Gennaro Esposito: forse alcuni miei colleghi forse non hanno capito che la sicurezza non è negoziabile e che lo Stato non è controparte. Ecco come si cenerà nei prossimi mesi


Cari Lettori
rilanciamo l’intervista che ieri abbiamo pubblicato sul Mattino a Gennaro Esposito perchè riteniamo sia di ampio interesse per tutti.

Becchiamo Gennaro Esposito in piena tempesta social. Addirittura dalla lontana Calabria arriva un hashtag #iononstocongennaroesposito. Ma lui non sembra dargli molta importanza.

“Molti miei colleghi non hanno capito che siamo in una pandemia mondiale e che aprire un ristorante non è solo un atto di coraggio, sicuramente sconveniente sul piano commerciale e imprenditoriale, ma anche un gesto di responsabilità verso i nostri dipendenti e verso i clienti. Come possiamo pensare di far contagiare qualcuno che viene da noi e paga per mangiare?”

Però le critiche riguardano il protocollo che hai presentato dopo aver consultato tanti cuochi tuoi colleghi, ti accusano di aver ritagliato delle norme a tua misura, o comunque valide solo per ristoranti stellati.
“Sui social si leggono tante stupidaggini. Chi parla non si rende conto che ci sono delle misure prescritte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e sostenute ovviamente dalle autorità sanitarie italiane che non sono negoziabili. Non vuoi i due metri di separazione? Beh allora devi mettere un pannello divisore, una tenda, qualcosa che eviti il contagio tra le persone. Non è che puoi decidere di attraversare con il rosso se la regola è aspettare il verde”

Facciamo conto che io sono un cliente e che busso al tuo ristorante. Fammi capire che cosa succede sino a quando me ne vado.
“Anzitutto credo si perderà l’abitudine di bussare e vedere se ci sono tavoli liberi. Sarà infatti necessario prenotare per consentire di operare al meglio. Magari dopo aver già scelto cosa mangiare consultando il menu on line e ordinando prima di entrare. Appena arrivi devi avere la mascherina, un mio collaboratore, come tutti, avrà a sua volta la mascherina e ti misura la temperatura. Vieni poi segnato in un registro che è a disposizione delle autorità nel momento in cui tu dovessi essere contagiato per tracciare i tuoi movimenti”.
Insomma, come entrare in un bunker..
“Certamente, noi siamo in piena epidemia. Il nemico è pericoloso, astuto, subdolo, ha già dimostrato di poter fare danni devastanti se trova un ambiente favorevole. Diciamola tutta, andare al ristorante in queste condizioni è un atto di grande volontà ed è giusto che tutto si svolga in modo tale da ridurre al massimo i rischi per gli operatori e per i clienti. Una cena non può trasformassi in una roulette russa. Ricordiamoci che rispetto a due mesi fa non è successo nulla di nuovo sostanzialmente e che per combattere questo nemico abbiamo sempre solo tre armi: distanziamento sociale, lavarsi le mani e mascherina. Non c’è alcun farmaco e nessun vaccino. E’ solo migliorata la capacità di accoglienza nelle strutture sanitarie e magari nei trattamenti ai pazienti”.

Va bene, adesso torniamo nel ristorante. Sono sano, sono stato registrato. Adesso cosa faccio?
“Un collaboratore ti porta al tavolo dove finalmente ti puoi togliere la mascherina. Ovviamente tutto è già in sicurezza, dalle tovaglie alle posate. Puoi scegliere il menu, se non lo hai già prenotato, dal cellulare”.

Tutto qui? E se mi alzo per andare in bagno o per fumare?
“Quando attraversi la sala devi sempre avere la mascherina. I tavoli saranno distanziati di due metri come prevede l’Oms. Nel bagno c’è tutta a procedura che sanifica l’ambiente”.

Ad un altro tavolo vedo un amico. Posso alzarmi per andare a salutarlo come di solito avviene?
“Sicuramente si, ma anche in questo caso bisogna usare la mascherina”

E poi?
“Arriva il conto, paghi con carta di credito, rimetti la mascherina e sei libero di andare quando credi”.

