comunque ben bilanciato. Potente nota fumé in chiusura a cui seguirà una maschile eco minerale e speziata. Fiano: vitigno impossibile da capire fino in fondo, degustazione sempre incasinata.
Mastroberardino è da quindici anni che fa esperimenti sulle vigne del More Maiorum di Lapio, e questa cinquantina di barrique vintage ’99 a vendemmia ottobrina, per me le ha finalmente azzeccate.
Colore simile all’oro per un bellissimo gioco di rimandi: primari-terziari-primari-terziari… Berlo è un piccolo spasso, zero maderizzazione, abbinamento ideale su pastiere (di riso o di grano) urbane o meglio ancora se rustiche, in cui il rimando del profumo del forno a legna coi terziari del Fiano invecchiato è una favola (provare, provare, provare). Funziona anche sull’uovo di cioccolata: provare, provare, provare. Stavolta mi devo ricredere: di questa bottiglia ne voglio stappare un’altra, l’importante però è attenderla circa 3 ore per farla (ri)aprire alla vita e poi finalmente godermela!  Questa scheda è di Gaspare Pellecchia

Sede ad Atripalda, Via Manfredi, 75-81
Tel. 0825.614111, fax 0825.611431
www.mastroberardino.com
Enologo: Piero Mastroberardino e Massimo Di Renzo
Bottiglie prodotte: 2.700.000
Ettari: 200 di proprietà e 60 in conduzione
Vitigni: aglianico, piedirosso, fiano di Avellino, coda di volpe, greco di Tufo, falanghina

3 Commenti

  1. Non ti si potrà ringraziare mai abbastanza per il continuo e costante lavoro di comunicazione intorno alle grandi possibilità di affinamento in bottiglia che hanno i vini bianchi campani ed irpini in particolare.Perché se ciò e’ vero per lo specialista o l’appassionato non e’ entrato invece nel pensiero comune.

    1. Il punto vero è che c’è poca possibilità di bere i bianchi invecchiati perché non bisogna essere specialisti per capire che sono molto più buoni
      I ristoratori rincorrono la clientela e i produttori i ristoratori

  2. Come sempre hai fatto centro.A tal proposito(in questo caso si parla di un rosso)ricordo di aver partecipato ad una magnifica verticale di Castell’in Villa con annate che arrivavano al ’71.Su mia richiesta circa la disponibilità commerciale del superbo ’85 mi fu risposto:naturalmente.Per loro era arrivato il primo tre bicchieri e di consequenza le richieste lievitarono notevolmente,ma a meta’ delle bottiglie prodotte la vendita fu sospesa.Ed e’così che a tutt’oggi l’azienda dispone di adeguate scorte.Lungimiranza di una produttrice illuminata in anni non sospetti.

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