Un vino kosher: Rosh Aglianico 2007 Campania igt


Antonio Capaldo e Pierpaolo Sirch

FEUDI DI SAN GREGORIO

Uve: aglianico
Fascia di prezzo: dai 5 ai 10 euro
Fermentazione e maturazione: legno

Uno degli aspetti che più amo del mio lavoro è imparare, riuscire a cogliere uno stimolo, un insegnamento, da ogni esperienza che vivo, quotidianamente. E’ da un po’ che mi frulla in mente di parlare del vino kosher (o kasher), argomento che in realtà ho già affrontato in passato in altre sedi, ma aspettavo l’occasione per entrare nel merito di una produzione che appartenesse alla nostra Campania, e che riscuote, tra l’altro, un ottimo successo.

Ai più non sarà sfuggito che il vino, più di ogni altra bevanda, gode da sempre di una sua particolare sacralità, ma non quella dettata dai fanatici guru guidaroli o dai neo profeti in patria, ma quella intesa nel senso letterale della parola, di liturgica definizione, che fa cioè del dolce frutto offerto all’uomo dalla terra, un dono di Dio, e per questo curato (in vigna) e prodotto (in cantina) seguendo protocolli rigidissimi al fine di preservarne purezza ed integrità.

Il vino kosher rappresenta in Italia una produzione certamente di nicchia ma più diffusa ed apprezzata di quanto si pensi, tanto dallo spingere diverse aziende italiane ad investire in tale direzione per potersi garantire anche solo uno spicchio di un mercato, che se in patria può risultare circoscritto in particolar modo a Roma o su di lì, in certi paesi, Stati Uniti in primis, può rappresentare una importante opportunità commerciale. Così una delle più preziose delle aziende leader in Campania, per qualità dell’offerta e diffusione sul mercato, offre da qualche anno due riuscitissime interpretazioni di vino kasher: il Fiano di Avellino Maryam e l’Aglianico Rosh. Stiamo parlando evidentemente dei Feudi di San Gregorio di Sorbo Serpico.

I protocolli di produzione, come detto sono rigidissimi, basti pensare per esempio che ogni operazione manuale o spostamento mosto/vino deve essere eseguita da ebrei osservanti. Ogni eventuale intervento da parte di terzi comprometterebbe l’intera produzione di vino. Durante le varie attività di produzione è importante che tutti gli impianti in metallo o vetroresina siano precedentemente lavati con abbondante acqua bollente. Le parti di raccordi in gomma, qualora già utilizzati in cantina vanno procurate nuove. Il personale ebraico entra in scena sin dall’operazione di spremitura delle uve, già per ribaltare le cassette da far pervenire nella coclea, azionare la pigiatrice e/o diraspatrice, le pompe che dirigono il mosto nel tino. Solo da questo momento, il Mevushal (vino cotto) può essere toccato da ogni operatore purchè ad ogni travaso o altra operazione successiva sia presente l’autorità Rabbinica, la quale poi provvederà a certificare la congruità delle fasi di lavorazione nonché il prodotto imbottigliato attraverso da tre segni distintivi: l’etichetta, l’eventuale retroetichetta ed il tappo di sughero con il segno di riconoscimento o marchio del Rabbinato. In particolare in etichetta dovrà apparire il nome del Rabbino che ha eseguito il controllo e che rilascia il certificato, tale etichetta può anche essere eventualmente applicata sulle scatole d’imballaggio, sarà comunque sempre l’Autorità Rabbinica a rilasciare ogni volta il numero di etichette o tappi necessari all’operazione. Tutta la produzione annuale viene comunque accompagnata da un certificato originale registrato presso il Rabbinato Centrale d’Israele che ne garantisce tra l’altro anche l’esportazione.

Rosh come detto è prodotto da uve aglianico, in verità chi si è appassionato negli anni a quel campione di ottimo rapporto prezzo-qualità che è il Rubrato, saprà cogliere in questo vino similitudini assai efficaci. Il vino sfoggia un bel colore rubino con fresche nuances violacee, mediamente consistente. Il primo naso è fragrante, intenso, non ampissimo, ma le sensazioni di frutta a polpa rossa e le note caramellose contribuiscono a definirne un profilo olfattivo molto invitante che chiude su leggere sfumature speziate. In bocca è secco, l’ingresso sul palato è molto gradevole, il frutto rimane in primo piano, delicato, pulito, anche in questa fase non si concede profondissimo ma è piuttosto gradevole ed appagante, leggero, schietto.
Tra le varie specifiche dettate dal Rabbinato ci sono ulteriori condizioni imprescindibili che l’azienda deve garantire per poter produrre vino Kosher, tra queste ne rammentiamo alcune tra le più importanti: le piante da cui provengono le uve devono essere vecchie di almeno 4 anni, le stesse ogni sette anni debbono essere lasciate improduttive e non è possibile produrre verdure o frutta tra i filari. Infine ad ogni vendemmia almeno l’1% della produzione di vino deve essere buttata nelle vigne rifacendosi al rito che simboleggia la tassa del 10% che una volta si pagava al Tempio di Gerusalemme.

