Fettina di carne con sugna e prezzemolo, ‘A carn’ ‘a libbretto


'A Carne a libbretto

di Tommaso Esposito

A Luciano non piace mangiare a Napoli la fettina di carne.

L’ha confessato su Fb.

Ma non ha ancora assaggiato quella che preparo io.

Eccovi la ricetta che mi passò Zì Ngiulina ‘a chianchera.

Da lei sempre ottime carni.

Non c’è più.

La fettina di carne

Ingredienti per 4 persone

Fettine di colardella o colarda di vitello 4

Sugna ‘nzogna gr 50

Aglio spicchio 1

Prezzemolo, sale, pepe nero q.b.

Procedimento

Triturate l’aglio e il prezzemolo.

Unitelo alla sugna amalgamando fino a ottenere un composto pressoché omogeneo.

Prezzemolo, aglio, sugna

Su ogni fetta di carne splamare il composto, salare e pepare.

Prezzemolo, aglio, sugna sulla fettina

Chiudere a libretto la fettina e fermare con stecchini.

Pronta per la brace o la padella

Alla brace o in padella antiaderente caldissima.

Come piace, a l sangue o ben cotta, ritirare e via nel piatto.

Al sangue

Al sangue

Che dirvi?

Provatela

 

10 Commenti

  1. Questa è una ricetta davvero molto antica. A casa si chiamava carne a bagnomaria e si usava l’olio al posto della sugna. Ha avuto un ruolo importante nel determinare il mio gusto: chiedevo a mia madre di lasciarla quasi cruda e mi piaceva mangiare l’aglio impegnato dall’odore della carne e dell’olio:-)

    1. Anche a casa mia ho sempre mangiato la carne a bagnomaria, ma questa mi sembra diversa, quantomeno per la cottura. Come te, anche a me piace mangiare l’aglio impregnato del sughetto che si forma. In realtà bevo anche il sughetto, compreso il prezzemolo! :-)

  2. Una bellezza. Se Caffarri non s’adombra gli rubo il termine “sobrietà golosa”. Credo che necessiti di un pane come si deve, ruvido e alto, spugnoso per assorbire tutti i succhi. Pane cafone di quella signora vicina di casa di Tommaso o quel pane di Matera che ho assaggiato col prosciutto a Paestum. Basta vado a mangiare, sempre che la terra dia tregua, non tanto a me, quanto agli emiliani della Bassa.

  3. E bravo a Tommaso!
    E io che mi credevo “ca zì ‘Ngiulina ‘a chianchera” fosse zia a me. Svolgeva la sua attività come lo poteva fare la Sibilla Cumana, compariva da dietro il bancone con la sua figura di virago, grembiuli su grembiuli, che ne ingrassavano già la grossa stazza, i capelli raccolti in una crocchia il cui accomodamento costituiva una giornata di lavoro completa di una “capera”, gli occhi con grosse borse, alla Aldo Fabrizi, depositaria di segreti sui tagli e siti di carne e sul loro modo di cucinarli (Tommaso docet). Fu da lei che appresi dell’esistenza del “lattaccio” di manzo e del “risolo” di maiale, la cui parsimoniosa incidenza su ogni capo, ne faceva limitare la quota che spettava alle mie vogliose fauci di giovanetto dal gusto precoce e popolano.
    Un’altra leccornia, Tommaso, ricordi?, era costituita dalla salsiccia cotta al cartoccio, prima in foglio oleato, poi nella carta paglia dei macellai, bagnata per prolungarne l’effetto, infine sommerso dalla cenere bollente di un braciere a carbonella che presenziava in ogni casa. Preparavamo i cartoccetti con avidità, pregustando quella che poi ci sarebbe toccata come quota per la cena. Che tempi!

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