Il mondo del vino al femminile: le figure italiane coinvolte nel settore 3 | Sissi Baratella


Sissi Baratella

Sissi Baratella

di Chiara Giorleo

I numeri parlano chiaro: le donne rappresentano la maggioranza degli addetti e dei manager nell’ambito marketing e comunicazione (80%), commerciale (51%) e turismo (76%).
Quali sono le figure femminili impegnate nei diversi rami del settore vitivinicolo?
Dopo il successo della serie di interviste alle critiche di vino e parallelamente a quella dedicata alle donne produttrici, scopriamo impostazione, visione e prospettive con le dirette interessate.

Oggi lo chiediamo a Sissi Baratella

Sissi Baratella. Enologo comunicatrice del vino, dopo qualche anno di esperienza tra campagna e cantina decide di dedicarsi unicamente al mondo della comunicazione, promozione e critica enogastronomica. Diventa assetata anche di conoscenza e viaggia costantemente in Italia e nel mondo alla scoperta di storie, tecniche, tradizioni e novità che riguardano vino e viticoltura. Forte della sua formazione e dell’esperienza in campo tecnico, racconta il vino su ogni mezzo di comunicazione possibile e immaginabile. Dalla televisione, alle riviste passando per radio, podcast e tantissimi eventi b2b e b2c. Rendere il vino e gli aspetti tecnici che lo riguardano alla portata di tutti rendendo il consumatore sempre più consapevole è la sua missione.

 

Quando e come ti sei avvicinata al settore vino?

Il vino ha iniziato a incuriosirmi in età adolescenziale, vedevo tutte queste etichette diverse e mi domandavo quali fossero le differenze. Inconsapevolmente stavo già cercando un mezzo per saperne di più anche se all’epoca mai avrei pensato che ne avrei fatto un lavoro. La scelta più ovvia sarebbe stata quella di fare un corso di sommellerie, ma io studiavo al Liceo Classico e si sa che i classicisti hanno un modo di ragionare talvolta fuori dagli schemi. Fu proprio il mio professore di Storia e Filosofia del Liceo Scipione Maffei a parlarmi per la prima volta dell’esistenza della facoltà di enologia e viticoltura all’Università degli Studi di Verona. Da quel momento in poi l’idea di poter scoprire come si faceva il vino divenne un’ossessione. Mi entusiasmò a tal punto che capii che io non mi sarei mai accontentata di berlo, volevo sapere come si faceva, volevo conoscerne i segreti. Così, senza delle vere e proprie competenze scientifiche ma con un approccio di apertura e curiosità nei confronti di quelle nuove materie, mi dedicai (dopo una parentesi in Medicina Veterinaria) allo studio della chimica enologica.

 

Come hai impostato il tuo percorso formativo ed esperienziale?

Premetto che la mia famiglia non c’entra nulla con il mondo del vino, quindi sono stata la “diversa” per molto tempo. Ho dimostrato massima apertura fin dall’inizio e un “approccio socratico”: il So di non sapere era l’unica certezza che avevo, e che ho tutt’ora. Anche oggi, dopo tredici anni dalla laurea, mi approccio a questo mondo con interesse, entusiasmo e voglia di capire. Amo fare domande, amo ascoltare, traggo conclusioni, le condivido. Sono una spugna, porto avanti quello che mi piace e lo faccio mio. Il mio modo di raccontare il vino è molto personale ma vedo che funziona, è un’apparente semplicità. O forse è semplicità a tutti gli effetti, che però non ha nulla a che vedere con la banalità. Racconto quello che so, che padroneggio, perché l’ho vissuto sulla mia pelle.

Qual è il tuo modello di ispirazione in termini umani, geografici, attitudinali?

Partiamo dall’attitudine: amo l’onestà, non giudico, piuttosto analizzo. Onestamente non sento di avere un unico modello di riferimento, mi ritengo piuttosto singolare sotto diversi aspetti. Sono una figura tecnica ed emozionale allo stesso tempo. Geograficamente parlando non mi pongo limiti, mi lascio ispirare al racconto del vino da parte di popoli di tutto il mondo. Ho avuto l’opportunità di degustare con persone e figure professionali di paesi diversi, ognuna mi ha lasciato qualcosa su sui riflettere. Sono fortunata perché sono cresciuta e continuo a crescere tanto anche grazie alle persone che ho incontrato, nel bene e nel male, sul mio cammino umano e professionale.

 

Credi che l’approccio alla tua professione possa cambiare tra uomo e donna?

La parola chiave di questa domanda è “professione”. Appartengo a quella percentuale di persone che non vedono uomo o donna ma vedono professionisti. Per me la professionalità è super partes, ho conosciuto uomini che valevano 0 e uomini che valevano 100, stessa cosa per le donne. Mi rendo conto che sono un po’ singolare anche in questo; inizialmente mi facevo tanti problemi, soprattutto quando lavoravo in cantina, sull’essere uomo o donna, maschile o femminile. Da quando ho iniziato a vedere il mondo del lavoro e la mia professione con un’accezione neutra è come se avessi messo il turbo. Ho abbattuto delle barriere che la società mi imponeva e hanno iniziato a piovermi addosso opportunità, scelte, possibilità che tanto avevo sperato. Preciso che non è successo dall’oggi al domani: ho lavorato su questo aspetto analizzandolo attentamente. La definizione della mia identità come individuo e professionista è a tutti gli effetti un viaggio ancora in corso. Un percorso anche doloroso ma necessario che oggi mi sta ripagando. Mi definisco enologo comunicatrice, ho inventato una figura professionale che mi calzasse a pennello e spero che un domani ci saranno sempre più enologi comunicatori e enologi comunicatrici. Ho declinato la mia professione, quella di enologo, secondo le mie esigenze, e sta funzionando. Non si tratta di essere maschio o femmina, ma di capire in cosa siamo bravi e cosa ci rende unici.

 

Quali sono i punti di forza e di debolezza del sistema Italia nella tua professione?

Beh, per esempio il fatto che ancora si senta il bisogno di fare distinzione tra uomo e donna è un ostacolo a mio avviso. Inoltre, in generale, non siamo molto meritocratici, siamo il popolo delle vie preferenziali. Ma questo sta cambiando perché a lungo andare non regge, bisogna dimostrare di valere. Punti di forza: in quanto italiani siamo passionali come pochi al mondo e la passione è un linguaggio universale. Punti di debolezza: siamo ancora su un gradino troppo basso a livello internazionale, questo non ci rende giustizia. Se trovassimo il coraggio di cambiare prospettiva saremmo ripagati in positivo, non ho dubbi.

 

Come pensi la tua professione evolverà nei prossimi 20 anni?

Penso che l’Enologo comunicatore sarà sempre più definito e diventerà a pieno titolo una specializzazione del mondo dell’enologia. Questo anche grazie al costante lavoro di associazioni di categoria come Assoenologi, cui io appartengo. Il vino e le persone del mondo del vino hanno bisogno di essere comunicati con consapevolezza e competenza, perché quindi non farlo fare anche agli enologi? Tra vent’anni sarà la normalità e io sarò fiera di essere stata tra i primi.

 

Grazie per questa preziosa opportunità di raccontarmi.

Grazie a te per la condivisione.

 

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