Passato, presente e futuro. Viaggio nel vino dei Campi Flegrei
di Giulia Cannada Bartoli
I Campi Flegrei (dal greco antico φλέγω, phlégō, “brucio”, i campi ardenti) sono un areale di profonda valenza storica, geologica, archeologica e paesaggistica.
Dal punto di vista geologico i Campi Flegrei sono un campo vulcanico attivo da più di 80.000 anni la cui storia eruttiva è stata caratterizzata da almeno due eventi di grande magnitudo che hanno generato una caldera ampia circa 200 Km2: l’eruzione dell’Ignimbrite Campana, avvenuta circa 40.000 anni fa e l’eruzione del Tufo Giallo Napoletano, avvenuta 15.000 anni fa. Recenti studi suggeriscono l’esistenza di un terzo evento di elevata energia avvenuto intorno a 29.000 anni fa: l’eruzione del Tufo di Masseria del Monte. L’intero sistema vulcanico complesso è caratterizzato da un insieme di piccoli apparati piroclastici (prodotti legati ad attività esplosiva: ceneri, lapilli, sabbie vulcaniche, frammenti lavici, pomici etc.) monogenici (che hanno eruttato una sola volta).
L’ultima eruzione, avvenuta nel 1538, ha prodotto il cono di tufo di Monte Nuovo nel settore occidentale della caldera, poco a ovest della cittadina di Pozzuoli. Negli anni che hanno preceduto tale eruzione la caldera, ha subito un sensibile sollevamento del suolo nella sua parte centrale. Dopo l’eruzione, la stessa area è stata soggetta a una costante subsidenza fino alla metà del XX secolo. A partire poi, dalla seconda metà del XX secolo è iniziato un periodo di sollevamento che ha condotto a due crisi bradisismiche negli anni 1969-72, 1982-84, e a quella recente 2023/25 (in atto) caratterizzata da intensa sismicità. (Fonte O.V./Ingv)
Il vino e i Campi Flegrei
I vitigni autoctoni dei Campi Flegrei sono principalmente due: Falanghina e Piedirosso.
La viticoltura dei Campi Flegrei si può certamente definire eroica dal momento che la gestione in campo è, per la quasi totalità degli ettari, manuale o con mini trattori, spesso su terrazzamenti dove si zappa a mano. I viticoltori difendono il territorio dal dissesto idrogeologico e dalla cementificazione dilagante. I vignaioli dei Campi Flegrei sono chiamati a fungere da straordinarie sentinelle del territorio dal momento che la gran parte del patrimonio viticolo insiste su siti d’interesse storico e archeologico.
L’origine storica del nome Falanghina dovrebbe ormai esser nota ai più, ma una “rinfrescata” non fa male: I greci usavano coltivare la vite lasciandola strisciante al suolo, ma, in Italia questo sistema faceva ammuffire l’uva, i coloni furono perciò obbligati a inventarsi un’alternativa. Fu così che i primi viticoltori intuirono che alzando la vite da terra su pali di legno, in latino phalangae, si evitava l’insorgere di danni da Botrite. Da questi sostegni di legno, nacque quindi, il Vinum Album Phalanginum. Phalanx da falange greca, modello militare al quale s’ispira la legione romana. Phalax perché il primo legionario impugna un’asta appuntita che dà anche il nome al palo attorno al quale si arrampica la vite nelle colonie campane. La falanghina flegrea (fonte Risorsa Genetica della Vite in Campania) è il vitigno a bacca bianca più diffuso della provincia di Napoli. Le indagini di caratterizzazione molecolare, ancora in corso, evidenziano una differenza genetica tra il biotipo “flegreo” e quello “beneventano”.
Il Piedirosso è il vitigno a bacca rossa più diffuso in Campania dopo l’aglianico. Citato da Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historiae come Uva Colombina. Tra i primi riferimenti, Nicola Columella Onorati(1804): “Il piede palombo, uva ancora nera, ma alquanto rada negli acini, i piccoli de’ quali rosseggiano come i piedi de Colombi” Detto anche Per’e palummo, perché il biotipo originale a maturazione presenta una colorazione rossa del raspo, simile alla zampa del piccione. Non esiste un unico clone, bensì un’ampia varietà, che, insieme con l’eterogeneità dei suoli (le aree vitate sono frazionate in piccole parcelle a causa della cementificazione selvaggia), fa sì che esistano differenze produttive anche rilevanti tra le varie aziende appartenenti alla denominazione.
