Vincenzo Mercurio, enologo dell’anno per la Fis: “Vini naturali? Quelli con nessun ingrediente aggiunto possono diventare un incubo”


Vincenzo Mercurio - cantinadisolopaca

Vincenzo Mercurio – cantinadisolopaca

Il 3 dicembre Vincenzo Mercurio è premiato come migliore enologo italiano a Roma dalla Fondazione Federazione Italiana Sommelier: è il culmine di una carriera fatta di lavoro, mai strillata, ma anche ricca di soddisfazioni.Lo abbiamo seguito sin dal 1998 quando mosse i suoi primi passi e da allora abbiamo potuto stimarlo per il costante low profile che ha mantenuto, l’educazione, la capacità di ascolto e soprattutto per tanti bei vini che ci ha regalato in questi ultimi 20 anni. Ecco il testo dell’intervista integrale.

Qual è stato il tuo percorso formativo?
Ho studiato al liceo scientifico, per poi iscrivermi alla storica facoltà di Agraria, della FEDERICO II, a Portici, al corso di Laurea in Scienze delle Preparazioni Alimentari, nella stessa facoltà dopo la laurea Magistrale mi sono specializzato con il massimo dei voti
in Scienze Viticole ed Enologiche, mi sono abilitato come tecnologo alimentare, ma non ho mai esercitato, successivamente il mio percorso accademico si è arricchito di una laurea con lode in Viticoltura ed Enologia presso l’Università degli Studi di Palermo e di una abilitazione alla professione di Agronomo presso l’Università degli Studi di Milano.

Vincenzo Mercurio  e Maura Sarno nel 2013

Come hai iniziato a fare questo lavoro?
«Le mie prime esperienze, che ricordo con affetto, sono le vendemmie “vesuviane”, sulla terra vulcanica e nera con odori e ricordi che porterò sempre dentro di me; non di meno, a seguire quelle delle microvinificazioni per conto dell’Università nella cantina del Taburno a Foglianise. Poi una grande opportunità quella di vivere in Francia, a Digione, capoluogo della Borgogna, terra unica per storicità e valorizzazione delle vigne, studiando e lavorando ad un progetto di ricerca. Al rientro in Italia iniziai a collaborare per circa 5 anni con una delle più antiche e famose aziende vitivinicole del sud Italia durante questo periodo ebbi l’opportunità di conoscere molto bene un territorio che amo e che un po’ mi ha adottato: l’Irpinia. A seguire nel 2007 il debutto da consulente con il mio studio professionale e nel 2015 una nuova realtà imprenditoriale la società Le ali di Mercurio».

Beviamoci Sud Vincenzo Mercurio e Luciano Pignataro

Beviamoci Sud 2021 Vincenzo Mercurio e Luciano Pignataro

Come è cambiato il tuo lavoro da quando hai iniziato?
Il nostro settore, seppur legato ad una tradizione millenaria, è in continua evoluzione. A cambiare negli ultimi anni è stato soprattutto il clima, il gusto del consumatore, le conoscenze enologiche, ed inoltre la coscienza e la conoscenza dei territori. Siamo nell’era digitale e la digitalizzazione è entrata sia in vigna che in cantina. Con la tecnologia possiamo fare tanto per diminuire i trattamenti fitosanitari e l’uso di coadiuvanti creando una viticoltura ed una enologia di precisione. Abbiamo la possibilità di monitorare il vigneto e prevedere la comparsa delle principali crittogame facendo interventi puntuali preventivi. Anche le cantine sono diventate smart, riusciamo a controllare a distanza le temperature dei serbatoi, a seguire l’andamento della fermentazione alcolica, a monitorare i cicli di pressatura, e tanto ancora. In tutto ciò, quello che resta importante è il rapporto umano che non deve mai venire a mancare con chi, tutti i giorni si occupa della cantina
e della vita del vino.

Oggi cresce la sensibilità sui temi ambientali e del global warming. Qual è il tuo atteggiamento su questi aspetti?
Siamo di sicuro di fronte ad un fenomeno che a prescindere dalle cause è un dato di fatto preoccupante. Siamo spettatori e vittime di fenomeni climatici estremi, penso alla recente alluvione nelle Marche, alla secca del Po, alla siccità che ha interessato gran parte del nostro paese, alle, sempre più frequenti, gelate primaverili, all’aumento del numero di grandinate. Ci sono azioni che possiamo fare nel lungo termine, quelle dobbiamo pianificarle e metterle in cantiere, ma ce ne sono tante altre che dobbiamo fare ora e subito, nel brevissimo termine. Nel dubbio se sia nostra la colpa o se sia colpa dell’inclinazione dell’asse terrestre, o dell’attività del sole, o dell’aumento dell’attività vulcanica o altro, dobbiamo preoccuparci ed invertire la rotta per quello che può essere il nostro ruolo. Oltre al clima, sono molto preoccupato della perdita di biodiversità, dell’invasione delle plastiche e dell’inquinamento delle falde acquifere. Nel mio piccolo cerco di fare formazione ed informazione, aumentando la conoscenza si può aumentare la sensibilità della coscienza. Per dare un contributo concreto alla sostenibilità ambientale, da alcuni anni sto lavorando, insieme al professor Moschetti, allo sviluppo di un approccio metodologico per la gestione sostenibile del vigneto. Questo metodo che abbiamo chiamato Me.Mo. acronimo di Vincenzo Mercurio e Giancarlo Moschetti, è ovviamente un gioco di parole perché abbiamo bisogno di un Memorandum, un Memo per ricordarci che l’ambiente va salvaguardato con donazioni quotidiane. Il nostro metodo consente di produrre uve e vino incrementando la biodiversità della vigna e riducendo e non eliminando, l’impatto dei coadiuvanti enologici, solfiti in primis. Il metodo MEMO è stato messo a punto per aiutare i viticoltori a migliorare la qualità ambientale dell’agrosistema vigneto, incrementando la biodiversità totale dell’ambiente produttivo al fine di trasformare le superfici agricole in aree di alto valore ecologico.

