Coronavirus, storie di una Milano da mangiare che resiste al Covid-19


Milano, Piazza Duomo

Milano, Piazza Duomo

di Ugo Marchionne

Ricordo ancora quel weekend di Febbraio, in cui il Coronavirus ha intrapreso la sua cavalcata alla conquista dell’Italia. Quel senso di ansia, di paura, di timore che accompagnava le mie giornate scandite tanto dal ritmo di lavoro, quanto dal costante aggiornamento sul poll di contagio del virus. Sono passati due mesi ormai. Mesi intensi, difficili, complicati, mesi in cui l’economia del nostro paese è stata messa a durissima prova, mesi di quarantena in cui il comune senso di unità nazionale e di rispetto reciproco tramite il distanziamento sociale è stato lo scudo umano che ha protetto il sistema sanitario del nostro paese dagli attacchi silenti del virus e dal sovraffollamento e rimane ancora lì, invitto, a reggere gli urti di un’emergenza senza precedenti nella storia recente.

Certamente uno dei settori più colpiti dal virus dal punto di vista economico è stato il settore della ristorazione, il quale ha risentito dell’impatto “Covid-19” sin dall’inizio. Milano la città più colpita, epicentro simbolico dell’impatto del Coronavirus sulla nostra penisola e sui suoi abitanti. Una guerra silente combattuta sin dall’inizio ed affrontata alla luce di un’incertezza latente sulla reale portata e sugli effetti dell’epidemia. Una città che all’inizio non voleva fermarsi, non per mancanza di senso del pericolo, ma perché i tempi ancora non avevano mostrato la maturità dell’epidemia e che successivamente ha mostrato tutto il suo senso del dovere, svuotandosi come d’incanto. Una città che come la Mediolanum degli antichi non è capitolata,  lottando con tenacia contro l’epidemia e la psicosi, attraverso i suoi cittadini.

E’ proprio nella cornice di questa Milano, di cui forse le immagini della Galleria Vittorio Emanuele e della Piazza del Duomo completamente vuote rappresentano il simbolo al tempo dell’epidemia, si sono sviluppati alcuni esempi di resilienza veramente rassicuranti.

Il primo è stato Carlo Cracco, una stella Michelin, a cucinare e servire gli operai nel cantiere del nuovo ospedale Covid alla Fiera di Milano. Un esempio davvero fulgido di operosità e senso di responsabilità che ha visto il figlio più mediatico della scena gastronomica meneghina, mettersi da subito in prima linea a servizio della comunità degli operatori del settore sanitario che hanno rappresentato sin dal primo momento, la roccaforte inespugnabile che ha difeso la cittadinanza ed i contagiati dalle onde del virus.

Carlo Cracco all’ospedale della fiera

Carlo Cracco all’ospedale della fiera

Spostandosi a Bergamo invece, una delle aree più colpite dall’emergenza Coronavirus, è la famiglia del ristorante “Da Vittorio” a Brusaporto, tre stelle Michelin, a offrirsi solidale: gli chef Chicco e Bobo Cerea, infatti, gestiscono la mensa dell’ospedale da campo allestito alla Fiera di Bergamo. Non ci si poteva aspettare altro dalla famiglia Cerea, da sempre impegnatissima nel sociale ed interprete di quel sentimento di giving back nei confronti della propria comunità di appartenenza. Una famiglia che come la famiglia Iaccarino al Sud è parte integrante del patrimonio gastronomico della regione e assurge da sempre ad esempio di onorabilità, successo ed eticità per l’intero settore. Quella che noi inglesisti nel mondo degli affari chiameremmo corporate social responsibility.

La famiglia Cerea all’Ospedale di Bergamo

Chicco e Bobo Cerea

Tante storie, tanti esempi di adattamento alle nuove esigenze della contingenza, ci arrivano anche dalla scena del fine dining cittadino. Primi fra tutti Daniel Canzian ed Andrea Berton. Daniel per primo ha messo in atto in città, con grandissimi risultati una diversa tipologia di haute dining take away, predisponendo per i propri clienti dei menù tailormade da poter consumare a casa e poter essere assemblati autonomamente o con l’ausilio di uno dei ragazzi del Ristorante Daniel in Moscova. Il secondo, il caro Andrea Berton, è stato il primo in città a proporre, con grande riscontro, il modello dei Restaurant Bonds, oltre a diffondere positività con le sue ricette da casa, pubblicate sui suoi canali social e su quelli di sua moglie Sandra. Ricette di gran gusto e facili da eseguire, attraverso le quali Andrea Berton ha riproposto alcune ricette classiche ed alcune preparazioni impromptu in un format comunicativo essenziale, divertente, in cui l’austerità caratteriale dello chef ha lasciato il posto a qualche sorriso in più, in un contesto adv. free, senza prestarsi alle solite trovate di marketing alle quali si sono dati altri protagonisti.

Daniel Canzian ed i suoi Tailormade Menus

Daniel Canzian ed i suoi Tailormade Menus

Andrea Berton ed i suoi Restaurant Bonds

Andrea Berton ed i suoi Restaurant Bonds

Vale la pena altresì menzionare in altri campi, gli sforzi di Massimo Minutelli e Tony Melillo della Griglia di Varrone, di Wicky Priyan dalla sua Wicky’s Seafood Cusine, di Rosy Chin di Yokohama Sushi Restaurant, di Gino Sorbillo , Cocciuto, Berberé e di tantissimi altri che cercano di assicurare tramite il loro specifico Delivery di assicurare anche a casa la qualità dei loro ristoranti. Per il vino ci sono ancora le decine di enoteche aperte in città oppure la più comoda soluzione Winelivery, oltre che il servizio di cantina dei ristoranti stessi.

Una città che è rimasta sostanzialmente viva anche dal punto di vista dolciario durante le feste di Pasqua, ma che comunque sin dall’inizio, appena il tempo è volto al brutto è divenuta compatta sul lockdown delle attività, prima ancora che la politica si esprimesse, dopo alcuni comprensibili tentennamenti.

Premetto, non spetta a me giudicare la pertinenza, la viabilità e la correttezza della soluzione delivery, della quale si avvalgono più di 200 realtà a Milano, ma ciò che va sicuramente sottolineato è la sua utilità al fine di restituire un barlume di normalità e speranza ad una città che è stata colpita duramente al cuore e alla testa e che nella normalità dei suoi giorni già conta e fa affidamento stabilmente sul servizio di consegna a domicilio per qualsiasi bene del settore enogastronomico. Che dovrà soffrire nelle retrovie del centrocampo ad inseguire e a rincorrere la palla della rinascita. Una rinascita che per fortuna è già scritta, è ineluttabile, è inevitabile, ma che per ora appare ancora così lontana, troppo lontana. Ciò che è certo è che abbiamo ancora bisogno delle terrazze, dei locali notturni, dei bar, delle attività produttive, degli aperitivi, delle pizzerie, delle osterie, dei navigli affollati, delle enoteche, dei ristoranti stellati, delle strutture alberghiere, dell’ospitalità tutta della “Milano da bere” che speriamo possa presto risorgere o quantomeno ritornare, nel rispetto dei dettami sanitari e del rispetto per la salute pubblica.

Milano deserta

Milano deserta