La DOC Campi Flegrei nasce nel 1994 (nell’ottobre 2024 ha compiuto 30 anni). L’avviamento del Disciplinare e l’idea che i vini dei Campi Flegrei potessero essere vini di grande qualità e fortemente identitari si deve a Gennaro Martusciello.
La zona di produzione delle uve destinata alla trasformazione in vino a denominazione di origine controllata “Campi Flegrei”, nei tipi bianco, rosso, Falanghina e Piedirosso o Pèr ‘e palummo, comprendono l’intero territorio dei comuni di Procida, Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto e parte di quelli di Marano di Napoli e Napoli.
La natura sabbiosa e vulcanica dei terreni dei Campi Flegrei ha protetto le viti dall’attacco della Fillossera che infestò i vigneti in Europa da metà ‘800. Il risultato è l’originalità genetica di antiche viti e la coltivazione, in gran parte dei territori a Dop, a “piede franco”, ovvero senza innesto. Anche in questo senso, i viticoltori flegrei sono custodi di un’inestimabile patrimonio ampelografico.
L’opportunità per fare il punto sullo stato dell’arte della produzione vinicola nei Campi Flegrei è stata la degustazione/workshop organizzata dalla Condotta Slow Food dei Campi Flegrei, in collaborazione con Slow Wine, presso la dimora storica di Villa Avellino a Pozzuoli.
Durante la serata si è parlato anche dell’ultimo progetto sul vino Slow Wine Coalition. Si tratta di un manifesto con 10 capisaldi del vino buono, giusto e pulito. Da quest’anno, ad esempio, non sono recensite in guida le aziende che praticano ancora il diserbo chimico. La coalizione intende raggruppare i protagonisti della filiera del vino internazionale: vignaioli, appassionati, sommelier, ristoratori e professionisti del settore. Il manifesto si può firmare online.
Per tracciare la storia del vino dei Campi Flegrei non si può prescindere dalla famiglia Martusciello. Elena Martusciello ha ricordato la figura e l’attività di suo cognato Gennaro che, già dagli anni’70, avviò studi e ricerche per la nascita della Doc Campi Flegrei, camminando le vigne e parlando con gli agricoltori per convincerli ad intraprendere percorsi virtuosi di conduzione della vigna. Attraverso il racconto delle tappe realizzate con l’azienda di famiglia, Grotta del Sole, la Signora Martusciello (prima donna del Sud a rivestire la carica di Presidente Nazionale dell’Associazione Donne del Vino) ha narrato i progressi di un intero territorio. La prima vendemmia ufficiale nel 1992 quando Falanghina e Piedirosso erano ancora Vino Da Tavola.
Indimenticabile la due giorni de “il viaggio nel mito” organizzato da Il Mattino il 18 e 19 settembre 1993, quando oltre 200.000 visitatori invasero i Campi Flegrei e i siti archeologici non ancora accessibili. Il 3 febbraio 1994 ci fu una vera e propria chiamata alle armi della comunità agricola flegrea: la pubblica udienza, un incontro tra agricoltori e istituzioni per avviare il riconoscimento della Doc Campi Flegrei. Il 4 ottobre 1994 arrivò la Doc Campi Flegrei.
Cinque campioni di Falanghina e cinque di Piedirosso di annate diverse alla cieca. L’obiettivo non è, tanto la degustazione analitica, quanto fare il punto sullo stato dell’arte. La panoramica rappresentata dalle aziende selezionate non è naturalmente esaustiva della produzione del territorio. Sono state scelte cantine inserite in guida o vicine ai dieci punti cardine del Manifesto Slow Coalition.
La degustazione Falanghina Campi Flegrei Dop
Le annate 2021 -2020-2019-2017- 2016
I profili cromatici si presentano piuttosto allineati sulla scala del giallo paglierino tendente al dorato o, chiaramente dorato, di grande vivacità e luminosità.
Sotto l’aspetto olfattivo si spazia dal frutto carnoso ai marcatori tipici della falanghina flegrea: evidente, sferzante sapidità e tonalità sulfurea; nelle annate meno correnti, ritroviamo la nota affumicata dovuta alle caratteristiche dei suoli e all’affinamento.
