Santi Palazzolo: la cassata siciliana non esiste
di Emanuela Sorrentino
«In un solo dolce ci sono la storia e la cultura della nostra terra. Senza dubbio ci troviamo di fronte alla regina indiscussa della pasticceria siciliana». Così il maestro pasticciere Santi Palazzolo di Cinisi, Palermo, definisce la cassata. A Napoli ha portato la sua versione classica, quella palermitana. Contaminazione, sontuosità, rispetto della tradizione ed equilibrio nella preparazione sono le caratteristiche della cassata di tutti i tempi.
Eppure ci sono segreti e caratteristiche che rendono il dolce sempre diverso, spostandosi anche all’interno della stessa regione.
In cosa differisce la cassata palermitana da quella della Sicilia orientale?
«La nostra, quella palermitana, non ha un liquore all’interno e quindi il Pan di Spagna viene inumidito esclusivamente dalla crema di ricotta. Infatti il mio consiglio e quello di tutti i colleghi che la preparano in questo modo, è quello di consumare la cassata il giorno successivo rispetto aquando viene acquistata in modo che il Pan di Spagna possa ben assorbire l’umidità del composto di ricotta e il dolce abbia così una maggiore rotondità di gusto».
Quale è il segreto della sua cassata?
«Sicuramente le materie prime fanno la differenza. Uso una ricotta di pecora esclusivamente delle Madonie che viene lavorata almeno per tre giorni per togliere tutto il siero e per farla mescolare con lo zucchero, in modo che si sciolga completamente. Un’altra raccomandazione, accanto alla scelta degli ingredienti, è quella di dare conto alle diverse fasi di realizzazione. Per ottenere una buonacassata non bisogna avere fretta, il rispetto del tempo è essenziale».
E poi?
«E poi la pasta di mandorle, che ha solo i pistacchi infatti il colore della cassata non è molto vivo e acceso, ma anzi tenue. E soprattutto la cassata è un dolce che deve avere un suo equilibrio perché tutte le dolcezze dei suoi elementi, dal fondant alla crema di ricotta fino alla pasta di mandorle devono essere in equilibrio tra di loro altrimenti si rischia che il risultato finale sia stucchevole al palato».
Quanto importanti sono le decorazioni?
«La cassata nella sua totalità rimanda chiaramente al barocco siciliano, la sua opulenza rispecchia molto questo periodo e la cura nelle decorazioni è un elemento imprescindibile del dolce. L’occhio vuole la sua parte. E la storia pure».
Un ricordo di Santi Palazzolo legato alla cassata?
«La mia prima cassata. Avevo 15 anni. Ma non l’ho fatta intera, mi occupavo di tagliare i pezzettini di Pan di Spagna e
di pasta di mandorle
a cubetti per poterli utilizzare nello stampo. Successivamente sono poi passato alla fase di formatura, l’assemblaggio vero e proprio. Gli spicchi posizionati nello stampo devono essere messi bene altrimenti la cassata rischia di aprirsi completamente nella fase di glassatura».
C’è qualche innovazione nella sua cassata?
«L’unica innovazione introdotta nella mia cassata è stata quella relativa alla percentuale di zuccheri presenti, soprattutto nella crema di ricotta. Questo per seguire le tendenze del mercato ma soprattutto per un aspetto salutistico perché sappiamo che troppi zuccheri non fanno bene alla salute. Abbiamo diminuito quindi la quantità di zuccheri in maniera tale da lasciare il gusto della crema di ricotta e anche quel minimo di dolcezza che viene compensato dagli altri ingredienti».
Quante cassate produce nei suoi laboratori?
«Non si contano, ad oggi tra punti vendita e spedizioni siamo su 300, 400 cassate al giorno. Tengo a sottolineare che è un lavoro di squadra. L’approccio alla preparazione della cassata è e deve essere sempre di grande rispetto e consapevolezza di questo grande tesoro che abbiamo».
Ci sono altre versioni di cassata?
«Abbiamo le monoporzioni, le cassatine mignon, ma quando si parla di cultura e tradizione uno sconvolgimento non è possibile. La cassata non è solo il dolce in sé per sé ma rappresenta la cultura di un popolo. Possiamo giocare sulla forma della cassata ma quelli che sono gli ingredienti e quindi le materie prime e gli equilibri non possono assolutamente essere toccati».
