Verticale di Chianti Classico di Val delle Corti


la verticale di Val delle Corti

la verticale di Val delle Corti

di Luca Miraglia

Respirare ed assaporare il cuore del territorio chiantigiano attraverso un vino che ne interpreta al meglio il genius loci e ne rappresenta l’ambasciatore ideale: il primo è il vitigno Sangiovese, che trova la propria espressione d’eccellenza nei suoli prettamente calcarei di Radda in Chianti; l’altro è il vino prodotto dalla piccola ma dinamica realtà di Val delle Corti, presentato – in una spettacolare “verticale” di sei annate dal 2005 al 2012 – nell’ambito degli immancabili appuntamenti che, con cadenza mensile, Marina Alaimo organizza presso l’enosteria “Cap’alice” di Mario Lombardi.

Ancora una volta la sala era piena, di appassionati e di attese: ancora una volta si è creata una piacevole atmosfera, grazie alla presenza di un vignaiolo “vero” che ha raccontato, senza fronzoli né mezze misure, la propria esperienza di vita e di vino.

Roberto Bianchi, attuale titolare dell’azienda insieme alla moglie Lis, si è ritrovato viticoltore all’improvviso, in seguito alla repentina e prematura scomparsa, nel 1999, del padre Giorgio, che alla metà degli anni ’70 aveva coraggiosamente inseguito il proprio sogno – davvero ante litteram per quei tempi – di lasciare la città di Milano, trasferirsi nella campagna toscana e provare, da autodidatta, a produrre vino. E nelle parole di Roberto si è percepito chiaramente il profondo rispetto per questo sogno troppo presto interrottosi ed il desiderio – dopo i primi momenti di sconcerto – di portarlo avanti, grazie anche ai preziosi consigli di altri amici vignaioli.

Roberto Bianchi

Roberto Bianchi

Rispetto per un progetto di vita, per un territorio e per un vitigno: questo ci ha narrato Roberto, sottolineando con forza che la coerenza interpretativa del Sangiovese ha portato – e tuttora conduce – l’azienda a produrre vini assolutamente lontani dalle mode, per niente trendy, rappresentativi, appunto, dell’anima del luogo e della tipicità del vitigno: perciò biodinamica in vigna e minimo interventismo in cantina, con l’utilizzo di soli lieviti indigeni e l’esclusione di chiarifiche e filtrazioni.

I quattro ettari di proprietà (oltre ad un paio condotti in affitto, per una produzione complessiva nell’ordine di 30.000 bottiglie) sono prevalentemente coltivati a Sangiovese, il re dei vitigni chiantigiani, con impianti che raggiungono i quarant’anni di età: la vigna più vecchia è quella utilizzata per la produzione della “riserva” che, coerentemente con la filosofia aziendale, viene immessa sul mercato solo nelle annate di eccellenza.

la sala di Cap'alice

la sala di Cap’alice

E di eccellenze ne abbiamo assaggiate, nel corso della serata, ben tre (2007, 2009 e 2011), alternate a tre annate (2005, 2010 e 2012) di Chianti “classico”; ebbene, poche volte, nelle ormai numerose occasioni di incontro tematico succedutesi nel tempo, abbiamo riscontrato una così costante linearità interpretativa, che va attribuita ad un rigore e ad un rispetto della materia prima portati all’estremo, fino a restituirla sotto forma di un vino dalla classicità assoluta, sicuramente allocabile sul podio dei grandi esemplari chiantigiani.

Il colore, innanzitutto: quasi scarico ma terso, brillante, attraente; anche l’annata meno giovane, il 2005, ha colpito per la freschezza delle tonalità cromatiche, molto lontane da accenni di stanchezza.

E poi il naso: una costante, lunga sequenza di muschio, marasca, petali di rosa rossa appassiti, fino a raggiungere – in annate particolarmente felici come la 2009, risultata forse la più apprezzata – la fresca balsamicità dei sentori di sambuco e menta piperita.

Al gusto non è stata riscontrata in nessun millesimo la scontrosità tipica di alcune interpretazioni muscolari e meno autentiche di Sangiovese: la spinta tannica si è rivelata fine ed elegante anche nelle annate più giovani come la 2012, e ciò è sicuramente merito dell’uso molto attento del legno nella fase di affinamento (botti grandi di Slavonia per il “classico”; barriques usate per la “riserva”).

Le due annate con più primavere sulle spalle (2005 e 2007) si sono rivelate di un’austerità virile e per niente piaciona, ma schietta e diretta , una fotografia puntuale della tipicità del territorio di Radda – il più elevato, ricordiamolo, dell’areale del Chianti – e dell’esposizione ottimale, ad Est, dei vigneti aziendali.

Val delle Corti 2005 e 2007

Val delle Corti 2005 e 2007

In definitiva, come ha concluso l’affabile e simpatico Roberto, “vini da bere a secchi, non a bicchieri”, perché è questa l’unità di misura di un vino buono!

Osservazione arguta, da vero toscano, che ci trova pienamente concordi.