Questa scheda è di Angelo Di Costanzo

Sede a Sorbo Serpico, Località Cerza Grossa Tel. 0825.986266 www.feudi.it Ettari: 250 di proprietà. Bottiglie prodotte: 3.500.000. Vitigni: aglianico, piedirosso, falanghina, fiano, greco, primitivo,merlot

10 Commenti

  1. Visto la mia passione per il vino (e il buon mangiare) mi è capitato più di una volta di bere vino provenienti da questo tipo di uve, ma la cosa che non sapevo e che mi incuriosisce è il protocollo di produzione. La cosa che non riesco a capire è se il Kasher è un metodo di vinificazione importato da Israele e praticato qui in Italia da vinificatori Italiani, oppure se lo stesso metodo è usato dai vinificatori Ebrei Italiani che applicano il protocollo di produzione Israeliano. Volevo anche dire che i tipi di vini citati nell’articolo, qui in Romagna sono conosciuti e apprezzati, i Wine bar e i ristoranti è già da un pò che li propongono, ma non sono sicuro che siano delle stesse cantine citate sempre nell’articolo. Sono invece sicuro che Aglianico e Fiano di Avellino sono due ottimi vini a prescindere dalla cantina di provenienza.

  2. Buongiorno Gianluca,
    un vino diventa “Kasher” solo attraverso le procedure elencate nell’articolo, in sinstesi non si tratta di “un metodo di importazione” ma bensì di un rigido protocollo attraverso il quale si può produrre un vino destinato a quel tipo di mercato.

    In questo articolo di qualche tempo fa: http://larcante.wordpress.com/2010/01/08/e-se-il-cliente-mi-chiede-vino-kosher/ entro anche nello specifico di alcuni dati analitici che non ho voluto sottolineare qui per rendere più fruibile la lettura del post. E’ certamente un argomento, il vino Kosher intendo, molto più articolato e che sembra avere, esperienza personale alla mano, più diffusione di quello che si pensi.

    Ci sono diverse aziende in Italia che si occupano di questa tipologia di vini, che seguono il rigido protocollo di produzione ed aderiscono, come specificato, a tutte le direttive implicite dettate dal Rabbinato.

    Saluti,
    Ang

    1. Proprio sabato scorso ho notato questi due vini in un grosso centro commerciale, ero indeciso se comprarli o meno, poi mi sono detto: devo approfondire il significato e stamani il suo articolo è stato esaudiente, mi pare di capire che però non ci sono differenze sostanziali nella qualità e nelle caratteristiche tipiche dei due vini.
      Carpe Diem

  3. Salve Denny,
    Sulla tipologia sostanzialmente no, fattostà il Fiano rispetta tutte le caratteristiche tipiche che gli consentono, tra le altre cose, di ottenere la docg. Formalmente vi è certamente la differenza dettata proprio dal dover rispettare il protocollo di produzione.

    Nota a margine: è una gran soddisfazione, da campano intendo, poter proporre a clienti che ne fanno richiesta, oltre che al consolidato Yarden Vineyards (che produce diverse tipologie a varietà internazionali) due vini tipicamente rappresentativi la nostra produzione vinicola. :-)

    1. Grazie per la risposta, allora la prossima volta assaggerò sia l’Aglianico sia il Fiano confrontandoli con quelli base (per l’Aglianico il Rubrato) dei Feudi.

        1. Buongiorno Angelo,
          ieri sera ho avuto modo di assaggiare l’Aglianico Rosh dei Feudi,
          l’ho trovato un buon prodotto di impatto leggermente spigoloso
          ma poi via via più aperto con un finale molto vinoso e di frutti rossi.
          Se però dovessi scegliere tra questo ed il Rubrato preferisco
          quest’ultimo per un rapporto qualità/prezzo molto più favorevole e
          secondo me per una maggior capacità di invecchiamento.
          cordialità

          1. Bene, mi fa piacere partecipare nel favorire i consumi :-)

            Sul rapporto prezzo-qualità credo incida, inevitabilmente, la procedura di Kasherizzazione…

  4. Chapeau, Signor Pignataro:finalmente una descrizione esatta di cosa significa vino kosher, chairendo tutti gli elementi spesso confusi in merito alla questione.Per informazione, all’ultimo Vinoforum a Roma, alcune persone che hanno potuto comparare la produzione di Feudi,( sia normale che kosher erano presenti) hanno preferito quest’ultima…..Confesso di essere di parte:sono uno dei distributori di vini kosher in Italia, sia italiani che israeliani, e mi faccio un vanto di proporre vini che appassionano me per primo. ancora complimenti, e buon lavoro.cordialmente, Mosè

    1. Grazie, ma i complimenti vanno fatti anzitutto all’autore dell’articolo
      Io ho solo messo a disposizione lo spazio :-)

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