Castelfranci, con il Taurasi di montagna il gusto ci guadagna. E anche l’invecchiamento: le aziende, i vigneti, le storie


I produttori di Castelfranci

Zonazione. What? Zonazione. Sì, in fondo il vino si fa con l’uva piantata nel terreno e il risultato è diverso, da collina a collina. L’idea che il vino debba essere sempre uguale a se stesso e manifestare affidabilità monotona è l’ultima risacca dell’egemonia esercitata dalla cultura industriale che, a partire dagli anni ’60, si è dispiegata in Italia fino alla metà degli anni ’90.

Il massiccio del Terminio visto da Castelfranci

Invece la forza del vino è proprio nell’opposto, essere diverso di anno in anno, di zona in zona. Perfino da bottiglia in bottiglia. Proprio la diversità è il labirinto mentale e papilloso che spinge ad appassionarsi, a non essere mai paghi, a viaggiare e bere.
Certo, così come almeno tre generazioni di amministratori hanno visto il cemento come simbolo di modernità, altrettante generazioni di viticoltori hanno pensato di essere incapaci perché non riuscivano ad avere un prodotto sempre uguale.

Il servizio Fisar

Così si è trascurato lo studio del terreno, le ansie dell’uva, la varietà delle viti, concentrandosi in cantina. Tante piccole cantine che imitavano le grandi cantine.
Intendiamoci, non tutto è tutto negativo. L’aggiornamento nelle aziende e l’introduzione della tecnica del freddo è stato un passaggio indispensabile, ma alla fine il segreto è mantenere sempre l’equilibrio tra l’espressione del terreno e la possibilità di governarlo. Come un ragazzo vivace tra i banchi di scuola: un bravo maestro lo guida, non lo reprime, cercando di assecondare gli aspetti più interesanti del suo carattere e metterlo a profitto.

Da sinistra, i rappresentanti dela Condotta Slow Food, Gerardo Perillo della Fisar, il sindaco Generoso Cresta, il presidente della provincia di Avellino Cosimo Sibilia e io

Ci troviamo così una bella domenica nel fresco di Castelfranci, siamo sui 500 metri di altezza, perchè il sindaco Cresta mostra di credere nel vino e nelle aziende impegnate sul territorio e promuove un convegno con la condotta Slow Food e la Fisar. C’è anche il presidente della Provincia di Avellino che, bonus, è arrivato puntuale e ha ascoltato tutto il dibattito. Cosa rara nei rappresentanti politici che in genere si comportano come i cantanti di piazza a Capodanno, vengono, dicono due stronzate senza ascoltare e se ne vanno lasciando la sedia vuota. Un po’ come fare pipì in Autogrill. Sibilia invece ha sentito molto e parlato il necessario, politico d’antan, chissà se resisterà.

Ma spieghiamo cosa è Castelfranci.

L'areale del Taurasi docg

Si tratta di un comune di poco più di 2000 abitanti, in continuo calo demografico. Siamo a Sud dell’areale, come potete vedere nella cartina, ma non fatevi ingannare: qui significa essere in altezza, immaginate una sdraio sul crinale del Massiccio del Termino, quote sui 1800, con le gambe a valle. Il Massiccio del Terminio è una fortezza naturale da cui spilla l’acqua per quasi tutto il Sud, da Napoli alla Puglia, fa da contraltare al Partenio e crea la conca con quel microclima pessimo per gli uomini ma meraviglioso per l’uva, sempre sottoposta a escursioni termiche, freddi, pianta su terreno vulcanico, argilloso e sabbioso, e calcareo. Le condizioni per la viticoltura moderna di qualità ci sono tutte insomma.

Un vigneto a Castelfranci

Siamo dunque ai bordi dell’areale, con vigne che vanno da quota 450 sino a 600, anche 650. Una viticoltura di montagna, appena 63 gli ettari iscritti alla docg Taurasi, di cui una cinqunatina in produzione. La vendemmia a queste quote chiude la stagione, viene fatta tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre, in una proprietà estremamente frazionata. Circa due, tre ettari a testa.

Michele Perillo

La viticoltura commerciale è assolutamente recente, la prima azienda a nascere è Perillo nel 1999. Michele è contadino autentico, sempre in vigna, si applica con passione ai quattro ettari complessivi divisi in tre vigneti: due a Contrada Baiano (terreno argilloso, lapilloso e pietroso), uno a contrada Valle (terreno tufaceo e sabbioso) e uno a Contrada Iampenne nel confinante comune di Montemarano, ancora argilla e pietre. Il Taurasi di Michele, ottenuto da cloni locali è affiancato da un solo bianco, la Coda di Volpe. Bravo! Il Taurasi è di antiche vigne piantate a tendone

Giuseppe Gregorio con il figlio, Colli di Castelfranci

La seconda azienda nasce dopo tre anni, siamo nel 2002, ed è Colli di Castelfranci per iniziativa di Giuseppe Gregorio e Gerardo Colucci. Grandi bianchi iniziali con l’enologo Alessandro Mancini, poi il cambio con Carmine Valentino e una maggiore attenzione ai rossi. L’estensione dei terreni è significativa, 25 ettari, forse sono loro quelli che lavorano l’Aglianico nel corpo iniziale dell’azienda di dieci ettari alla maggiore altezza di tutti i produttori, 690 metri!

Castel dei Franci

Passiamo al 2003, quattro soci mettono insieme sette ettari e fondano la terza azienda, Castel dei Franci, zona Braiole ai confini con il comune di Paternopoli. Terreno tufaceo e argilloso, ci lavora Carmine Valentino.