Luigi Tecce e Vincenzo Mercurio nel 2009

Ormai lavori in tutta Italia. Ci racconti un po’ le tue esperienze e, soprattutto, quali sono i territori emergenti?
Adoro viaggiare, insieme alla lettura credo che sia per me antropologicamente necessario. Scoprire nuovi territori, incontrare persone che con orgoglio raccontano le loro origini e mi coinvolgono nei loro progetti futuri, è un’aspetto molto entusiasmante del mio lavoro. Adoro conoscere ed ascoltare i dialetti e mi fa impazzire la cucina territoriale. Dalla Puglia al Veneto, dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia, passando per il centro Italia, ogni viaggio è una scoperta di odori, suoni, luce, e sapori. La nostra Patria, è ricca di biodiversità, grazie alla sua storia ed alla sua geografia, ci offre paesaggi con accenti, dialetti, culture e storie molto diverse, basti pensare al numero di vitigni autoctoni che abbiamo. I territori emergenti sono davvero tanti, il problema che mi pongo è capire il tempo che impiegheranno per emergere. Il solo modo per accelerare la crescita è riuscire a gestire e coordinare le interazioni dei diversi attori, si tratta di un lavoro congiunto con istituzioni, imprenditori, e associazioni che si occupano di formare i consumatori, perché non bisogna mai sottovalutare il teorema secondo il quale: i territori emergono più velocemente anche quando emerge la qualità dei consumatori. Qualche esempio: I colli Euganei, la Valdichiana, i Monti Lessini in Veneto, la Valle dello Jato in Sicilia, il Barigadu in Sardegna, Bramaterra e Ruchè in Piemonte, il sannio Pentro in Molise,
i Campi Flegrei, il Vesuvio, il Sannio in Campania, che sono ancora poco noti rispetto alle loro enormi potenzialità.

Il mondo del vino sempre diviso ideologicamente, barrique si, barrique no. Qual è la tua opinione in proposito?
Le scelte enologiche di solito un produttore le fa con la speranza di piacere al consumatore e a volte di piacere a se stesso. Bene! Nulla di male ma la vera scommessa è farlo senza tradire e mettere in secondo piano l’identità territoriale, senza la quale un vino buono è un vino buono, mentre con essa un vino buono è quel vino buono. La barrique se usata con maestria arricchisce il vino, donandogli complessità e riconoscibilità, se usata male in pochi mesi è in grado di piallare l’identità di un vino, rendendolo vittima di un esercizio eno-narcisistico. Per esperienza da degustatore, prima che da enologo, posso dire che l’uso della barrique spesso sfugge di mano, per questo motivo è stata da alcuni “demonizzata”. Tendenzialmente credo che i legni grandi, pur contribuendo all’elevage, siano più adatti a farsi da parte lasciando spazio al frutto ed al terroir.

Vincenzo Mercurio e Paolo Cotroneo

Vincenzo Mercurio e Paolo Cotroneo nel 2012

Cosa pensi del movimento dei vini naturali?
Fare il cosiddetto vino naturale per me è come fare musica dal vivo, non tutti possono permetterselo, solo i grandi professionisti. Sotto l’ombrello dei cosiddetti vini naturali esiste un insieme non omogeneo di produttori che sono enormemente diversi per capacità e qualità. Spesso in un “movimento” ci sono sempre gli intrusi, coloro che approfittano solo di una moda per infiltrarsi senza credere e conoscere la materia. Sebbene ponga le emozioni e l’arte in cima alle mie priorità, sono un uomo di scienza e credo che il vino in quanto prodotto alimentare, di conseguenza introdotto nel nostro corpo, debba essere salubre innanzitutto e prodotto quindi con consapevolezza, conoscenza e quindi con scienza. Il vino deve essere sicuro, per garantire salute oltre che piacere. Per me il vino naturale fatto da persone che ignorano l’enologia, l’igiene, la tecnologia alimentare, insomma ignoranti in materia è un prodotto che non trovo interessante, mentre il vino con nessun ingrediente è un sogno che spesso si trasforma in incubo, quello con pochissimi coadiuvanti aggiunti, fatto con l’ausilio di persone formate, se fatto bene è in grado di esprimere emozioni diverse; per fare un esempio e come ascoltare un brano musicale prima del montaggio in studio, con le sbavature, il respiro dei musicisti nel microfono, le scene da tagliare, i piccoli errori, la voce fuori campo: l’emozione del live con i pro e con i contro.

Quali programmi per il futuro prossimo?
Continuare a studiare e viaggiare, inoltre vorrei consolidare sempre di più il mio lavoro accanto alle aziende che mi hanno scelto e contemporaneamente incontrarne altre per allargare i miei orizzonti enologici, conoscere nuovi dialetti, nuovi vitigni: innamorarmi di nuovi territori.

 

 

Un commento

  1. Piccolo grande uomo.Premio meritatissimo dalla FIS da sempre all’avanguardia nell’individuare e premiare talenti emergenti. PS Preciso e condivisibile quanto detto a proposito dei vini,mi permetto di aggiungere, “cosiddetti”naturali FRANCESCO

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