Chiara Soldati: non bisogna avere paura, il vino italiano può superare ogni crisi se racconta l’Italia nel Mondo
“Sul bianco siamo in ritardo: non è solo il vino dell’estate”
Chiara Soldati è una delle protagoniste del vino italiano: dal 1993 lavora nell’azienda di famiglia, La Scolca per proseguire e incrementare l’attività vitivinicola del Gavi DOCG. Ma i suoi interessi riguardano anche i settori enoturistico, sociale e per la parità di genere. Si è dedicata alla promozione del turismo nella sua regione natale, la Liguria, già alla fine degli anni ’90. Impegnatao dal 1998 con l’Associazione Nazionale Donne del Vinome nel 2019 è stata nominata consigliere dell’Associazione Internazionale, con sede negli Stati Uniti, Women of the Wine & Spirits. Si è dedicata a recupero e conservazione dei beni artistici e culturali del Territorio, ad esempio come consigliera FAI per il distretto di Novi; nonché alla divulgazione del patrimonio letterario e culturale: dal 2009 al 2011 è stata nominata dal MIUR come suo rappresentante nel CDA del Conservatorio Niccolò Paganini di Genova. Dal 2019 ricopre la carica di Presidente del Centro letterario Pannunzio di Torino dopo aver fatto parte del comitato scientifico, raccogliendo l’eredità del cugino Mario Soldati. Chiara è una giramondo e ha ben chiaro il quadro internazionale del mercato del vino. I vini della Scolca sono stati protagonisti al ricevimento nell’ambasciata iitaliana a Londra con re Carlo. Per questo abbiamo chiesto a lei di fare il punto post Vinitaly.

Chiara Soldati con l’Ambasciatore italiano in Gran Bretagna, Inigo Lambertini, al centro con Re Carlo III e a destra con lo con lo chef Francesco Mazzei
I mercati asiatici possono essere un’alternativa a quelli tradizionali del vino italiano?
Assolutamente sì, i mercati asiatici rappresentano non solo un’alternativa, ma una reale opportunità di crescita per il vino italiano e per i vini di La Scolca. Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un’evoluzione molto interessante nei gusti e nelle abitudini di consumo in Paesi come Giappone, Corea del Sud, Singapore, Thailandia, Vietnam e naturalmente la Cina, dove l’interesse verso il Made in Italy – inteso come stile di vita, qualità, eleganza – è in forte espansione. La cultura del vino si sta affermando in maniera sempre più consapevole anche in Asia, con un’attenzione crescente alla freschezza, alla finezza e all’identità territoriale dei prodotti. E in questo contesto, vini come il Gavi dei Gavi, espressione autentica del Piemonte, trovano uno spazio naturale grazie alla loro versatilità, al profilo elegante e alla capacità di abbinarsi perfettamente anche con la cucina asiatica. Per La Scolca, i mercati asiatici non sono una semplice alternativa ai mercati tradizionali: sono un’estensione strategica del nostro orizzonte internazionale, dove portare avanti – con rispetto e adattamento culturale – la nostra idea di vino, di ospitalità e di eccellenza italiana.” La Scolca da anni ha cominciato a scoprire e sviluppare il mercato asiatico. Un mercato che è stato aperto negli anni 60 cominciando con il Giappone, proseguendo in mercati come Indonesia, Thailandia, Hong Kong, Macao per poi espandersi nelle altre destinazioni.
In genere, come valuti la percezione del vino italiano?
Il vino italiano, a livello internazionale, è ancora oggi percepito come un prodotto di grande valore culturale, legato alla bellezza, all’artigianalità e allo stile di vita e dieta mediterranea. Se pensiamo al brand Italia, è universalmente associato a qualità, eleganza e gusto. Il vino ne è un simbolo straordinario, e in molti mercati viene cercato proprio per questo: non solo per il gusto, ma per ciò che rappresenta. Tuttavia, a differenza di altri Paesi competitor, l’Italia soffre ancora oggi di una certa frammentazione nella promozione estera considerando che le molte denominazioni sono un grande plus, ma anche complesse da comunicare nelle loro differenze. In un momento storico così delicato – geopoliticamente instabile, con mercati in trasformazione e un consumatore globale sempre più sensibile a sostenibilità, autenticità e storytelling – serve una strategia condivisa, intelligente e di lungo termine. Proprio per affermare il “brand Italia” nella sua interezza e “unicum”
Le istituzioni potrebbero giocare un ruolo cruciale:
- Rafforzando l’identità del vino italiano come sistema-paese: non solo prodotto, ma cultura, ospitalità, territorio.
