L’articolo più bello del 2009? Questo


Quest’anno niente classifiche e riassunti. Gli avvenimenti sono stati incalzanti, l’onda lunga del 2009 ha già coperto mezzo 2010. E, come sempre succede, quando si è in corsa diventa difficile fermare le emozioni per un riepilogo. Una cosa voglio consegnarvela: si tratta di questo articolo magistrale di Gianni Mura, uno degli ultimi maestri in circolazione, almeno per quanto riguarda la mia generazione.
Molti lo ricorderanno, ma vale la pena di rileggerlo. Mi affascina la lettura anticonformista che non nasce dalla necessità di andare controcorrente per guadagnare visibilità, ma dal proprio bagaglio culturale.
Buon anno, caro lettori: staremo altri dodici mesi insieme riflettendo un po’ ma soprattutto divertendoci, proprio come è andata lo scorso anno.

Ecco il Gras: Gruppo resistenza anti sushi

di Gianni Mura

Una provocazione non contro il sushi in sé, né tanto meno contro i giapponesi. Ma una presa di posizione verso le mode imposte spesso senza considerare le ragioni (di tradizione e salute) che da sempre prevedono nel nostro paese la cottura dei cibi. Modestamente, già da qualche anno ho fondato il Gras (Gruppo resistenza anti sushi).
È una battaglia persa, ormai quei tristi ikebana fioriscono in tutti i supermercati e non c’è pizzeria che non proponga la tartare di tonno, ma in certi casi è giusto schierarsi. Non contro il sushi in sé, né contro i giapponesi, che hanno un sacco di spiegazioni filosofico-religiose sul perché e percome del gradimento, ma che c’entriamo noi?
In Italia i fiori del mare si sono mangiati da sempre cotti, o almeno marinati, tranne che in una fascia adriatica, molto robusta tra Bari e Lecce. Lì è una tradizione, bene. In tutto il resto del Paese è una moda, partita non a caso da Milano, la capitale della moda e dei modaioli (stilisti, modelle o fruitori non ha importanza) che vedono un piatto di maccheroni o un ossobuco come il Male assoluto.
Dovreste sentirli quando pigolano davanti a un trancio di tonno come tonna l’ha fatto (giusto l’aggiunta di un giaciglio di rucola, sparita dalla finestra dei gamberetti per rientrare dalla porta): «Come si sente il mare». Lo dicono anche per le ostriche.
La prima della mia vita, e anche l’ultima, è stata a St. Malo nel ‘6 7. Il mare che sentivo era alga marcia e olio di macchina, cose non piacevoli e complicate dal fatto di ingoiare viva quella bestiola molle. Non l’ho sputata per educazione, avevo la sensazione che mi camminasse su e giù per lo stomaco e che si sarebbe vendicata.
Una volta in albergo, finalmente, due dita in gola e la natura fa il suo corso.
Dettagli sgradevoli, ma è per chiarire.
Non mangio né carne né pesce crudo, continuo a pensare che l’anonimo scopritore del fuoco sia un benefattore dell’u manità. Cuoco e fuoco suonano quasi uguali e cucinare ha la radice di cuocere. Poco, tanto, così così, un po’ meno, si può discutere. Ma è ben buffo che una tribù all’avanguardia (coi cellulari, le auto, gli orologi) preferisca l’acucina alla cucina. Acucina, neologismo che regalo ai crudisti, sta per non cucina. Si sfiletta il pesce e si depone nel piatto. Vorrei stare nel campo del gusto, senza fare del terrorismo.
Però informatevi sull’anisakis, parassita pericoloso (mortale, in certi casi) per l’uomo che infesta molte varietà di pesce (tonno compreso) e riflettete sul fatto che i nostri mari non sono quelli degli atolli polinesiani (dove peraltro gli indigeni il pesce non lo mangiano crudo) ma hanno un tasso altissimo d’inquinamento.
La cottura, con le temperature che comporta, è un salvagente. E il gusto del mare si sente benissimo anche con un merluzzetto bollito. Basta che il pesce non sia sovrastato da aglio, salse pesanti, queste cose le diceva già Archestrato di Gela nel IV secolo a.C. e restano valide. Ma ai tempi suoi non c’erano i problemi di oggi: l’inquinamento dell’aria, delle acque, del suolo.
Paradossalmente, non ci si fida più dell’acqua del rubinetto, sì invece delle doti taumaturgiche di un tonno crudo di ignota provenienza. Cose di un altro mondo, che definisco Crudistan. Dove si chiude il pasto con un carpaccio d’ananas (un nonsenso più che una porcata). Alla mia tavola, per convinzione, gusto e legittima difesa, è obbligatorio il mandato di cottura.

Motto rivisitato: si vis piscem para focum.

(dal Venerdì di Repubblica-10 agosto 2009)