Taurasi 2002 docg Perillo, come rendere magica un’annata terribile


Il Taurasi di Perillo

Taurasi di Perillo annata 2002

Sappiamo tutti che la 2002 non sarà ricordata in Italia per essere stata una grande annata, soprattutto per le abbondandi piogge che hanno accompagnato la vendemmia delle uve tardive. Per dirne una, nè Mastroberardino fece Taurasi, nè Franco Biondi Santi Brunello,tantè gli Aglianico e Rosso di quella annata sono fantastici.
Ero dunque curioso di aprire la 2002 di Perillo, stavolta non solo per il tempo trascorso, ma proprio per vedere il risultato. Una premessa che dobbiamo fare a chi non consoce i dettagli della vinificazione irpina è che Montemarano, con la sua esuberanza alcolica, la sovraestrazione e in parte i cenni di surmaturazione è stato il territorio dell’areale del Taurasi più fedele allo stile anni ’90, lo è stato in modo nobile e non caricaturale, ma sicuramente la bilancia fra potenza ed eleganza ha sempre dato ragione alla prima.
Sia Perillo che Molettieri sono dei vigneron puri, un po’ come si devono intendere romanticamente quete figure sempre in vigna, capaci di interpretare i minimi cambiamenti sul vigneto durante e giornate, pazienti in campagna come in cantina. Ricordo che Salvatore Molettieri negò decisamente che la 2002 fosse stata una cattiva annata durante uno dei millemila piacevoli confronti che abbiamo avuto nel corso dei una quarto di secolo.
Mi frullavano tutte queste cose in testa quando ho stappato il 2002. Prima notizia, il tappo integro e perfetto. Secondo, subito il vino esprime frutta e note di cenere e fumè. Seguiamo il consiglio del vecchio Franco Biondi Santi, scolmiamo la bottiglia fino alla base del collo e diamo il tempo di ossigenarsi un’ortta prima di iniziare a berla.
Una beva che si è rivelata dinamica, il vino allo zenit, sicuramente in una verticale l’annata sarebbe apparsa un po’ diluita ma bevendola assoluta non abbiamo avuto questa sensazione, anzi, il vino ha affrontato un grandissimo piatto di fusilli al ragù napoletano come solo i Taurasi e l’Aglianico in genere riesce a fare.
Il vino si è bevuto tutto, con grande piacere. Sento l’obiezione che avanza sullo sfonso come la cavalleria tartara nel romanzo di Buzzati: bisogna aspettare 20 anni per un Taurasi? Assolutamente no, cinque o sei magari si. Il fatto è che dopo tanti anni il vino entra nella sua maturità assoluta, assume una velocità di crociera che può essere mantenuta per un numero infinito di  stagioni.
Un piccolo grande vino di un bravissimo vigneron.

Un commento

  1. Gentile Luciano mi permetta di considerarla la memoria storica del vino in Campania negli ultimi 30 anni mi ritrovo in tutto quello che ha scritto avendo assaggiato dell annata 2002 sia il taurasi di Michele perillo che quello di Salvatore molettieri nonché del mancato taurasi di mastroverardino le cui uve furono usate per l aglianico avellanum

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