- Investendo di più e meglio sulla formazione degli operatori all’estero, anche attraverso le ambasciate, gli Istituti Italiani di Cultura e ICE.
- Promuovendo campagne internazionali coordinate, digitali e fisiche, che raccontino i nostri vini in chiave emozionale e contemporanea, con linguaggi adatti ai diversi mercati.
- Facilitando l’accesso e la presenza nei mercati emergenti (Asia, Africa, Sudamerica), dove spesso le piccole-medie aziende non riescono ad arrivare da sole.
Infine, credo che oggi più che mai serva una narrazione unitaria e coraggiosa del vino italiano, che abbia la forza di valorizzare la nostra biodiversità vitivinicola, le nostre regioni ed il legame indissolubile con l’arte di vivere italiana. In tutto questo, realtà come La Scolca portano avanti un lavoro di diplomazia culturale quotidiana: raccontando non solo un vino, ma uno stile di vita e una visione. Ed è in questa direzione che credo debba andare l’intero comparto.
L’azienda La Scolca è conosciuta per i bianchi. Secondo te stiamo in ritardo in Italia nel percepire l’importanza di questo segmento che invece pare in continua crescita tra i consumatori?
È vero: in Italia siamo stati per molto tempo concentrati sulla cultura del vino rosso, considerandolo il simbolo per eccellenza della tradizione e del prestigio enologico nazionale. Ma oggi, il segmento dei bianchi sta vivendo un momento di grande crescita, sia in termini di produzione che di percezione da parte dei consumatori — soprattutto a livello internazionale. Noi di La Scolca questa strada l’abbiamo intrapresa con convinzione 106 anni fa, in un momento in cui sembrava quasi una sfida controcorrente: scegliere di produrre vini bianchi longevi, eleganti e identitari in Piemonte, una terra storicamente legata ai rossi. Eppure, è stata proprio questa visione a darci nel tempo un’identità unica. Abbiamo scelto di valorizzare il vitigno Cortese e il suo territorio, creando il Gavi dei Gavi®️, con l’idea che anche un bianco potesse raccontare l’Italia profonda, quella che sa unire stile, autenticità e capacità di evolversi nel tempo fino a 12 anni “sur lie”. Negli anni, abbiamo portato i nostri bianchi in tutto il mondo, facendoli conoscere e apprezzare anche in culture molto lontane, con abbinamenti gastronomici molto diversi da quelli classici italiani. Questo per me è un segnale importante: il bianco italiano ha tutte le carte in regola per diventare un ambasciatore del nostro gusto, anche nei contesti più inaspettati. La sfida, ora, è culturale. In Italia dobbiamo imparare a raccontare e a vivere il vino bianco non più come un “compromesso estivo” o come qualcosa di più semplice rispetto al rosso, ma come un vino capace di eleganza, profondità, versatilità e identità territoriale. Ecco perché credo che l’Italia sia sì in lieve ritardo su questo fronte, ma che abbia oggi l’occasione di recuperare terreno molto rapidamente — a patto che ci sia visione, comunicazione efficace, e il coraggio di credere anche nei vini bianchi.
“Comunicare il vino in modo nuovo, il mondo sta cambiando”
La minaccia dei dazi, a parte l’incertezza dei mercati che riflessi può avere nel commercio del vino negli USA?
