Il pranzo perfetto del 2018 di Albert Sapere: Alija, Reitbauer, Elverfeld, Uliassi, Bottura, Cannavacciuolo, Humm, Kofoed, Guida


 

I pomodori di Josean Alija – Nerua, Bilbao

di Albert Sapere

Il piatto dei pomodori di Josean Alija è stato il primo piatto servito al Nerua all’interno del Guggenheim Museum di Bilbao. Un piatto che il cuoco basco non riesce a togliere dalla carta, perchè i suoi clienti lo chiedono sempre. Semplicemente l’inizio perfetto per qualsiasi pranzo. Dolcezza, acidità, note aromatiche intense e continue, leggerezza. La salivazione ai massimi livelli. Inizio perfetto. Ci sono tante sensazioni racchiuse in questo piatto, tecnica, materia e pensieri intelligenti, da mangiare ascoltando Bohemian Rhapsody dei Queen. Tutto e il contrario di tutto per la canzone, dalla particolare struttura musicale, composta da cinque diverse parti principali: un’introduzione corale cantata a cappella, un segmento in stile ballata che termina con un assolo di chitarra, un passaggio d’opera, una sezione di hard rock e un altro segmento in stile ballata che conclude su una sezione solo piano e chitarra. Tutto e il contrario di tutto per il piatto di Josean.

Zucchine con uva, fiori di calendula e santolina. Heinz Reitbauer. Steirereck, Vienna. Fresco, tutto vegetale. Ancora un ingresso perfetto che predispone al pasto nel modo giusto. Tutti gli ingredienti sono pensati per far risaltare il gusto delle zucchine. I piatti completamnete vegetali possono essere fantastici, ma non devono perdere l’elemento della golosità, come in questo caso. Da abbinare a Always on My Mind dei Pet Shop Boys. La loro versione è di stampo synthpop ed elettronico, decisamente diversa dalla versione di Presley (che appartiene al genere
ballata). Oltre a ciò, i Pet Shop Boys sono intervenuti nella struttura stessa della canzone originale, aggiungendo diversi accordi e ritornelli. Somiglia molto al piatto di Heinz, vegetale ma non punitivo.

Trota, vinaigrette al cetriolo con caviale di trota, senape e spuma di patate. Sven Elverfeld, Aqua, Wolfsburg. Fantastica la trota di Sven, le note vegetali fanno da contraltare alla proteina in un lungo susseguirsi di sensazioni mutevoli al palato. Per questo abbinamento scomodiamo i mitici “Fab Four” ovvero i Beatles e la loro Eleanor Rigby, tratta dall’album Revolver. Pop e musica classica, un’orchestra di otto elementi (ottetto) formata da quattro violini, due viole e due violoncelli accompagna la voce solista di Paul e i cori, che si rincorrono facendo da contraltare l’uno all’altro. Due gocce d’acqua nel pensiero, con il piatto di Sven.

Pancotto, ricci di mare e mandorle. Mauro Uliassi, Uliassi, Senigallia. Un piatto di recupero della tradizione contadina il pancotto, vero paracadute della nonne per non buttare via niente. Infatti il pane raffermo rimasto, veniva bagnato, a seconda del periodo e della disponibilità economica, con il brodo di carne o del pesce, ma anche semplicemnte con l’acqua e poi si aggiungeva quello che c’era, La mia nonna me lo preparava sempre. In questa versione di Mauro assume una prospettiva quasi onirica e psichedelica. Il lavoro sulle mandorle in consistenze diverse e il pancotto sono la base del piatto, i ricci ghiacciati sono una ventata di iodio irruenta. Provando il piatto, si apre una finestra di ricordi e di emozioni. Il gusto è rassicurante, per poi diventare improvvisamente violento in un continuo rincorrersi di sensazioni che a volte sono carezze, a volte sono come un gancio destro di un peso massimo, ben assestato sotto il mento. Da mangiare ascoltando la psichedelia dei Pink Floyd e della loro canzone forse più bella Shine On You Crazy Diamond, copolavoro assoluto, come il piatto di Re Mauro.

Il mare dentro. Mauro Uliassi, Uliassi, Senigallia. Realizzato con il “quinto quarto” del pesce: teste, interiora, cuori, fegati. Violento, profondo e intenso solo come il mare può essere. Un mare difficile, “Mare che non ti ha mai dato tanto” come dice Pierangelo Bertoli nella sua canzone pescatore, di cui non bisogna buttare nulla. Un piatto cerebrale, che però ti colpisce alla pancia e lascia in bocca la bellezza di essere colpito all’improvviso da un onda del mare. Studio, ricerca e tecnica. In The End
dei Linkin Park, metal, forte, senza compromessi.