Raffaele Boccella con la moglie

La quarta azienda è Boccella, nata nel 2005 a san Marciano, proprio alle spalle del centro abitato. Questa cantina è seguita da Fortunato Sebastiano che rompe così il “monopolio” di Carmine Valentino, esempio perfetto di enologo di territorio professionale e poco, forse troppo poco, ciancioso. Il salto quando Raffaele e Giovanni decidono di vinificare le proprie uve della proprietà comprata da padre Giuseppe al rientro dal Venezuela. Una realtà condadina, due case e la cantina circondata dalla vigna a quota 500 metri, appena tre ettari, ma buoni buoni su terreno argilloso segnato da una forte erosione facilitata dalla pendenza. Fortunato ha introdotto la coltura biologica, la vecchia vigna di 50 anni a raggiera è trattata solo con il sovescio.

Carmine Valentino, Michele Perillo e Fortunato sebastiano prima della degustazione

Infine una nuova cantina, Cantina dell’Angelo a Baiano, 550 metri, che ha presentato i lsuo primo prodotto, un Aglianico 2006 igt. La bottiglia c’era, i titolari no, in puro stile irpino a cui noi siamo abituati ma che un qualsiasi giornalista o buyer venuto da fuori avrebbe trovato demenziale.
Ma è questa biodiversità antropologica che in fondo ci condanna a scrivere, altrimenti tutto sarebbe nelle mani degli uffici stampa come in Toscana.

Il terreno sabbioso della parte alta di Castelfranci

Quali sono le caratteristiche del Taurasi di montagna?
Molto semplici
1- Non è mai pronto, neppure nelle annate più calde, prima di cinque, sei anni.
2-L’acidità detta sempre il tema. Questo lo rende abbinabile e elevabile
3-Come i vecchietti del Caucaso, durano molto più a lungo degli altri.

I Taurasi di Castelfranci in degustazione

Ed ecco brevi note, poi destinate ad allargarsi

Boccella Taurasi 2005 docg.
Una zaffata di cioccolato, la dolcezza ridonda in bocca. Al naso melassa, ruhm. Poi finalmente prende il sopravvento la freschezza.
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Gagliardo 2005 Taurasi docg Colli di Castelfranci
Sottile, lungo, molto buono. Amaro di fondo che regge la beva. C’è un buon allungo in bocca
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Marchese Brancia 2005 Taurasi docg Castel dei Franci
Colore quasi violaceo. Tagliente, lungo, piacevole. Di corpo. Acidità, buona spinta
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Perillo Taurasi 2005
Bella spinta olfattiva, in bocca è fresco, leggermente tannico, con buon allungo finale
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Perillo Taurasi 1999
Dolce, acidità rientrata. Caldo. Lungo. Cioccolata. Strutturato. Più morbido.
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Il tono dei Taurasi 2005 è dunque dato dalla freschezza.
Una precisazione: non fatevi ingannare dal fatto che tre aziende afferiscono allo stesso enologo, Carmine Valentino. Infatti nel momento in cui alla base del lavoro c’è buona viticoltura, i terreni effettivamente si esprimono diversamente e con varie sfaccettature.

Carmine Valentino

Come abbiamo avuto modo di dire, Carmine è un enologo vecchio stampo, poco protagonista. Un po’ come gli chef di una volta. Ma conosce molto bene e il territorio irpino dove è nato e principlamente lavora.
E i risultati si sono visti

I vigneti di Montemarano visti da Castelfranci

Insomma, circa centomila bottiglie: questa è la cantina di Castelfranci. Ma se sapranno caratterizzarsi, e non devono inventarsi nulla visto che, come si dice, altezza è mezza bellezza, avranno sicuramente molte soddisfazioni. L’importante è indirizzare il lavoro verso l’attesa.
Chi spandechea non rosichea.

Voilà.

5 Commenti

  1. “Il terroir è uno spazio geografico delimitato, dove una comunità umana ha costruito, nel corso della storia, un sapere intellettuale collettivo di produzione, fondato su un sistema d`interazioni tra un ambiente fisico e biologico ed un insieme di fattori umani, dentro al quale gli itinerari socio-tecnici messi in gioco rivelano un’originalità, conferiscono una tipicità e generano una reputazione, per un prodotto originario di questo terroir” Institut National des Appellations d`Origine (INAO)
    Grandi vini di grandi zone vocate, di piccoli grandi uomini

  2. COMUNQUE GENTILI PRODUTTORI : QUALCHE BEL SORRISO NON SOLO AIUTA LA VENDITA MA … ALLUNGA LA VITA :-))

  3. @ Luciano : in Irpinia “gira” una storia secondo la quale le migliori uve aglianico che partivano da qui per raggiungere il Piemonte, la Toscana e qualcuno giura anche la Francia, provenissero da Castelfranci e da Montemarano e non da Taurasi che ha potuto godere della notorietà raggiunta solo grazie all’aspetto logistico di avere lo scalo ferroviario nel proprio comune. Che ne pensi, tu che ne sai una più del diavolo?

    1. Qui gioco in casa: vivo dove il versante Nord di Montemarano incontra il versante Sud di Castelfranci. Dai racconti delle persone anziane so per certo che questa “storia” era la realtà contadina della mia terra.
      Il mio bisnonno ha vissuto questa epoca storica e mio padre mi racconta delle botti di vino che dalla contrada Iampenne venivano trasportate alla vicina stazione ferroviaria di Castelfranci e da lì partivano per il Nord oppure per la Francia. Durante il convegno, il sindaco ci ha raccontato di quando il nostro vino giungeva sulle tavole dei ristoranti a Milano e, anche se più raramente, in Francia senza sapere che quel vino era il nostro grande Aglianico. La mia speranza è che i giovani riscoprano le loro radici, che ripartano proprio da lì dando dignità al lavoro dei nostri nonni e alle nostre origini contadine.

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