Enrico Cosentino story: all’origine del successo della cucina campana


Enrico Cosentino, inventore degli scialatielli

di Francesco Aiello

«Oggi ci sono decine di bravi cuochi, capaci di eseguire buoni piatti, ma organizzare e dirigine una cucina in maniera efficiente è tutta un’altra cosa e pochi sono in grado di farlo». Parola di chef. Per tutti, giovani e professionisti maturi, nuove promesse e cuochi affermati, talenti in cerca di notorietà e star dei fornelli pluripremiate, è lui a incarnare il prototipo dello chef. De cuisine, ça va sans dire.

Così, Enrico Cosentino, nato ad Amalfi e ormai sorrentino di adozione, continua il suo lavoro di scopritore di cuochi e gran consigliere di ristoratori che fanno cucina italiana in ogni angolo del mondo, da New York a Dubai, passando per Roma, circondato da una considerazione e rispetto che non conosce eguali nel settore. D’altra parte il suo curriculum parla chiaro.

Enrico Cosentino alla festa di Pasquale Torrente

Poco più di sessant’anni, dei quali cinquanta passati nelle cucine e trenta ad insegnare nelle scuole alberghiere. In mezzo la prima stella michelin della Campania conquistata con Angelo e Franchino Dipino alla Caravella di Amalfi e la creazione degli ormai famosi scialatielli, la pasta fresca ormai entrata nella tradizione della cucina marinara del sud che gli valse il premio Entremetier del concorso internazionale di cucina nel 1978.

E poi la guida come executive chef dei ristoranti del Quisisana di Capri, il titolo di Gran Maestro della Cucina Italiana e la nomina nell’ Euro-Toques. Infine, il ruolo di maestro per almeno tre generazioni di cuochi della penisola sorrentina e della costiera amalfitana, anche famosi, che a lui si rivolgono quando c’è una cucina di impostare o anche solo un menù da mettere a punto.

scialatielli agli asparagi selvatici e gorgonzola

Per non parlare dell’attività di talent scout per tanti cuochi in cerca collocazione. «Sono fermamente convinto che, in particolare in un momento di notorietà come quello che sta attraversando la cucina italiana, ci sia bisogno di rimettere in ordine tra le competenze che deve avere un cuoco. Personalmente ritengo che, soprattutto in una zona ricca come la Campania, un approfondimento su quella che è la tradizione regionale dovrebbe far parte del bagaglio di chiunque cucini. Può sembrare paradossale ma verifico quotidianamente che così non è», sottolinea Cosentino.

Non a caso, infatti, in molte cucine della Campania risuona una sua frase, rigorosamente in lingua napoletana, ormai divenuta famosa: «torneranno ad avvolgere braciole, ammesso che sappiano farlo». Ben più di un ammonimento per i tanti sedicenti cuochi concentrati sull’estetica dei piatti e abituati a misurare il valore di una ricetta dal numero di “like” su Facebook. Inevitabile che il discorso dalle ricette passi ai prodotti che caratterizzano la proposta gastronomica dei ristoranti.

«Tranne poche eccezioni valide mi imbatto con frequenza in ricette che prevedono l’uso di prodotti estranei alla nostra tradizione per i quali non è stato neppure avviato un serio lavoro di conoscenza. In questo modo si rinuncia, offrendo tra l’altro un’alternativa modesta, anche a sfruttare le materie prime locali che rappresentano motivo di attrazione per i turisti di tutto il mondo» aggiunge Cosentino.

Ecco perché tra i cuochi che lo chef considera più vicini al suo modo di intendere la cucina e che, nonostante il successo raggiunto, continuano ad avvalersi dei suoi consigli ci sono Michele Deleo, oggi alla guida del Rossellinis di palazzo Avino a Ravello, e Peppe Aversa, del Buco di Sorrento.

In entrambi i locali, infatti, la proposta gastronomica interpreta con gusto e sensibilità moderne le grandi materie prime del territorio, riuscendo ad essere comprensibile ed apprezzata anche per la clientela straniera. Dunque tecnica, tradizione e semplicità come linee-guida per una cucina concreta e non autoreferenziale. «Se è vero che la scuola purtroppo non prepara adeguatamente a questo lavoro, deve far riflettere tutti coloro che hanno a cuore le sorti della cucina italiana il fatto che purtroppo ci sono tanti ragazzi che pensano di poter fare i cuochi senza avere basi tecniche solide. A tal proposito credo che la eccessiva esposizione sui mezzi di comunicazione di massa possa indurre i più giovani all’equivoco di avere come obiettivo la notorietà piuttosto che la professionalità», conclude Cosentino.

3 Commenti

  1. Conoscendo bene Michele e Peppe, posso solo fare i miei più sentiti complimenti, incitandolo (anche se non ce n’è bisogno) a continuare in questo percorso il Maestro Cosentino.

  2. Ho avuto il piacere di conoscere Enrico quando ha incominciato a muovere i primi passi in cucina, poi quando mi sposai ebbi l’onore di avere come chef Enrico (era diventato grande); da grandissimo in occasione del matrimonio del mio primogenito volle essere lui ad organizzare il pranzo, la sua frase che mi lasciò esterrefatto fu “ho sposato te,ora voglio sposare tuo figlio”. Grande chef Enrico. Questa mia devozione alla cucina di Enrico Cosentino non è data dall’amicizia che c’è fra noi ma alla sua maestria nell’insegnamento dell’arte culinaria agli allievi della scuola alberghiera dove ha prestato la sua opera e insieme a Michele (che ho avuto il piacere di conoscere e di assaporare i suoi piatti) e Peppe potrei elencare altri nomi di allievi che si stanno facendo onore nel campo della ristorazione. Enrico Cosentino è un grande.

  3. Propri adesso, nell’insegnare i “scialatielli” a un ristoratore italiano in Scozia, ricordavo che i “scialatielli” li ha inventato il mio grande amico Enrico…. Questo avvenne all’Ippolito Cavalcanti di Napoli…. Enrico, carissimo collega, più giovane di me, mi raccontava di averli fatti in Calabria, quelli “del pecoraro” con salsiccia…..
    Leggo e condivido pienamente quanto da lui dichiarato, purtroppo, caro Enrico, pochi di noi abbiamo “insegnato” le vere basi e l’arte della cucina italiana…. Fortuna che molti dei nostri ex alunni hanno continuato con i nostri insegnamenti e si sono affermati ad alto livello in Italia e in giro per il mondo… Ugo D’Orso

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