Angel Hair Gazpacho. Massimo Bottura per il Pastificio di Martino alla James Beard Foundation’s, New York. Un giorno potrò raccontare io c’ero a quella cena! Quella cena è stata l’incredibile jam session di Massimo Bottura alla James Beard Foundation’s di New York. Pasta Culture, organizzata dalla fondazione americana insieme al Pastificio di Martino. Massimo è l’unico chef in grado di fondere il proprio stile personale con la capacità di raccontare L’Italia. Gamberi e ricci di mare crudi su un gazpaco di pomodori, cetrioli, carote, sedano e erbe aromatiche, con i capelli d’angelo. Un incredibile boccone di mare e di orto che fa salivare, costruito con sapienza ed equilibrio tra i diversi elementi in cui la pasta fa da tapis roulant. Humane Nature, nella versione di Miles Davis. Ovvero anche il pop più sfrenato può diventare un capolavoro se ad eseguirlo è un genio. Massimo e Miles, il mio personale paradiso.

Autumn in New York. Massimo Bottura per Pastificio di Martino alla James Beard Foundation’s, New York. Un tributo a Billy Holiday dove la pasta diventa brodo per asparagi bianchi e verdi, succo di limone ed arbe aromatiche. Più esattamente la pasta diventa miso grazie ad una fermentazione post cottura. C’è anche una aggiunta di creme fraiche. Ci siamo precipitati in cucina per berne un bel tazzone avanzato. Dopo il fresco, arriva il caldo corroborante e rassicurante. Fantastico. Abbinamento scontato con Strange Fruit di Billy Holiday, un caldo abbraccio musicale, ma anche una canzone di denuncia che fa riflettere. Altra coppia da sogno.

 

Suprema di piccione. Antonino Cannavacciuolo, Villa Crespi, Orta San Giulio. Cotture diverse per le varie parti del piccione, tutte millimetriche. La riduzione di vino, l’evidente nota tostata e leggermente amara del cacao sull’avvolgente corpulenza del fegato grasso, due foglie di spinacio per una sensazione vegetale da centellinare. Classicità e pop come Fly Me To The Moon, registrato per la prima volta nel 1954 da Kaye Ballard. Brano interpretato da tutti i grandi cantanti americani del secolo scorso, da Nat King Cole a Ella Fitzgerald, da Tony Bennet a Marvin Gaye. Nella versione di Frank Sinatra è imbattibile per tutti, anche il piccione di “Tonino” è impattibile per tutti.

Chicken roasted with asparagus, smoked potatos and black truffle. Daniel Humm, Eleven Madison Park, New York. Che buono che era questo pollo! Classicità e tecnica, ma anche alleggerimento dei fondi e delle salse, tutto questo è adesso la cucina di Daniel Humm, questo è l’Eleven Madison Park. Goloso e avvolgente, senza però dimenticare un pizzico di acidità e note amaricanti. Cheek to Cheek, canzone scritta da Irving Berlin nel 1935 per Fred Astaire e Ginger Rogers nel film Top Hat. La ascoltiamo nella versione forse più bella, quella di Ella Fitzgerald e Louis Armstrong. 

Herbs of the forest. Rasmus Koefed, Geranium, Copenaghen.  Un dolce meraviglioso per bellezza e per gusto. Un biscotto a forma di albero da rompere (un vero peccato) e da intingere in una rosa gelato e una crema di faggio. Un vero e proprio tuffo nella cultura nordica, a dimostrazione ancora una volta che un piatto se non ha legami con il territorio e la sua cultura, resta solo e sempre un buon piatto. Forse il dolce più bello della mia vita da gourmet praticante. Da mangiare ascoltando Layla dei Derek and the Dominos. Rock e pop e la meravigliosa chitarra di Eric Clapton per condire il tutto. Bellezza estrema in tute e due i casi.

Le zeppoline, Peppe Guida, Nonna Rosa, Vico Equense. Rispetto a tanti ristoranti che servono una piccola pasticceria, spesso noisa e sensa senso, andare da Nonna Rosa e chiudere il pasto con queste zeppoline ti riconcilia con la golosità e con il dolce. Tradizione, non solo ben fatta, perfetta. La tecnica della frittura, l’impasto soffice, un inno alla golosità e allo stare a tavola. A me me piace ‘o blues di Pino Daniele, perchè le zeppole di Peppe sono vero neapolitan blues.