Scheria bianco 2005 vdt


PIETRATORCIA
Uva: biancolella, fiano
Fascia di prezzo: da 10 a 15 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

Lo Scheria è il tentativo di ragionare un po’ diversamente sui bianchi d’Ischia, da sempre concepiti come vini di immediato consumo per fronteggiare l’enorme richiesta isolana. Una volta tanto faccio un copia e incolla per far spiegare direttamente il procedimento all’enologo Gino Iacono: "Le uve, raccolte a leggera surmaturazione, vengono diraspate per subire una macerazione di circa 24/36 ore a temperatura inferiore a 12°C. Dopo delicata pressatura, il mosto viene fatto fermentare lentamente a temperatura controllata oscillante tra i 18°C ed i 20°C per preservare le caratteristiche aromatiche primarie ottenute con la macerazione pellicolare. A fine fermentazione il vino, prima di essere travasato in piccole botti di rovere, permane per circa 3 mesi sulle fecce nobili di fermentazione al fine di arricchirne la struttura. Il prodotto invecchia in legno per un periodo di circa 20 mesi. In bottiglia lo Scheria Bianco è affinato per circa 5/8 mesi".
Questa idea, la permanenza sulle fecce, oggi in Campania viene seguita da molte aziende con risultati interessanti ma non ancora del tutto convincenti quando nel vino si cercano eleganza e pulizia olfattiva al naso, mentre in bocca la ricchezza acquisita fa sicuramente la differenza rendendo giustizia alla straordinaria potenza dei vitigni vulcanici campani in genere giocata soprattutto sulla freschezza e la capacità di esprimere la mineralità. Quando fu concepita dall’azienda Pietratorcia penso fosse praticata solo da Bruno De Conciliis perché parliamo della fine degli anni ’90, ossia ormai dieci anni fa. Io che adoro i vini bianchi di lungo invecchiamento e che dovrei vivere nella patria di questo stile visto cosa cavolo possono combinare bottiglie base semplicemente dimenticate, guardo e sostengo un vino come lo Scheria che resta in cantina almeno due anni e mezzo prima di essere messo in circolazione. Sicché il 2005 in realtà ha fatto capolino solo nel 2008. A tavola è stato messo a confronto con un Madame Leroy del 2003 e la degustazione è stata ovviamente falsata, perché di fronte ad uno dei mostri sacri dell’enologia francese, tra l’altro di un’annata calda, lo Scheria, perdendo il confronto sulla complessità polidimensionale, si era immediatamente rifugiato nella sua capacità di esprimere freschezza, si avete capito bene: freschezza, acidità, lavorando di brutto, e meglio, su una chitarra con acciughe e bottarga che esigeva appunto un vino così. E’ stato facile dunque per me continuare sul bianco ischitano mentre i miei commensali hanno proseguito con il francese. Spezzato l’incanto con il Piedirosso di Cantine del Mare, sono tornato nuovamente sullo Scheria ormai dimentico del confronto: il naso ha potuto così esprimere quei sentori di frutta bianca evoluta, notevole agrumato, persino floreale di ginestra, pizzichino di camomilla, senza scivolare in nessuna sensazione ruffiana che aborro come direbbe quel tipo, leggi ananas o peggio banana, che si ritrovava con l’uso del legno, tra l’altro usato a dosi talmente micragnose da essere digerito completamente dal vino che aveva così la capacità di presentarsi compiuto e, alleluvia, pronto per essere consumato. Il filo ossidato presente in qualche edizione precedente non ha fatto capolino, segno di una esperienza ormai collaudata sul campo. In bocca è tornata a dominare l’acidità dando un tono un po’ monocorde che il naso, piacevole e lungo, non lasciava presagire: in sostanza la materia, ben presente, è però capace di esprimersi solo sulla trama disegnata dall’acidità e dall’alcol, comunque sopra i 13,5 gradi. In una parola, il naso è molto pià avanti del palato e credo questo dipenda comunque da un’annata non eccezionale per i vini bianchi campani della Costa.
Complessivamente dunque, un buon vino di cui sosteniamo convinti l’impostazione e l’idea di fondo, parlare di un millesimo anche qualche anno dopo senza sperare in bottiglie dimenticate da qualcuno, ma proprio come politica commerciale di questa bella azienda ischitana alla quale siamo legatissimi e di cui ci siamo occupati, come con quasi tutte del resto, quando la cantina era ancora in costruzione e Gino studiava a San Michele all’Adige. Per queste sue caratteistiche, lo appoggiamo a piatti molto importanti, grassi e strutturati: bene anche sul coniglio all’ischitana o su una pasta con i ragù di fegatielli di coniglio, pollo, persino di vitello per un abbinamento di contrasto alla dolcezza di sicuro successo. Sul pesce va usato con attenzione perché nelle cotture rapide e senza grassi rischia di prevalere troppo: ma su zuppe, porpetielli affogati, tranci di genovese di tonno, va davvero molto bene. Bene amici, avanti così: mi avete regalato una bellissima domenica e ve ne sono grato

Sede a Forio d’Ischia, via Provinciale Panza, 267
Tel. 081.908206 e 081.907277. Fax 081.908949
Sito: http://www.pietratorcia.it
Email: [email protected]
Enologo: Ambrogio Iacono
Bottiglie prodotte: 100.000
Ettari: 8 in proprietà
Vitigni: aglianico, piedirosso, guarnaccia, syrah, biancolella, forastera, greco, uva Rilla, San Leonardo, fiano, viognier, malvasia di Candia aromatica