Il corredo gustativo è seducente: frutta carnosa o bocca più affilata, ma, più di ogni altra cosa, imponente bagaglio acido/sapido e minerale.
Cinque calici che, al netto delle annate e delle differenze di stile, fotografano con esattezza il territorio.
Nella media c’è un’ottima capacità di resistere al tempo. Il filo conduttore comune è la grande finezza impensabile solo vent’anni fa.
La poliedricità espressiva della Falanghina Flegrea la rende un campione in abbinamento con la cucina di mare di ogni livello e provenienza e con le zuppe vegetali e di legumi.
La diversità che si riscontra in base alle varie zone di produzione spinge in direzione di un fondamentale lavoro di micro zonazione e mappatura dei suoli a denominazione.
A bottiglie scoperte:
2021 IV Miglio Falanghina Campi Flegrei Dop, vino in forma smagliante, fresco, di piacevolissima beva, importante spina acido/sapida e lunga scia minerale. Un vino moderno e facile da proporre. Gestita da Ciro Verde (circa 4 generazioni di conduzione agricola), che sottolinea il lavoro necessario da fare tutti insieme in direzione della coesione dei produttori e sviluppo del territorio. La cantina nasce nel 2004, si trova a Quarto (Na).
2020 Vini della Sibilla CRUNA deLago Falanghina Campi Flegrei Dop è il Cru di Vincenzo di Meo, da vigna dedicata, a piede franco di oltre 60 anni di età. La famiglia Di Meo vinifica sulle colline di Baia da cinque generazioni. Primo naso di agrumi e frutti a polpa gialla, seguono sniffate di erbe aromatiche, per chiudere con le tonalità affumicate. Vino di grandissima eleganza, gioca sull’alternanza sottile e verticale del frutto e della marcata vena acido/sapida che si fonde con la nota affumicata, la più evidente tra i campioni in degustazione. Lunghissima persistenza al palato.
2019 Cantine Astroni, Vigna Astroni Falanghina dei Campi Flegrei Dop La famiglia Varchetta ha origini lontane nel mondo del vino che vanno indietro almeno alla seconda metà dell’800. La cantina insiste sul cratere omonimo all’interno dell’oasi naturale del Wwf e vanta la vigna urbana più grande di Napoli che, a sua volta, è la seconda città per superficie urbana vitata, dopo Vienna. Poche migliaia di bottiglie per quest’annata da vigna dedicata di 1,2 ettari. Il quadro olfattivo è elegante, sottile e spazia dai toni floreali e fruttati alla marcata nota minerale e affumicata. La regia palatale della spalla acido/sapida è da oscar.
2017 Agnanum Falanghina Campi Flegrei Doc Raffaele Moccia da diverse generazioni, oggi con suo figlio Gennaro, fa un lavoro di straordinario sacrificio su terrazzamenti dentro il perimetro urbano di Napoli, contro il dissesto idrogeologico e la cementificazione selvaggia da tempi non sospetti. L’annata 2017 è stata per Agnanum difficile con 11 mesi senza pioggia. Inoltre, le vigne furono tra le poche a salvarsi dagli incendi che investirono gli Astroni. Il vino, otto anni sulle spalle, nonostante le tre bottiglie aperte (e una quarta in corso di degustazione) ha presentato qualche perplessità sulla conservazione.
Personalmente, ho potuto confrontare l’assaggio con quello fatto in cantina qualche settimana prima: naso evoluto con agrumi in bell’evidenza. Salinità e mineralità indiscusse protagoniste del palato. Potenziale di longevità ancora da svolgere.
2016 Cantine Babbo Harmoniae Falanghina Campi Flegrei Doc A quasi 9 anni dalla vendemmia, incredibile. Il vino è in forma sorprendentemente smagliante, profumi di macchia mediterranea, agrumi e mineralità con la pala. Il sorso è goloso, salato, di lunga persistenza minerale. Dal 2012 al timone della conduzione enologica c’è Alessia Babbo, classe 1989, laureata in Enologia con Luigi Moio e, a seguire, lunghi stage da cantiniera con Vincenzo Mercurio.
