Vino e pizza: il sommelier in pizzeria 10| Chiara Maggio


Avenida Calò, Roma
Viale Pinturicchio, 38
Telefono: 06 8923 8209

Chiara Maggi – Avenida Caló

di Antonella Amodio

La figura del sommelier in pizzeria è in costante evoluzione, poiché si inizia a comprendere l’importanza di abbinare la pizza ad una scelta accurata di vini. Questa combinazione tra pizza e vino ha portato a valorizzare il ruolo del sommelier come elemento fondamentale nel garantire un’esperienza gastronomica completa nel contesto delle pizzerie.

Ne parliamo con Chiara Maggio, mente, testa e cuore della carta dei vini della pizzeria Avenida Calò, Roma.

Pugliese, laureata in Lingue e Comunicazione Internazionale, con un mini master in Marketing, ha fatto le valigie subito dopo la laurea per partire all’estero insieme a Francesco Calò. Poche certezze, ma una grande fame di scoperta e crescita hanno guidato i suoi primi passi di un percorso fuori dagli schemi. Le sue passioni: viaggi, fotografia, architettura, interior design, ma soprattutto vino e buon cibo, l’hanno sempre accompagnata. La sua vita lavorativa è un puzzle di tante esperienze audaci, con radici nell’hospitality di alta gamma, nell’organizzazione di eventi su misura e nel project management. Nel 2019 ha deciso di accettare la proposta di Francesco di unire le forze anche sul piano professionale. Lui parlava di “visione condivisa”, lei inizialmente temeva le conseguenze di unire vita privata e lavoro. Ma quel salto – forse il più sensato, o semplicemente il più folle , come dichiara – ha dato vita a qualcosa di autentico. Mescolando passione, determinazione e un pizzico di follia, è nato un progetto che evolve insieme a loro, quello della pizza, composta di viaggi, sfide all’apparenza impossibili e brindisi ben meritati. La sua carta dei vini rappresenta originalità e personalità, fuori dagli schemi.

Come inizia il tuo avvicinamento al vino?

Il vino è profondamente intrecciato con le mie radici. Sono cresciuta in Puglia, terra di Primitivo e Negroamaro, dove non sono solo un prodotto, ma un vero e proprio rito sacro. Lo è sempre stato anche per me. Ricordo le distese di vigneti che precedono il mare, la terra rossa che profuma di sole cocente, e le visite del sabato con mio padre nelle cantine del territorio, alla ricerca della bottiglia perfetta per la nostra tavola. Ero piccola, naturalmente non bevevo, ma qualche sorso rubato riusciva a far breccia nella mia curiosità. Poi crescendo, quella curiosità si è trasformata in qualcosa di più profondo. Sentivo il bisogno di andare oltre la mia terra, di scoprire altri vitigni, altre tecniche, di capire i gusti della gente al di là dei miei personali, e di superare ciò che ci racconta una semplice etichetta. Il vino per me non è mai stato solo degustazione: è territorio, storia, interpretazione. È scienza e poesia al tempo stesso. Mi innamoro ogni volta delle storie dietro ad una etichetta: da quelle di piccole cantine a conduzione familiare a quelle dei grandi nomi che hanno saputo trasformare la tradizione in innovazione. Dietro ogni calice ci sono variabili infinite: il microclima, la composizione del suolo, il metodo di vinificazione, il legno scelto per l’affinamento, il tempo di maturazione. Il vino è, in fondo, una fotografia liquida di un luogo e di un momento irripetibile. Forse è per questo che, ancora oggi, ogni bottiglia che apro ha il potere di riportarmi a casa, tra i filari assolati della mia Puglia, e allo stesso tempo mi porta lontano, in un viaggio senza fine che non smette di sorprendermi.

Quando é arrivato il momento in cui hai deciso che il vino dovesse diventare parte del tuo lavoro?

