Alessandra Moneti e Denis Pantini: Ci salveranno gli chef Il contributo della cucina italiana alla crescita del sistema agroalimentare


L’alta cucina ai tempi della crisi guarda all’internazionalizzazione, con gli chef italiani sempre più spesso con la valigia in mano per fare consulenze e aprire ristoranti nei quattro angoli del pianeta. Perché il Made in Italy nel mondo piace e attira ogni anno 730.000 turisti stranieri che spendono sul territorio nazionale 124 milioni di euro esclusivamente per viaggi d’esperienza enogastronomica, secondo un’elaborazione del Rapporto 2012 sul Turismo di Bankitalia. E’ uno dei dati analizzati nel libro ‘’Ci salveranno gli chef. Il contributo della cucina italiana alla crescita del sistema agroalimentare’’ di Alessandra Moneti e Denis Pantini, Agra editrice (136 pagine, 15 euro) presentato ieri a Roma, con la partecipazione degli chef Cristina
Bowerman (Glass – Romeo) e Francesco Apreda (Imago).

‘’Il nostro non è un libro di ricette ma un libro che ha l’ambizione di fare un coro – ha detto uno degli autori, Moneti – coi tanti campioni della cucina italiana che vogliono superare individualismi e il pensare in piccolo per fare squadra. Sono 35 gli chef che qui raccontano i pro e i contro del fare impresa nel settore Ristorazione. Facendo il punto sull’offerta formativa di scuole private e dell’Alberghiero, alla luce del boom di iscrizioni di aspiranti chef, e della cronica mancanza di professionali camerieri e banconisti. E lo fanno a partire da due giornate di incontro, una sulla valorizzazione della cultura gastronomica nazionale e l’altra sulla formazione in campo enogastronomico, tenutesi a Roma tra lo star system degli chef stellati e ministri del governo Letta che di fatto hanno aperto, per la prima volta, un dialogo tra i portabandiera della cucina italiana e le istituzioni’’.

‘’Finalmente un libro che presenta gli chef come imprenditori – ha detto Cristina Bowerman, chef stellata e docente di Arti Culinarie all’università di Chicago – e che sottolinea la necessità di un quadro normativo che superi gli ostacoli burocratici che ci discriminano rispetto ai nostri colleghi europei nell’assumere apprendisti e avere stagiers in brigata di cucina’’. Il saggio di Pantini e Moneti, ha commentato Francesco Apreda, ‘’è un intelligente fotografia dell’evoluzione del lavoro dello chef. Un’attività che inizia la mattina presto, con gli acquisti e il controllo delle forniture agroalimentari, e con il computer. Rispondere a un Twitter, condividere esperienze e ricette su WhatsApp, mettere le foto dei piatti su Instagram, è un must ogni giorno; serve a crescere e serve anche ad avere tavoli prenotati in sala’’. Un confronto vivace che ha messo in luce le capacità comunicative e imprenditoriali dei due chef stellati, ma anche la crisi del settore che ha visto solo a Roma chiudere 223 ristoranti nei primi 8 mesi del 2013, e bilanci in rosso anche per ditte specializzate in catering in mense scolastiche e ospedali. ‘’Ormai lavoro solo con gli stranieri, sono loro a ordinare le bottiglie di vino top. E io faccio export da Roma’’ è la testimonianza dello chef Massimo Riccioli (Hotel Majestic) intervenuto all’incontro.

Come possono la ristorazione e la cucina italiana valorizzare il sistema agroalimentare che, considerato nella sua accezione più ampia di filiera, arriva a pesare sul PIL e sull’occupazione per il 14%? La risposta non è scontata ma è sicuramente strategica, soprattutto alla luce delle condizioni in cui versa oggi la nostra economia e che vede i consumi alimentari in Italia ridursi progressivamente, tanto da essere arrivati -in termini di spesa pro-capite attualizzata– agli stessi livelli degli anni ’60.