La degustazione Piedirosso Campi Flegrei Dop
Le annate: 2021-2019-2018-2017-2015
Al netto della differenza tra i biotipi, se il vitigno Falanghina richiama in maniera diretta la Campania, al Piedirosso è (o sarebbe) più facile associare il territorio Campi Flegrei. Se, negli anni ’90 è stato difficile superare il limite “culturale” di accettazione, le aziende, nonostante le difficoltà di gestione in campo e in cantina, hanno fatto, negli ultimi 15/20 anni passi da gigante. In verità, non da oggi il Piedirosso flegreo è il perfetto ritratto del vino moderno: la tessitura tannica non spigolosa, insieme con l’importante spalla acido/sapida e il moderato grado alcolico ne fanno un vino di gradevole e scorrevole beva.
Anche per l’individuazione del filo comune la situazione si complica: passiamo da vini più succosi e floreali a bottiglie più difficili da interpretare. L’utilizzo del legno nella vinificazione e affinamento è un argomento delicato…dopo molti esperimenti si è arrivati alla conclusione che un uso consapevole e moderato, magari solo per parte della massa, o per ovviare ad alcune criticità (es. tannini verdi), è possibile, senza snaturare il vitigno.
In generale, capacità di beva e abbinabilità gastronomica caratterizzano il piedirosso flegreo: importanti carte a disposizione della ristorazione locale.
I profili cromatici, si presentano piuttosto allineati sulla scala del rosso rubino intenso di buona trasparenza (marcatore comune) e grande luminosità.
Sotto l’aspetto olfattivo si spazia dal frutto carnoso al marcatore floreale tipico della foglia di geranio, ai piccoli frutti rossi, alle sottili spezie, alle note salmastre.
Il corredo gustativo si caratterizza per freschezza e beva piacevole: l’allegro alternarsi della vena acido/sapida con la scia salmastra e minerale restituisce una nitida fotografia del territorio. Un asset prezioso di questi tempi, anche per l’alto potenziale di vino da mescita al calice.
Anche per il Piedirosso, l’anima rossa dei Campi Flegrei, la diversità dei calici, secondo le varie zone di produzione, impone la necessità di uno studio di micro zonazione e mappatura dei suoli a denominazione.
A bottiglie scoperte:
Iovino, Vigna Solfatara Piedirosso Campi Flegrei Dop 2021 Siamo ai confini tra i comuni di Napoli e Pozzuoli. Edizione limitata, poco più di 1.000 bottiglie, per Antonio Iovino che ha ereditato questa vigna ultracentenaria da suo nonno Gennaro. Dal 1892 la famiglia Iovino lavora sul territorio anche con una struttura di accoglienza molto bella e rodata. Il calice è radioso, succoso e appagante, da bere senza paura sui piatti cult della cucina partenopea, come sulla pizza.
Contrada Salandra Piedirosso dei Campi Flegrei Dop 2019 un altro campione della tipologia, anche se con storia più recente. Giuseppe Fortunato, il vignaiolo che non ama apparire, preferisce essere e fare. Colore di bellissima trasparenza (tipica del piedirosso flegreo). Al naso i classici sentori varietali. L’olfatto evolve verso note speziate e piacevolmente salmastre, per chiudere con la tipica nota di fiammifero o “pietra focaia”, propria dei suoli flegrei. Il sorso è snello, teso, lievemente tannico e in perfetta simmetria con il palato.
Cantine del Mare, Terra del Padre Piedirosso dei Campi Flegrei Dop 2018 siamo a Monte di Procida, qui da qualche generazione, Gennaro Schiano lavora instancabile su undici ettari, sparsi tra i vari crateri dei Campi Flegrei, di vigne per lo più a piede franco. Unico della batteria ad affinare in botti di rovere da 10hl per circa 7 mesi e ulteriori 18 mesi in bottiglia. La gestione del legno sul vitigno piedirosso non è cosa facile, il rischio di snaturare l’identità varietale è dietro l’angolo. Non è questo il caso: struttura, freschezza, sapidità e mineralità giocano alla pari.
Salvatore Martusciello Wines Piedirosso dei Campi Flegrei Doc 2017 del ruolo della famiglia Martusciello nel mondo del vino flegreo ho detto in abbondanza… Salvatore ha raccolto il testimone, insieme con suo fratello, Francesco Jr., dallo zio Gennaro Martusciello. Questo 2017 non era stato progettato – alla terza vendemmia della nuova sfida nata nel 2015 – per durare nel tempo. Invece, eccolo qui, un sorso appagante, carnoso e diretto. Piacevolmente spendibile in abbinamenti territoriali e non, fresco e moderno.