Sono fermamente convinta che per fare bene qualcosa bisogna crederci per primi. Quando con Francesco abbiamo intrecciato le nostre visioni, ho capito che, pur con tutti i rischi del caso, soprattutto dal mio lato, era il momento di osare. Non sono mai stata un’amante della birra, e non avrei mai potuto proporre o raccontare qualcosa che non mi rappresentasse. Così gli ho detto:“Perché non abbiniamo la pizza al vino? Si può fare. Anzi, si deve fare!” Correva l’anno 2016. Il vino, se scelto con attenzione, può esaltare i sapori della pizza, creare contrasti armoniosi, valorizzare ogni ingrediente e cambiare completamente l’esperienza al palato. È un gioco sottile di equilibri, di intuizioni, di scoperte continue. E così è stato. Abbiamo dato vita a un abbinamento che allora rompeva gli schemi, ma che ben raccontato e guidato apre un mondo nuovo a chiunque sia disposto ad andare oltre le abitudini. Come se i palati avessero bisogno di essere educati al nuovo, un sorso alla volta.

Quali sono le caratteristiche che bisogna avere per comunicare il vino in sala?

Per me comunicare il vino significa prima di tutto ascoltare.Non mi interessa stupire il cliente con tecnicismi: voglio capire cosa cerca, cosa gli piace, quali sensazioni vuole provare. Solo allora lo accompagno verso la scelta che credo possa non solo soddisfarlo, ma anche sorprenderlo e incuriosirlo. In effetti, per esperienza, posso dire che molti più clienti sono predisposti a scegliere un vino, una bollicina, un bianco fresco, un rosso elegante, piuttosto che una birra. Il vino ha un racconto che le persone vogliono vivere e sentirsi raccontare, anche solo attraverso un calice. In sala, questo lo percepiamo ogni giorno. Il nostro menu parla già di questo incontro: ogni pizza ha una wine suggestion dedicata, pensata per iniziare un dialogo, per incuriosire chi legge e creare un collegamento immediato tra il piatto e il calice. È un approccio che scalda l’atmosfera e predispone alla scoperta. Da lì, poi, è un crescendo: il cliente si affida, si lascia guidare, magari prova qualcosa di nuovo, e spesso resta stupito da quanto il vino possa cambiare la percezione di un morso di pizza. Per me questa è la parte più bella: educare senza mai imporre, creare connessioni tra sapori, persone e storie. Perché il vino non si vende, si racconta. E quando lo si racconta bene, diventa esperienza.

Come ritieni che sia percepita oggi la figura dell’esperto o del sommelier in pizzeria?

Ti rispondo con sincerità. Dal punto di vista imprenditoriale, la figura del sommelier o di un esperto di sala è un plus irrinunciabile. Per comunicare bene il vino, soprattutto in un contesto come il nostro dove la pizza viene elevata ad esperienza gastronomica, serve preparazione, studio costante e una grande sensibilità nel leggere il cliente. Non basta conoscere le etichette o le annate: bisogna saper ascoltare, interpretare i gusti, cogliere i segnali, e suggerire la direzione giusta. Serve anche la capacità di gestire una reazione inattesa, come un sorso percepito male o un abbinamento che sorprende troppo. È un ruolo strategico, perché il vino è un moltiplicatore di esperienza, ma va proposto con competenza e intelligenza. Dal punto di vista umano, però, la realtà è diversa. Almeno in Italia. La figura del sommelier spaventa ancora molte persone. C’è purtroppo un gap culturale ancora oggi. La pizza, per quanto oggi sia diventata un’esperienza all’avanguardia, resta sempre un piatto popolare. E quando si parla di vino, la figura del sommelier genera un approccio spesso timido o diffidente in quanto percepita come “esperta”. Ecco perché noi ci lavoriamo tanto: il nostro approccio in sala è fatto di empatia, ascolto e dialogo, mai di tecnicismi fini a sé stessi. Il vino deve essere raccontato con il tono giusto, senza mai far sentire nessuno fuori posto. Raccontarlo accanto alla pizza significa proprio questo: superare i preconcetti, abbattere le distanze e trasformare un gesto quotidiano in un’esperienza di scoperta, spontanea e mai pretenziosa. Questa è la vera sfida: rendere il vino accessibile senza banalizzarlo, mantenerne il valore culturale ed emozionale, ma con un linguaggio che non escluda nessuno. Perché il vino, quando viene raccontato con passione e intelligenza, così come la pizza, non divide: unisce.

