Peppe Guida: Nonna Rosa resta chiuso, nessun ristorante di questo tipo può resistere se non si torna alla normalità. Il futuro? Tornare alla verità dei prodotti, io mi ritiro a Montechiaro


Barbara Guerra, Peppe Guida e Albert Sapere

Barbara Guerra, Peppe Guida e Albert Sapere

di Santa Di Salvo

Dove eravamo rimasti? A una ripartenza difficile ma necessaria. Basta vedere il video-choc girato in Giappone che mostra come si diffonde il virus in una tavolata di amici durante un buffet – un colpo di tosse e la vernice fluorescente si attacca a tutti i presenti in trenta minuti – e il futuro si fa ancora più incerto. Ce la faremo? Ma come? Sono applicabili le regole per riaprire in sicurezza?
Giro la domanda impossibile a Peppe Guida, e non a caso. Guru della cucina di tradizione, con un senso di appartenenza al territorio campano che ha pochi eguali, Peppe lavora attualmente su tre tavoli molto diversificati. Il primo è “Nonna Rosa”, il suo buen retiro nella frazione Pietrapiano a Vico Equense, l’osteria del ricordo e della memoria familiare.
«Nonna Rosa è il mio locale del cuore, ma non riaprirà. Non ora. Mi spiace molto, ma al momento non ci sono le condizioni. Nelle emergenze ho imparato che bisogna rimanere lucidi e aspettare. Deve passare l’estate, poi si vedrà».
Perché questa scelta drastica?
«Perché la nostra cucina è convivialità. Non posso condividerla con i miei clienti accogliendoli con un termometro che misura la temperatura, guidandoli in un luogo che ha la cordialità di un ospedale. Quasi impossibile poi cucinare con la mascherina in uno spazio piccolo che sviluppa temperature a 35/40 gradi. Nonna Rosa non ha mai accolto più di 25/28 persone. Con le nuove normative ne ospiterei 10/12 per volta, il mio menu degustazione non coprirebbe i costi di gestione. Ma soprattutto temo, come molti altri ristoratori, che gli spazi non siano sufficienti a garantire la sicurezza mia, del personale e dei clienti. Non tanto in sala, ma nei laboratori e nelle cucine, dove i nostri piatti gourmet sono lavorati e assemblati da 2/3 persone. Come manteniamo la distanza di sicurezza?».
Se questo vale per un ristorante di alta gamma come Nonna Rosa, peggio può essere per gli altri.
«Le misure previste dal decreto sono insostenibili dal punto di vista economico e organizzativo. Come si può pensare che ristorantini di 50 mq possano rientrare nelle spese con sei clienti per volta? Inutile illudersi, la situazione è ad altissimo rischio. Abbiamo di fronte un nemico subdolo e pericoloso, conviverci è complicato. Aprire a breve può essere un boomerang, si rischia di chiudere di nuovo subito dopo. E definitivamente».

 

Ma allora che cosa si può fare?
«Non siamo noi a dover agire. Vogliamo ripetere ancora una volta che rappresentiamo il 16% del Pil, che la Campania è un polo internazionale di eccellenza e veniamo trattati come fantasmi senza diritti? Sembra che i politici e le varie task force non abbiano capito ancora che almeno il 60% dei locali non riaprirà a queste condizioni. Lo ripeto: fate presto, o il futuro della nostra regione sarà nerissimo».
Dicevamo dei tre tavoli. Per il secondo e il terzo ci sono speranze. Grazie alla diversa fisionomia della struttura, Peppe Guida riaprirà entro il 10 giugno le cucine dello Yacht Club Marina di Stabia. Gli ampi spazi all’aperto progettati da Fuksas consentono una riorganizzazione adeguata ai tempi del coronavirus. Cucine ampie, la possibilità di arrivare a 40/50 coperti. Ci sarà un menu fisso e, purtroppo, la metà degli addetti rispetto all’anno scorso.
«Tristemente sì, questo è un enorme problema. La disoccupazione sta salendo vertiginosamente, temo situazioni al limite perché nel nostro territorio vocato al turismo c’è già tanta gente che ha perso il posto e non sa più come sbarcare il lunario».
C’è infine Montechiaro, la frazione dove ha sede Villa Rosa, un agriturismo immerso nel verde, il progetto coltivato da una vita. Peppe Guida dice che qui c’è il suo futuro. Diecimila metri quadri di cui la metà coltivata a orto intensivo, una realtà finalizzata a un’economia circolare che si autoproduce e si autosostiene. In questa «Casa di Lella», dedicata alla compagna amata che non c’è più, dalla metà di giugno lo chef aprirà i suoi tavoli distanziandoli oltre le misure previste e collocandoli sotto il fico, sotto il mandarino, sotto gli alberi della tenuta. Sulla terrazza affacciata sul Golfo i coperti da 70 saranno ridotti a 25. Menu fisso, un forno a legna e un solo vino prodotto dalla casa.
«I nostri clienti dovranno condividere la genuinità della nostra offerta. Darò loro la possibilità di portarsi dietro i loro vini preferiti e lo champagne. E’ un nuovo modo di concepire la tavola. E’ il nostro modo di riproporre la cucina di territorio. E’ la memoria che resiste. Agli anni e al virus».