Facciamo conto che è inverno ormai. Niente vaccino. Cosa faccio con il cappotto?
“Come sempre lo affidi a noi che lo metteremo in modo tale da non farlo entrare in contatto con quello degli altri”.

E in cucina?
“Qui si dovrà avere un minimo di distanza di sicurezza, almeno un metro. Certo, cambieranno anche in questo le modalità di lavoro. Certe preparazioni dovremo spalmarle su più tempo durante la giornata, inutile nasconderlo. Cambieranno le abitudini, così come è cambiato il nostro modo di prender e l’aereo dopo l’11 settembre”

Tutto chiaro. Ma, detto questo: a chi viene voglia di andare al ristorante in queste condizioni?
“La scommessa è questa. Ma io invito tutti a diffidare da chi fa promesse false. Queste cose di cui abbiamo parlato non sono valutazioni politiche, ma prescrizioni generali che valgono per tutti i paesi del mondo fino a che, speriamo presto, la pandemia non termina”.

In effetti ho parlato con Umberto Bombana ad Hong Kong che sta alle prese con la terza pandemia in dieci anni, oltre alla rivolta sociale dello scorso anno. In queste condizioni le cose gli vanno abbastanza bene perché ormai la gente si è abituata.
“Appunto. Del resto chiediamoci come erano i ristoranti trent’anni fa e come sono adesso, quante norme di sicurezza in più abbiamo introdotto, soprattutto in Italia dove siamo i primi al mondo per pulizia e qualità. Io invito i miei colleghi a considerare la situazione drammatica i cui ci troviamo. Tutti abbiamo perso soldi e opportunità, ma in questo caso lo Stato non è una controparte. Non è una ispezione dell’Asl, qui è in gioco la salute e non si scherza”.

Altre critiche che ti sono arrivate sui social: non aver tenuto conto di chi ha piccoli locali?
“Noi potevamo scrivere il libro dei sogni e poi farcelo bocciare e dire che gli altri erano i cattivi. Abbiamo fatto uno sforzo per fare proposte accettabili. Qua le scelte sono oggettive: metti i separatori e puoi avvicinare i tavoli. Si tratta di opzioni, ma non è che possiamo contrattare con lo stato la distanza di 1,90 metri anziché due. Non è questa la partita che si sta giocando”.

Dalla tuo gruppo hai escluso i pizzaioli di Napoli, figure storiche come Condurro, Coccia, Sorbillo e tanti altri. Perchè?
“Non c’è alcun motivo, sono amici. Ho chiamato delle persone come avrei potuto chiamarne altre. A volte ci si muove in velocità e non si ha il tempo di pensare agli equilibri. Del resto tutto è nato per caso, ero andato io alla regione per chiedere informazioni su come aprire, perché sia chiaro, muoio dalla voglia di riaprire”.

E cosa è successo?
“Parlando con persone che conosco perché anche miei clienti, mi è stato chiesto di pensare a un protocollo. Del resto la nostra non è la Bibbia, è una proposta. Le associazioni faranno le loro e la Regione e lo Stato troveranno una mediazione. Però non si può non osservare che finalmente siamo stati ascoltati e che poche Regioni si sono mosse così”.

7 Commenti

  1. Grande Gennaro Esposito uno chef che ha dimostrato spessore umano e intellettuale da tempo e in ogni contesto.
    Per i clienti la preoccupare è soprattutto la gestione della sala ma mi chiedo la cucina di un ristorante di una rosticceria di una pizzeria ecc. ecc. ai tempi del coronavirus
    che sicurezza offre? Gli addetti non potranno sempre usare le mascherine…..ho visto cuochi in tempi normali grondare sudore a piene mani….insomma anche le cucine offriranno la dovuta sicurezza? O ci dobbiamo adeguare al detto occhio non vede cuore non duole?!