Az. Agricola Portolano Piedirosso dei Campi Flegrei Doc 2015 la prima vendemmia per quest’azienda di famiglia gestita da Mara Portolano, suo fratello Mario e sua figlia. Siamo a Pozzuoli in Rione Toiano. Il calice a distanza di 9 anni, mantiene una bella trasparenza e tende a riflessi granato. Al naso è molto tipico, con sentori erbacei, spezie e macchia mediterranea. Il corpo si mantiene agile con piacevole salinità e mineralità.
Ho utilizzato il termine workshop/laboratorio, perché, aldilà della degustazione, si è trattato di uno stimolante dibattito tra tutti i presenti.
Le considerazioni dei produttori
- E’ paradossale che, dopo 30 anni, si debbano ancora spiegare le differenze di territorio e genetiche della falanghina flegrea. Queste diversità dovrebbero invece essere al centro di un nuovo “Storytelling” dei Campi Flegrei.
– E’ arrivato il momento di muoversi. Negli ultimi 10 anni la superficie vitata è crollata. Siamo oggi, in termini quantitativi, escluse poche eccezioni, dei Vins de Garages. Dobbiamo emergere insieme. Il problema non è solo della ristorazione, spetta a noi guadagnarci un posto al sole (in Toscana, Piemonte, Veneto, etc. nelle carte dei vini troviamo anche 5/10 annate differenti della stessa azienda). Spetta a tutti noi perseguire, insieme, la stessa visibilità. Andiamo incontro a momenti molto difficili, ci sarà una “guerra” per essere presenti nelle carte dei vini al calice! Qui si gioca la partita contro le attuali tendenze di consumo, la legislazione salutista etc.…
– E’ necessario mettere da parte il nostro ego per fare passi avanti insieme e incontrarci per confrontarci sulle difficoltà produttive e di comunicazione. Dovremmo creare un manifesto per far conoscere i nostri Campi Flegrei.
– Dovremmo scegliere di non presentarci più con le annate correnti, ma questo è un discorso da venire…
– Il percorso da fare per far assurgere i vini dei Campi Flegrei nelle Carte della ristorazione locale, agli stessi livelli di altre denominazioni italiane e straniere è ancora lungo. Tuttavia, le giovani leve, dalla ristorazione stellata, gourmet e di servizio, si stanno muovendo bene in questa direzione.
Le mie considerazioni
Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a una crescita ininterrotta del territorio e dei suoi vini. Deve essere, invece, ancora accresciuta la consapevolezza della complessità e ricchezza del patrimonio viticolo dei Campi Flegrei, quale risorsa di sviluppo economico e turistico.
Urge colmare il gap dell’assenza (esclusi pochi casi d’eccellenza) dei vini flegrei nelle carte della ristorazione flegrea, campana e nazionale. Entrambi i vini si prestano molto bene agli abbinamenti gastronomici. Inoltre, dato ancor più rilevante, in questo particolare momento storico, rispondono alle esigenze di contenuto alcolico moderato, piacevolezza di beva e servizio al calice.
Bisogna lavorare per costruire una “brand identity” per i Campi Flegrei, come si fa in Borgogna, Piemonte, Toscana o sull’Etna.
Il confronto tra produttori è stato molto costruttivo. E’ emersa la coscienza, ormai acquisita, di aver raggiunto la maturità produttiva. Vini di straordinaria qualità, identitari, capaci di resistere al tempo e, allo stesso momento, vini moderni, contemporanei, in grado di fronteggiare le mutate richieste del mercato e dei consumatori.
L’incontro ha segnato un piccolo passo avanti verso un futuro auspicabile di collaborazione tra produttori. Con il dialogo sarà possibile individuare difficoltà, soluzioni e opportunità di sviluppo (accesso, per esempio, ai Fondi OCM Vino) della Doc Campi Flegrei e dell’intero territorio.
Sarebbero moltissime le azioni da mettere in campo. Sicuramente, un lavoro interessante è quello di mappatura e studio delle micro zone di produzione, nell’ottica di una maggiore consapevolezza e riconoscibilità del territorio e dell’esaltazione delle sue specificità.
La chiave del successo sta nella fruttuosa sinergia tra tutti gli attori del territorio…
Que Viva Campi Flegrei!
Le cantine partecipanti – Contatti
www.aziendaagricolamarioportolano.it