Un bicchiere per due / Sul Sentiero della Memoria


Manarola, Corniglia e il Mesco dalla punta del Corniolo

di Fabrizio Scarpato

“I andran ben ‘ste scarpe chi? I m’han ito ch’ien de goma, ma ne me pae proprio!” Lui e lei si avvicinano guardinghi al primo tratto un po’ in discesa, qualche sasso a vista e un po’ di fango nei punti a ridosso del bosco. Sono anziani, qualcuno direbbe vecchi, ma in mezzo ai campi e alle vigne ci vivono da quando sono ragazzi: cosa vuoi che sia se quelle scarpe sono un po’ cittadine: e poi chi ci ha mai fatto caso alle scarpe.

Lei è secca e magra, le gambe curve all’altezza dei femori, porta un cappello di paglia in stile cambogiano e s’è dimenticata addosso il grembiule da cucina, annodato sopra una maglia bordò con un collo sciallato, roba dei giorni di festa. Ci vede poco e si appoggia al braccio di lui, con la complicità di chi sta insieme da una vita. Lui ha il viso rubizzo e gli occhi un po’ persi nel vuoto, quasi sopra pensiero, quasi lucidi. Gilet di velluto e camicia a quadri blu di flanella, pantalonacci e, lui sì, un bel paio di scarponi da fare invidia a Messner: e un bastone, o meglio un ramo scorticato e nodoso, più per autorevole sicurezza che per reale necessità.

Vigne verso Groppo

Oggi è un giorno speciale: hanno riaperto il sentiero che collega Groppo a Riomaggiore e Manarola attraverso la cresta del Corniolo, il promontorio che sovrasta la Via dell’Amore e che separa i due villaggi delle Cinque Terre. Groppo è un grumo di case a mezza costa, lontano dal mare, e se non fosse per la Cantina della Cooperativa e per un ristorante diverso dagli altri, sarebbe lontano da tutto. La strada conta poco, anzi da quando l’hanno fatta, più di quarant’anni fa, è come se il paese fosse ancora più solo, tagliato via dai suoi campi, dalle sue vigne, dai suoi boschi, dalle sue abitudini, allontanato dal mare, che bastava fare quei dieci minuti in piano a mezza costa per arrivare sul Corniolo e sporgersi come dalla prua di una nave sugli ulivi, sulla macchia, sui corbezzoli, e sul mare laggiù, che sbatteva sotto le prime case di Manarola. Lo avevano raccontato anche a quei ragazzi che erano andati a trovarli: era tanto tempo che non vedevano dei giovani in giro per casa, la loro figlia se ne era andata già quando studiava, poi era finita da qualche parte in Europa in certi posti impronunciabili e adesso viveva in Brasile, troppo lontano. Era brava la figlia, ma Groppo non le era mai piaciuto.

Bivio sul Corniolo

Hanno appeso dei nastri gialli lungo il sentiero, ognuno porta scritte poche parole, il racconto di semplici gesti o la testimonianza di fatti accaduti: un po’ come un sussidiario di scuola, un modo per scrivere, riportare alla luce pensieri e cose degne di essere ricordate. Una traccia per riannodare semplici esistenze ai colori del paesaggio, un nodo stretto, giallo, per ricostruire bellezza, punti fermi tra tante cose dimenticabili. I ragazzi avevan parlato con Armando e poi con l’Elvira e la Irma, anche Vittorio aveva raccontato di cose sue, lui così taciturno: insomma tutti avevano qualcosa da dire, qualcosa che era lì, a disposizione, bastava cercare, togliere le erbacce del tempo, senza dimenticare.

Storie di partigiani

Ora il sentiero era pulito, la strada da camminare e quella da ricordare. I due procedevano con passo sempre più sicuro, come in gioventù quando dovevano passare di lì per andare a prendere il treno alla stazione di Riomaggiore, scapicollandosi giù per trecento metri di dislivello in dieci minuti. Un nastro avverte che lì ci si raccoglievano le castagne, nel bosco a ridosso delle vigne, un altro racconta di escursioni in cerca di erbi e asparagi selvatici, un altro ancora ricorda una fragorosa caduta col secchio del verderame. Una striscia gialla più lunga parla di corse e spari, di partigiani e fucili, di staffette acquattate tra i filari. Quasi non si accorgono di essere arrivati in cima alla collina, ora sono stanchi e si siedono sul ciglio di un vigneto, c’è un bel sole autunnale, ancora caldo.

Ricordi

E’ bello veder passare tutta quella gioventù, persino dei bimbi, qualcuno “a l’è ‘n fantin” e se ne sta appisolato dentro uno zaino, sulle spalle di papà. Peccato che parlan tutti foresto, peccato che nessuno si accorga dei nastri gialli con le loro storie. Solo due signori si soffermano a leggere, e poi un altro, strano, con le racchette degli sciatori. Qualcun altro deve aver festeggiato nello spiazzo lì accanto sotto gli alberi: c’è un treggio tra le pietre a secco e una specie di natura morta con una caffettiera, un piatto a pois rossi, qualche cucchiaio e tre bottiglie di vino delle Cinque Terre. Anche questo aiuta a non dimenticare, anche se di vino non si vive. Lo diceva sempre la loro figlia, anche se sarebbe contenta di vederli lì, vicini vicini, davanti al tramonto, magari coi nipotini, magari a Natale. In effetti ci vorrebbe un bel bicchiere, come si faceva, e si fa, alla fine di una giornata di lavoro. “Cum’i stè?”: “Bene, ho piantato una vigna che regge da sola un’intera collina. Non farà un granché d’uva, ma il suo lavoro lo fa. E tanto mi basta, per stare bene”.

Si è bevuto e mangiato

Il sole della sera rimbalza sulle sagome ancora spente del presepe di Manarola, lì in basso sulla collina di fronte. Lui e lei guardano verso l’orizzonte, per quanto è possibile guardare. “ Dov’a l’è ‘l Brasile?”. Lui risponde “ Laggiù” indicando col dito nodoso Punta Mesco davanti a sé. “Però più lontano”. E rimangono in silenzio, gli occhi un po’ lucidi. Sarà il vento.

 

Collettivo Parisse e Museo della Memoria di Armando Crovara, Manarola