  2. I cappotti? Li prendiamo e ce ne occupiamo :come? Esposito ridicolo, pupazzo di regime, a lui importa tenere i suoi quattro tavoli stellati e chi tira la carretta per vivere si ammazza. Lasciamo perdere, non c’è speranza, tutto finito, godetevi Esposito o il mcdonald

  3. Per la precisione qualche cura c’è e sta dando anche risultati incoraggianti.Tutto sta a vedere se si vuole incoraggiare chi percorre questa strada oppure aspettare passivamente il vaccino “globale “FM

  4. Gentile Gennaro,
    permettimi di dissentire totalmente dal tuo parere e dal tuo protocollo di sicurezza che hai inviato al Presidente De Luca.
    Il tuo protocollo di sicurezza sembra più un manuale di franchising di qualche catena internazionale degli anni ’80, dove predomina la totale spersonalizzazione del servizio. Una cosa è il distanziamento sociale, un’altra l’umiliazione del maître di sala e del servizio rendendoli dei meri portapiatti e burocrati, con ordini inviati online e tenuta di registri clienti (o appestati) come hai sottolineato nell’articolo.
    La sicurezza dei clienti e del personale è prioritaria, non ci sono dubbi, ma lasciamo la possibilità di far venire le persone al bar, al ristorante, e lasciamogli il calore e la convivialità… altrimenti stiamo chiusi! L’esperienza del ristorante si deve percepire, anzi assaporare sempre, in qualche modo.
    Una cosa giusta che hai detto è che dopo l’11 settembre è cambiato il modo di volare, ma proprio da quell’evento possiamo partire. Oltre ad avere più sicurezza di base, i livelli possono cambiare in base al rischio “terrorismo”, da basso ad alto. Quando il livello è alto i controlli aeroportuali sono più stringenti, quando è basso lo sono meno. Facciamo un protocollo su questa falsariga: quando il livello del contagio è alto, per esempio la variabile R0 o altre variabili stabilite dall’I.S.S. (Istituto Superiore della Sanità), e aumenta il rischio, ci adeguiamo a regole ferree, come la tua proposta, ma se il rischio è basso… perché essere così restrittivi? Questo è un punto da segnalare al Presidente De Luca. Se ci sono 5 contagiati o 2000 non è la stessa cosa.
    Continuando con il tuo protocollo e il relativo articolo, far gravare il piccolo ristorantino o bar con il registro clienti diventa oneroso in termini di tempo ed economici, in quanto va predisposto un registro “GDPR compliant”. Inoltre la misura di 2 metri tra un commensale ed un altro (come da primo protocollo poi rivisto ad 1 metro), e tra il dorso di una sedia e un’altra è ben superiore ai 10 mq che consiglia l’OMS (semplice analisi matematica) se consideri lo spazio di 60-70 cm per la seduta del cliente. Inoltre in questo modo non ottimizzi neanche spazi disomogenei che non sono rettangoloidi, creando inutili barriere e diminuendo il numero dei coperti.
    Inoltre altre nazioni, di primaria importanza come la Svizzera (Canton Ticino), permettono tavoli “normali” fino a 4 persone, senza costringere il ristoratore a fare il poliziotto nel chiedere con chi vivi e perché (rendendo ancora più gravoso il registro GDPR compliant). Anche perché molto probabilmente quelle 4 persone verranno insieme al ristorante. Inoltre considera che fra 15-30-40 giorni si potrà andare a casa degli amici a cenare, e cosa cambia? In quell’occasione possono stare vicini e al ristorante invece no? Quindi un po’ di buon senso. Il nuovo protocollo approvato varrà fino alla sconfitta di questo virus… non castriamoci inutilmente, sicurezza sì, certamente, ma pensiamo bene a come muoverci con il supporto e l’approvazione della comunità scientifica.

    1. Non scriviamo stupidaggini,per cortesia.per ora sono solo trials alcuni anche dsordanti tra le diverse sperimentazioni

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