Per fortuna c’è l’estero, si dirà. E in effetti l’export alimentare italiano ha superato i 26 miliardi di euro nel 2012 (considerando anche i prodotti agricoli il valore è arrivato vicino ai 32 miliardi), evidenziando una crescita in dieci anni del 74%. Ma delle oltre 54.000 imprese alimentari italiane solamente il 12% esporta, per una propensione all’export pari al 20%, poca cosa se paragonato al 31% della Germania (per esportazioni superiori a 55 miliardi di euro) o al 25% della Francia. Le opportunità esistono, ma solo in pochi riescono a coglierle. Sono soprattutto le piccole imprese – che in Italia pesano per quasi il 90% sul totale del settore – ad avere difficoltà nel raggiungere i mercati esteri.

Ed è soprattutto a queste aziende che la ristorazione italiana nel mondo può dare una mano. Perché per accedere al canale della ristorazione ci sono meno ostacoli rispetto a quello della GDO; e poi perché, in generale, è soprattutto grazie ai ristoranti italiani se molti dei nostri prodotti alimentari sono oggi apprezzati e consumati tra le mura domestiche in oltre 150 paesi al mondo! Basti citare, per tutti, il caso della Svezia: fino a metà degli anni ’90 in questo paese non si consumava pasta. Con la diffusione della cucina italiana – percepita come “buona” sia in termini salutistici che di gusto – oggi la Svezia rappresenta il quarto paese al mondo per consumi pro-capite di pasta.

Il problema resta l’Italia e come “rivitalizzare” i consumi interni. In questo contesto, anche la ristorazione soffre, con cali nelle presenze e conseguenti chiusure di esercizi. Ciò che non sembra diminuire ma anzi aumentare è l’interesse verso la cucina italiana, considerata ormai un fenomeno mediatico dalle mille sfaccettature (editoriale, televisivo, radiofonico, dei social network). Un’indagine Nomisma realizzata su 1.000 responsabili di acquisto di prodotti alimentari delle famiglie italiane evidenzia come tale “passione” porti 3 italiani su 4 a seguire trasmissioni televisive e a navigare su siti e blog di cucina. L’aspetto più interessante, emerso dalla stessa survey, è che per il 54% di questi “appassionati”, tutto questo interesse per la cucina si traduce anche in cambiamenti nel comportamento negli acquisti o nelle modalità di consumo dei prodotti alimentari. Ma in che modo?

Andando a scavare più in profondità tra i rispondenti si scopre che i cambiamenti nel comportamento di acquisto alimentare indotti dalle trasmissioni televisive o dai siti internet interessano maggiormente i responsabili di acquisto di famiglie con figli, di professione operai o impiegati, inseriti in una fascia di reddito familiare medio-bassa, di genere femminile e di età compresa tra 30 e 44 anni. In particolare, i cambiamenti più intensi hanno riguardato con maggior frequenza le famiglie dove negli ultimi 12 mesi uno o più componenti ha perso il lavoro o è stato messo in cassa integrazione.

“In altre parole, stando a questi risultati, si evince come i programmi televisivi dedicati alla cucina abbiano avuto, tra gli altri, l’effetto di aiutare le famiglie italiane a risparmiare negli acquisti alimentari, magari sostituendo il consumo di piatti pronti con le preparazioni da realizzare direttamente in casa” dichiara Denis Pantini, Direttore dell’Area Agroalimentare di Nomisma e co-autore del libro. Una tendenza che tra l’altro viene confermata da tutte le analisi economiche e statistiche sui consumi alimentari che per gli ultimi anni rilevano una diminuzione dei prodotti confezionati a vantaggio degli acquisti di ingredienti – come la farina – per le preparazioni domestiche.

La passione per la cucina e per gli chef porta inoltre gli italiani a prestare maggiore attenzione alla qualità e all’origine dei prodotti, ad un crescente interesse a visitarne i luoghi di produzione e ad una miglior conoscenza delle relative caratteristiche organolettiche. Ma soprattutto conduce questi “appassionati” a passare più tempo in cucina.

“Il che forse non farà contenti i ristoratori” conclude Pantini “ma almeno permette alle famiglie italiane di non rinunciare alla qualità di quello che mangiano risparmiando al contempo”.

 

Alessandra Moneti
Denis Pantini
Ci salveranno gli chef
Il contributo della cucina italiana alla crescita del sistema agroalimentare

Pagine 136, euro 15,00

Agra Editrice, 2013
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