Coronavirus. Piero Pompili, lettera di un ristoratore: ripresa in affanno, paghiamo gravi errori di comunicazione. Ecco perchè siamo diventati la categoria più massacrata
Piero Pompili è restaurant manager al ristorante Il Cambio di Bologna. Ma questa definizione è assolutamente riduttiva rispetto alla sua poliedrica personalità perché Piero è nel mondo della ristorazione praticamente da sempre, autore di uno dei primi blog di settore che faceva tendenza oltre dieci anni fa: Muccapazza. Colto di gastronomia e appassionato di cucina, soprattutto competente, una parola che nel mondo degli influencer mascherati è una significato negativo, ci ha inviato questa lettera-articolo che volentieri pubblichiamo.
di Piero Pompili
Ho riaperto il 21 maggio, molto prima rispetto ad altri miei colleghi che sono ancora chiusi. Ho preferito anticipare la nostra ripartenza perché avevo bisogno di capire con cosa mi sarei dovuto scontrare.
Al momento viaggio al di sotto del 50% della mia forza lavoro, ad esser sincero speravo in un risultato migliore ma mi sono dato 7/10 giorni per osservare quello che mi succede attorno anche se alcune cose le ho capite molto bene visto che al momento mi dicono che siamo quelli che hanno più movimento a Bologna.
E questa cosa mi preoccupa, perché la ripresa non sarà per nulla facile, per nessuno.
Noi siamo ripartiti al lavoro con tutto lo staff al completo.
Avevamo chiuso l’8 marzo, con un planning di prenotazioni che arrivavano fino a fine maggio, oggi ci siamo emozionati per la prima prenotazione di un tavolo da 5 persone fatta con ben undici giorni di anticipo. È indubbiamente un bel segnale.
Tuttavia sarò sincero, è abbastanza evidente che nella gente si sia rotto un equilibrio, per questo dico che la ripartenza sarà veramente dura, e se tutti primi o poi riapriranno sarà da fine settembre che ahimè inizieremo a contare i ristoranti che butteranno la spugna decidendo di non riaprire l’anno nuovo.
Purtroppo in questi mesi di lockdown c’è stato una campagna del terrore che oggi riecheggia nella testa della gente che non si fida a tornare alla vita di prima, tanto meno al ristorante, anche se oggi è una di quelle attività più sicure ma che mediaticamente parlando negli ultimi mesi è quella che ne uscita più massacrata.
Massacrata un po’ per l’immagine di disperazione dei colleghi stessi nel non sapere giustamente come riuscire a portare avanti la propria attività, facendolo però con continue lamentele e urla su social e tv, ignorando il fatto che ci si esponeva anche alla visione di una clientela. Io stesso eviterei quei ristoranti che in questi 77 giorni non hanno fatto altro che lamentarsi, perché in fondo se vado fuori, lo faccio perché ho voglia di andare a star bene e non per farmi carico dei problemi dei ristoratori che seppur legittimi in termini di immagine andavano affrontati in maniera differente.
Poi c’è stato il problema di come i giornalisti generalisti hanno estremizzato le riaperture dei ristoranti, offrendo ogni santo giorno ipotetiche misure con scenari post apocalittici inculcando terrore nella categoria dei ristoratori già di per se allo stremo e alimentando l’idea nella testa della gente “ah, io al ristorante non ci vado se devo mangiare separato da un pannello di plexiglas” .
La cosa curiosa è che in tutte le trasmissioni televisive interamente dedicate al Covid-19 non ho mai visto un giornalista gastronomico esprimere la sua opinione. In pratica dei giornalisti che fino a all’altro ieri si occupavano di cronaca nera erano diventati giornalisti esperti di enogastronomia. E se ci pensate bene, è un po’ come decidere di farsi operare non da un chirurgo ma da un postino, con tutto il rispetto del postino, ma sono due figure completamente diverse. Ma la gente ha accettato tutte le notizie che arrivassero dalla tv senza saper più distinguere una buona informazione da un informazione becera.
Poi c’è stato il terrore psicologico creato dai vari esperti che già annunciano una ricaduta in autunno (anticipando panico prima del dovuto) quando invece in una società civile e preparata ci si aspetto che nell’eventualità si verificasse un ipotesi di ricaduta si sia in grado di affrontare il problema nel migliore dei modi, soprattutto se sia ha già un passato. Ma a quanto pare per gli esperti le preoccupazioni prendono il sopravvento sulla capacità di creare soluzioni per il futuro.
Ovviamente il pericolo, qualunque esso sia, non va mai sottovalutato ed abbiamo tutti in mente il numero di vittime che abbiamo dovuto pagare e che ancora oggi ci dicono che dobbiamo continuare a stare in guardia, ma indubbiamente abbiamo sbagliato nella comunicazione.
Insomma oggi ci ritroviamo a dover combattere con la paura di un ritorno alla normalità che tanto normale non sarà.
Eravamo rimasti al “impareremo a sorridere con gli occhi” ed oggi è la nostra unica forza. Abbiamo bisogno di tornare quanto prima a una normalità psicologica e per far questo dobbiamo usare gli stessi strumenti con i quali abbiamo inculcato terrore.
I media e i social network hanno un grande potere, dobbiamo lanciare messaggi positivi, di vita quotidiana e del nostro lavoro, questa è una soluzione valida non solo per il campo della ristorazione ma anche nella campo della moda, manifatturiero, dello spettacolo e dell’intrattenimento. Perché in fondo, siamo un po’ tutti in ginocchio.
Dobbiamo riuscire a farlo nel breve periodo e per far questo occorre l’aiuto di tutti, giornalisti gastronomici, guide e soprattutto ristoratori, altrimenti il prezzo da pagare nel lungo periodo sarà altissimo tanto che in confronto la crisi del 2008 rischia di esser stata una passeggiata.
Noi a Bologna siamo molto fortunati, perché abbiamo avuto un presidente di regione che ha avuto il coraggio di porre delle linee guida sulla riapertura dei ristoranti, bar, stabilimenti balneari ecc..ecc alle quali poi altre regioni si sono adeguate, e forse questo è stato l’aiuto più concreto che la ristorazione potesse avere dal governo perché ci ha permesso di poter ripartire in sicurezza mettendoci però nella condizione di poter fare il nostro lavoro.
Oggi i ristoranti sono tra i posti più sicuri in assoluto ma sono quelli che pagano il prezzo più alto e la nostra sfida più grande da vincere è tutta lì, nella comunicazione.
Questa esperienza ci insegna anche che al governo, a dispetto del PIL che produciamo, come categoria non contiamo niente, evidenziando la mancanza negli uffici tecnici di persone che sappiano anche di ristorazione perché non possiamo più affidarci a dei tecnici che nella vita fanno altro. Altrimenti è come continuare a volersi fare operare da qualcuno che nella vita fa tutt’altro. Chi lo farebbe mai?
L’unica maniera per poter tornare alla normalità al momento sta nella scoperta di un vaccino, ma anche quando ci sarà, passeranno anni prima che tutti potremmo averlo fatto.
E allora con questo virus dovremo imparare a conviverci, così come tutti stiamo imparando a sorridere con gli occhi dietro quella mascherina.
Abbiamo bisogno di buon senso, di parole misurate e centrate per risolvere i problemi e non darli, abbiamo bisogno di rispetto per chi lavora in ogni campo, e non solo ricordarci di medici e infermieri quando ne abbiamo bisogno ma soprattutto abbiamo bisogno di amore, per noi, le persone che amiamo e la nostra nazione.
Siamo un paese straordinaria e tutti insieme con testa e cuore possiamo affrontare qualsiasi paura, e soprattutto, vincere.