La minaccia dei dazi sul vino italiano negli Stati Uniti è sicuramente un elemento di grande preoccupazione per il nostro comparto. Al di là dell’incertezza generale che crea sui mercati, ciò che colpisce è la possibilità che venga compromessa una relazione commerciale e culturale costruita nel tempo, con grande impegno, passione e continuità. l momento attuale non è semplice: il mercato americano stava già attraversando una fase delicata, segnata da forti pressioni economiche, dall’impatto dell’inflazione e da un cambiamento nei modelli di consumo, soprattutto tra le nuove generazioni. C’è una crescente distanza culturale da parte di alcuni segmenti del pubblico più giovane rispetto al mondo del vino, che spesso viene percepito come poco inclusivo o troppo legato a codici tradizionali. Ma non è una crisi del vino in sé, è piuttosto un invito a rinnovare il nostro modo di comunicarlo e di approcciare il mercato .
L’eventuale introduzione dei dazi ulteriori del 10% (portandoli al 20%) potrà sicuramente rappresentare un ostacolo concreto, ma anche un’occasione per fermarsi, riflettere e ripensare le nostre strategie. Dovremo ridisegnare alcune chiavi di accesso al mercato americano, rinnovare il nostro storytelling, avvicinarci ancora di più alle esigenze e alle sensibilità di chi ci ascolta. È un’opportunità per rimettere al centro non solo il prodotto, ma l’esperienza, la cultura, l’eleganza e la versatilità del vino italiano, che può e deve parlare anche al nuovo pubblico, con un linguaggio più fresco, più contemporaneo e più emozionale.
Come La Scolca, da generazioni abbiamo creduto in questo approccio: Questo dimostra che la tradizione, se accompagnata da visione e capacità di adattamento, non è mai un limite, ma un valore aggiunto. E anche ora, davanti a scenari complessi come quello americano, credo che la forza del vino italiano sia proprio nella sua capacità di evolvere, ascoltare, creare connessioni.
Non è il momento di fermarsi, ma di rilanciare. Con più consapevolezza, con più coesione, e con la fiducia che l’identità del vino italiano — fatta di storia, stile e autenticità — ha ancora tantissimo da dire nel mondo. Infatti tra due settimane tornerò in Usa dopo il mio viaggio di Marzo per ascoltare il mercato.
Com’è cambiato il modo di vedere il vino negli ultimi anni sui mercati internazionali?
Negli ultimi anni, il modo di percepire e vivere il vino è profondamente cambiato a livello internazionale. Da simbolo di prestigio e tradizione, spesso legato a rituali formali, il vino è diventato un elemento di convivialità, un mezzo per condividere esperienze e raccontare storie.
Questo cambiamento è evidente anche nei dati: secondo l’Osservatorio Federvini, nel 2023 il consumo di vino fuori casa in Italia è cresciuto dell’1%, con un notevole aumento del 7% per le bollicine. Gli italiani mostrano una predilezione per il consumo di vino a pranzo nel 33% dei casi, a cena nel 36%, e durante l’aperitivo serale nel 18% delle occasioni. Questi momenti di consumo riflettono una tendenza verso un approccio più informale e sociale al vino. 
Le donne, in particolare, hanno assunto un ruolo sempre più attivo come consumatrici consapevoli, orientandosi verso vini più leggeri, eleganti e raffinati. Anche i giovani stanno diventando protagonisti di una nuova cultura del vino, fatta di qualità, storytelling autentico e sostenibilità. Secondo una survey realizzata da Nomisma ad ottobre 2023, il 76% degli italiani che ha bevuto vino nell’ultimo anno lo ha fatto a casa propria o di parenti e amici, mentre solo il 24% in locali e ristoranti. 
In questo scenario, aziende come La Scolca hanno saputo interpretare i tempi, portando i propri vini bianchi, come il Gavi dei Gavi, in tutto il mondo, adattandosi a culture diverse e creando abbinamenti gastronomici innovativi. Questo dimostra che la tradizione, se accompagnata da visione e capacità di adattamento, non è mai un limite, ma un valore aggiunto.