Trovi ci sia differenza nel proporre vino in pizzeria rispetto al ristorante?

Purtroppo è proprio il pregiudizio a penalizzare, sia il cliente che il sistema. La ristorazione viene spesso percepita come un mondo “superiore” rispetto alla pizzeria, e quindi chi va al ristorante ha già delle aspettative diverse sul vino, è più predisposto a viverlo come parte integrante dell’esperienza. Con la pizza è diverso: nell’immaginario collettivo rimane un piatto popolare, e quindi il vino va raccontato con un linguaggio più diretto, meno formale, altrimenti si rischia di creare distanza e inibizione. Questa è la nostra vera sfida: portare la cultura del vino in pizzeria senza renderla pesante, senza trasformarla in qualcosa di elitario o per pochi. Bisogna saper incuriosire senza intimidire, educare senza insegnare. Far capire che il vino può essere un valore aggiunto, un alleato del gusto, e non un lusso riservato a certe tavole o a chi “se ne intende”. Alla fine il vino, sia in pizzeria che al ristorante, deve fare sempre la stessa cosa: esaltare il cibo, accompagnare l’esperienza e far sorridere chi lo beve.

Che tipo di clientela sceglie il vino in pizzeria, e solitamente si fanno guidare da voi nella scelta?

Ad Avenida Calò abbiamo una clientela consapevole, tanti wine lover, anche sommelier, che conoscono e che apprezzano il vino, ma soprattutto sono sempre alla ricerca di nuove scoperte. Molti si lasciano volentieri guidare da noi, si fidano dei nostri suggerimenti e sono curiosi di provare qualcosa di diverso. Ci piace sorprenderli con abbinamenti inaspettati ed è bello vedere l’entusiasmano dei clienti.

Che vino si sceglie dalla cantina di Avenida Caló?

La nostra cantina è una selezione che oggi conta circa 140 etichette, frutto di una ricerca attenta e appassionata. La proposta si apre con una solida rappresentanza di vini italiani, provenienti dalle principali regioni vitivinicole, e si completa con una curata selezione di referenze francesi, spagnole e della Nuova Zelanda. Accanto ai nomi più affermati e alle etichette di prestigio, abbiamo voluto dare spazio a piccoli produttori e denominazioni meno conosciute, che sanno esprimere autenticità, carattere e qualità sorprendenti. Siamo in continuo scouting. Il nostro obiettivo è offrire un percorso di pairing che spazia dalla tradizione alla scoperta. La nostra carta include anche bollicine come Champagne, Metodo Classico, Franciacorta, perfetti per accompagnare la pizza con grande eleganza.

L’abbinamento che ami di più tra vino e pizza?

Un po’ difficile rispondere, soprattutto considerando i diversi periodi che magari contraddistinguono la preferenza del vino scelto. L’abbinamento che più mi ha conquistato è aver accostato l’Alteni di Brassica 2014 di Gaja, un sauvignon piemontese di grandissima eleganza, con una pizza che racconta un equilibrio di sapori davvero sofisticato con ingredienti di crema di finocchi e patate che recano cremosità insieme al fiordilatte, le alici di Cetara che rilasciano note marine e sapide, la nduja con il pocciante, i finocchi, il crumble di pane aromatizzato all’aglio e la barbetta di finocchio a regalare freschezza e aromaticità. Le note agrumate del vino, la freschezza delle nuance vegetali e la spiccata mineralità del vino dialogano alla perfezione con la complessità della pizza. È un abbinamento che continua a sorprendermi per armonia e profondità.

Quello amato dai clienti?

Non c’è un abbinamento unico che vada per la maggiore, perché la nostra clientela è molto variegata e ognuno ha i propri gusti personali. Tuttavia, possiamo dire che una buona fetta di clienti apprezza molto il Franciacorta per la sua eleganza e freschezza, perfetto per accompagnare con leggerezza la pizza. Altri invece preferiscono vini bianchi fermi, freschi e minerali, ideali per esaltare i sapori delicati degli ingredienti. E non mancano i wine lover che amano i rossi strutturati e di grande carattere, che regalano profondità e complessità all’esperienza gastronomica. Insomma, il bello è proprio poter offrire una selezione che soddisfa e sorprende ogni palato.

