Fiano di Avellino 1990 doc Vadiaperti


Fiano di Avellino 1990 docg

Uva: fiano di Avellino
Fermentazione e maturazione: acciaio
Fascia di prezzo nd

“Ma questo è un Fiano degli anni ’90!” Sorride Gino Oliviero, il folletto del vino irpino rientrato nella sua Portici al Cieddi: “Ci hai quasi preso, non è anni ’90. E’ 1990!.
E tira fuori la renana inconfondibile del Fiano di Avellino di quel periodo, agli albori della viticoltura campana. Appena 1600 bottiglie dichiarate in una retroetichetta chiaramente ispirata alla vocazione pedagogica e non commerciale del professore di Montefredane, Antonio Troisi.

Fiano di Avellino 1990 Vadiaperti doc

Come si vede, il professore non aveva fretta: imbottigliato a un anno dalla vendemmia. In questo, come in altre corse, è stato davvero un precursore.
Rivederlo adesso, questo Fiano brizzolato dal tono giovanile, ci consente di rivedere Montefredane con altri 24 anni di bevute alle spalle. Del perché il bianco di questa collina appare una deviazione rispetto a quello di Lapio e non viceversa.

Bianchi di lungo corso, come abbiamo avuto più volte modo di testimoniare in alcune verticali di Vadiaperti.

Beh, il motivo è evidente: negli anni ’90 il Fiano artigianale si è progressivamente identificato con lo stile di Clelia Romano, più ricco e rotondo, con il frutto in maggiore evidenza.

La bottiglia fa parte della riserva personale di Gino che gestiva la Maschera di Avellino. Si è trattato di un locale importante per molti piccoli produttori che avevano qui e al bar Moccia la loro prima, e spesso unica, vetrina.

Di quegli anni carichi di speranze e di aspettative, in parte realizzate in parte soffocate da ottusità ancestrali, restano queste bevute tra amici.

Il Fiano in questione aveva un filino di tappo quasi impercettibile, un problema che per un periodo assillò il professore come un altro paio di aziende campane. Ma a parte questo dettaglio, quello che ci ha colpito è la potente energia trasmessa da questo bicchiere.
Il naso è segnato da note tostate di mandorla, miele di castagno, foglie di agrumi e un filo ossidativo a fare da cornice. In bocca la verve è decisamente giovanile, con una materia molto ricca, una sensazione di salato e di amaro tipico di Montefredane sino alla chiusura assoluta e definitiva che ripulisce completamente la bocca.
L’allungo è dato proprio dalla cifra amaricante della beva, sostenuta però da una incredibile e inusitata freschezza che mai e poi mai ti aspetteresti da un bianco passato in acciaio dopo 24 anni.
La controprova, insomma, di come da questa materia prima si potrebbero ottenere vini eterni, in perenne confronto evolutivo con il tempo. Un Fiano pensato da un palato cresciuto senza omogeineizzato quando più della metà della popolazione era ancora stata svezzata senza prodotti industriali, pensato per cibi salati e tosti.
Ecco perché un bicchiere del genere ci spiega cosa è stato ma anche cosa avrebbe potuto essere.
In ogni caso l’intuizione del professore, uno dei primissimi a vinificare esclusivamente le proprie uve come rivendica orgogliosamente in etichetta, fu geniale e coraggiosa. Tornano alla mente dettagli: “Ti faccio fare un agnello, ci sta benissimo” dice Gino. Cavolo, proprio la carne su cui Antonio diceva di berlo.

E in effetti capisci come questi bianchi erano fuori battuta negli anni ’90 quando si affermò uno stile morbido e fruttato in un paese che non ha mai creduto fino in fondo alle proprie uve a bacca bianca. Tanto da presentarle bianco carta o seppellite nel legno, due opposti caricaturali di quel decennio ormai alle spalle.
E colpisce come questo vino sia talmente grande, espressione compiuta di un territorio, da essere sopravvissuto non solo ad Antonio ma anche alla stessa Vadiaperti.

3 Commenti

  1. Una grande esperienza. Emozionante. Il professore dal suo personale paradiso ha certamente sorriso sorseggiando un bicchierino di quella splendida grappa che ti offriva sempre davanti alla cascata di brace del suo fantastico camino. Ultima bottiglia (Sigh) ma bevuta con grande piacere ed amicizia con Marina e Luciano. Momenti in qui dimentichi la durezza di questo nostro mestiere e ti riconcili con il piacere di essere artefice della gioia di vivere con i tuoi amici o clienti certe sensazioni così emozionanti. E poi vuoi mettere che, ogni giorno a partire da oggi, potrai dire “IO c’ero”…Ad Maiora

  2. Di questo passo non ci resta che far nostro il motto di un caro amico di cui ,per carità di Dio e per pace familiare,non faccio il nome che ama ripetere ,sopratutto quando si stappano grani bottiglie di ottime annate:VINI VECCHI E DONNE GIOVANI.Prosit.FM.

  3. C’ero anch’io e finchè Gino non ha svelato l’annata, 1990, non ci avrei mai pensato. A Francesco – vini vecchi e uomini giovani.

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