Oggi, più che mai, è fondamentale saper raccontare il vino non solo come prodotto, ma come esperienza culturale e sociale. Con autenticità, passione e attenzione alle nuove tendenze, il vino italiano ha ancora molto da offrire e può continuare a essere un ambasciatore del nostro stile di vita nel mondo.
Secondo te, quale giudizio il giusto rapporto tra consumo interno e mercati esteri per un produttore italiano?
Il giusto rapporto tra consumo interno e mercati esteri non può essere rigido o uguale per tutti: dipende dall’identità dell’azienda, dal posizionamento dei suoi prodotti e dalla visione strategica che si vuole costruire. Tuttavia, in una prospettiva sana e sostenibile, credo che un produttore italiano debba sempre puntare a un equilibrio dinamico, in cui l’export rappresenti una leva di crescita ma il mercato interno resti una radice solida e identitaria.
Nel caso di La Scolca, l’internazionalizzazione è da sempre parte del nostro DNA: da generazioni i nostri vini sono presenti nei mercati più esigenti del mondo, e oggi l’export rappresenta una quota significativa e strategica della nostra distribuzione. Ma al tempo stesso, non abbiamo mai smesso di credere e investire nel mercato italiano. Perché l’Italia non è solo un Paese produttore: è anche una scuola di gusto, una vetrina culturale, un palcoscenico dove il vino vive quotidianamente, si racconta, si sperimenta.
Un’eccessiva dipendenza da un solo mercato — sia esso interno o estero — può diventare un rischio, soprattutto in tempi di instabilità globale. Per questo, credo che oggi più che mai serva una visione integrata: il mercato italiano come laboratorio di valore, cultura e prossimità; i mercati esteri come frontiera di espansione, relazione e posizionamento internazionale.
Il vero equilibrio si costruisce nel tempo, mantenendo coerenza tra ciò che siamo e dove vogliamo arrivare. Ed è proprio in questo equilibrio che si misura la solidità e la longevità di un’azienda.
“Il mondo cambia, non dobbiamo difenderci ma sfruttare questa nuova opportunità”
Il mondo Del Vino è davvero assediato? Cosa si deve comunicare per restare un punto di riferimento dell’agroalimentare italiano?
Il mondo del vino non è solo assediato. È messo alla prova. Ma non dobbiamo leggere questa fase solo in chiave difensiva. Al contrario: è un momento cruciale in cui dobbiamo ritrovare consapevolezza e responsabilità. Il vino oggi si confronta con tante sfide: l’instabilità geopolitica, i dazi, l’inflazione, il cambiamento climatico, le pressioni legislative su salute e sostenibilità, il cambio generazionale nei consumi. Sì, a volte sembra davvero un assedio, ma è proprio nei momenti di maggiore pressione che si misura il valore di una filiera.
Per restare un punto di riferimento dell’agroalimentare italiano, il vino deve ritrovare e riaffermare con forza la propria identità culturale. Non basta più parlare solo di terroir, vitigno, annata: serve raccontare il vino come espressione di un sistema più ampio — fatto di paesaggio, arte, ospitalità, storia, stile di vita integrato con il nostro patrimonio agroalimentare.
Va comunicata la verità del vino: il suo legame con la terra, con il lavoro dell’uomo, con la convivialità e il rispetto. Va raccontata la moderazione, l’eleganza, la capacità di creare relazioni, la bellezza di un prodotto che non nasce per essere consumato in fretta, ma per essere ascoltato.
Noi di La Scolca abbiamo sempre comunicato questo: il vino come gesto culturale, non come moda. Forse per questo siamo arrivati con solidità alla V generazione…. La bellezza della lentezza, della misura, della qualità. In un mondo che va veloce e spesso perde profondità, il vino può e deve essere un simbolo positivo, un punto fermo, un presidio di cultura, equilibrio e umanità.
Essere riferimento dell’agroalimentare italiano non vuol dire soltanto vendere di più. Vuol dire rappresentare un valore, lavorare in team con tutta la filiera anche per promuovere territori e produzioni. E in questo, il vino ha un ruolo unico di trait d’union tra mondi, culture e produzioni.