Che tipo di clientela è più aperta all’abbinamento pizza e vino?

Sicuramente gli appassionati, i wine lover curiosi che vedono la pizza non più come un piatto popolare da accompagnare solo con birra, ma come una preparazione gastronomica a tutti gli effetti. Sono persone con una buona cultura enologica alle spalle o comunque con il desiderio di approfondire. Ma ci sono anche clienti meno esperti che, stimolati da un servizio attento e da una proposta raccontata bene, si lasciano guidare volentieri. In fondo, l’abbinamento perfetto è anche un’esperienza di fiducia tra chi propone e chi si affida.

L’abbinamento più stravagante che hanno fatto con il vino e la pizza?

Quando lavoravamo a Dubai, mi capitò un cliente che volle assolutamente abbinare un Barbaresco a una pizza estremamente delicata, il cui ingrediente principale era il gambero rosso di Mazara. Ammetto che rimasi sorpresa: un vino di tale struttura e complessità con un ingrediente così raffinato e gentile non era certo la scelta più indicata. Ho provato a suggerire alternative più equilibrate, cercando di guidarlo verso un accostamento che valorizzasse davvero il piatto, ma era irremovibile. In questi casi capisci si fa un passo indietro, perché il cliente ha il diritto di seguire il proprio gusto, anche se le scelte sono decisamente fuori dagli schemi. Forse è proprio questa la bellezza del vino: suscita passioni personali e ognuno vuole viverlo a modo suo, anche forzando le regole dell’abbinamento.

Un punto di forza della tua carta dei vini di Avveniva Calò?

Sicuramente è una selezione che non ci sia aspetta. Per scelta, non ho voluto arricchire la nostra proposta con referenze troppo “ordinarie”, ma puntare su vere e proprie chicche: piccole realtà vinicole che magari non hanno grandi numeri, ma che producono vini sorprendenti, autentici e con una forte identità territoriale e che hanno una storia da raccontare. È una selezione pensata per chi ha voglia di scoprire, di lasciarsi incuriosire, senza dover per forza puntare sui soliti nomi noti. Credo che oggi la vera ricchezza sia proporre qualità e carattere, anche, e soprattutto, fuori dai circuiti più battuti.

Come sarà il futuro del vino in pizzeria?

Penso che il futuro del vino in pizzeria sarà sempre più legato alla consapevolezza e alla qualità, sia da parte dei clienti che degli operatori. La pizza non è più un prodotto popolare da consumo veloce: è diventata un piatto ricercato, studiato, pensato, con impasti evoluti e ingredienti di alto livello. Di conseguenza, anche il vino deve crescere di pari passo. Vedo un futuro fatto di carte dei vini sempre più identitarie, costruite su selezioni di produttori artigianali, piccole realtà di territorio, vini che raccontano qualcosa e che esaltano sia la semplicità che la complessità della pizza. Soprattutto vedo un servizio più preparato, capace di guidare il cliente e raccontare l’abbinamento senza imporlo. Perché il vino in pizzeria deve restare un’esperienza accessibile ma al tempo stesso stimolante, capace di educare senza mai perdere il piacere della convivialità.

Eleonora Rescigno

Mario Ventura

Daniele Mari

Giovanna Urciuoli

Eva Gallo

Antonio Tutino

Giorgia Santuccione

Daniele Righi

Rocco Campana

 

Un commento

  1. Oggi, la pizza oggi ha acquisito una dignità gastronomica pari a quella di altri piatti, e abbinarla a un buon vino ne esalta la degustazione. Non è più considerata un pasto “povero o frettoloso”, ma un’esperienza culinaria completa. L’attenzione alla qualità degli ingredienti e persino al servizio (vedi la figura del sommelier in pizzeria) dimostra quanto la cultura della pizza sia in continua evoluzione, pur mantenendo salde le radici della tradizione.

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