Napoli e la civiltà della Pizza: la prefazione alla guida delle pizzerie del Mattino


La Guida del Mattino sulle migliori 200 pizzerie della Campania è ancora in edicola. Questa l’introduzione.

di Luciano Pignataro

Siamo talmente abituati al bello e al buono da considerare normale quello che mangiamo e che vediamo in Campania: da Pompei a Capri, da Ischia a Sorrento, dal Vesuvio al Cilento, passando per il Sannio, l’Irpinia, l’Alto Casertano fino a Paestum, Padula. Così è per il cibo: pasta, olio d’oliva, pomodori, ortaggi, agrumi, frutta, verdure, vino, pizza, caffè. Tutto normale? Non tanto visto che da soli componiamo quasi l’intero immaginario di un menu italiano all’estero.
Pensate alla complessità di una margherita: alle spalle ci sono millenni di storia della civiltà del grano che abbiamo imparato a selezionare e a migliorare di secolo in secolo e altrettanti millenni di civiltà dell’olio d’oliva, il grasso che ci fa bene e combatte l’invecchiamento. Poi la cultura del latticino fresco, cresciuta in secoli di allevamento di vacche, pecore e bufale. E poi il pomodoro, arrivato da lontano, talmente lontano che oggi, come il caffè, lo consideriamo un nostro tratto distintivo tanto da essere l’unica regione che può vantare due marchi di tutela europea, il San Marzano e il Piennolo del Vesuvio. E infine pensate alla pizza, che a partire dal ‘600 inizia ad affrancarsi dalla panificazione sino a diventare un’arte oggi riconosciuta come Patrimonio Immateriale dell’Umanità dall’Unesco.

Mi piace mettere subito le cose in chiaro: per me la margherita e la marinara di stile napoletano sono la perfezione assoluta che esprimono cosa è la pizza. Per me stile napoletano vuol dire due cose: che il profumo della pizza non può essere lo stesso, pur buonissimo, del pane e che in bocca i diversi elementi che la compongono si fondono in una sapore unico, quello, appunto della pizza.
Mettendo qui la punta del compasso, possiamo allargarci sin dove vogliamo, persino alle pizze a spicchio all’italiana e alle focacce in teglia, ben sapendo che pur essendo buonissime, non sono la pizza, quella riconosciuta dal disciplinare Stg Europeo. Non sono arte del pizzaiolo napoletano, quello che ha ottenuto il prestigioso via libera dell’Unesco.
Non è campanilismo, né conservatorismo. E’ difesa di una identità così come si è formata nei secoli: prima fammi una vera margherita lavorando con il forno a legna, poi mi fai, se lo voglio, qualche pizza creativa.

In realtà, a mio giudizio, il vero lavoro da fare, cosa che sta già avvenendo, è spingere sulla qualità dei prodotti che si usano, evitare l’omologazione e puntare sui grandi artigiani del gusto che operano al Sud. Certo, il ruolo della pizza e della pizzeria sono cambiati, soprattutto dopo la crisi del 2008-2009, quando il potere di acquisto delle famiglie è diminuito e la pizzeria è diventato il luogo in cui le famiglie hanno potuto continuare ad andare concedendosi quello che io definisco un lusso accessibile. Le lievitazioni sono migliorate grazie a pizzaioli come Coccia, il pioniere della pizza napoletana moderna, che ha posto l’attenzione sulla digeribilità. E le pizzerie, un tempo aperte a pranzo e chiuse la sera, sono diventate il luogo dove trascorrere felicemente qualche ora mangiando bene, bevendo buon birre e buoni vini, senza spendere eccessivamente, tanto da poter tornare.
Questa guida non è esaustiva. Non basta una vita per raccontare le oltre mille pizzerie di Napoli e le diecimila della regione. E’ frutto di una selezione personale, di una esperienza e, per questo perfettibile e migliorabile. Lo faremo anno dopo anno. La buona notizia è che la pizza si mangia bene ovunque grazie l boom degli ultimi dieci anni e che altri due capoluoghi, Caserta e Salerno, sono diventati centri importanti per chi ama  la pizza napoletana. Ma anche Avellino e Benevento registrano interessanti novità.

Una cosa è certa: le pizzerie che entrano in questa guida sono state tutte visitate, direttamente da me o da chi ha collaborato dandomi un supporto logistico. Dunque, potete fidarvi.
Abbiamo dato un riconoscimento, I Tre Galletti, simbolo del Mattino, a quelle pizzerie che si distinguono per la storia, per essere di tendenza  per la ricerca sui prodotti del territorio. Un elemento di valutazione in più per il lettore per un patrimonio gastronomico che ha ridato dignità a chi ci lavora con passione facendo un mestiere faticoso che prima non era considerato degno di essere praticato. Oggi, forse questa è la cosa più bella, tanti giovani e giovanissimi indossano con orgoglio la giacca di pizzaiolo.
A questi giovani, che sono il futuro della pizza napoletana, noi diciamo: siate ambiziosi e umili allo stesso tempo. Siate orgogliosi dei risultati raggiunti ma non pensate di conoscere tutto perché nella vita non si finisce mai di imparare per crescere. Soprattutto, non cercate scorciatoie che non siano la dedizione al vostro lavoro e ai vostri clienti, quelli che riempiono le vostre pizzerie e vi danno la spinta quotidiana ad andare avanti con orgoglio.
Viva la pizza napoletana!