La lezione che ho imparato da Walter Mastroberardino
Walter Mastroberardino ci ha lasciato. Di seguito il mio pezzo ricordo pubblicato oggi per l’edizione di Avellino del Mattino
L’ultima volta che l’ho visto, prima di Natale, è stata durante la presentazione del libro “Calici&Spicchi” di Antonella Amodio nella pizzeria di Diego Vitagliano a Pozzuoli: aveva accompagnato la figlia Daniela che doveva intervenire sul terrazzino esterno. Una scossa sismica accelerò la chiacchierata, e quando feci per andarmene lo ritrovai tranquillamente seduto all’interno in attesa che l’evento finisse. Mi riconobbe subito e non perse l’occasione per rimproverami perché non lo andavo a trovare da un sacco di tempo.
Sono di una generazione abituata a subire le “cazziate” delle persone più grandi, mi scusai e gli feci la promessa che sarei andato presto.
L’illusione della nostra vita è che abbiamo sempre tempo per fare quel che rimandiamo ma purtroppo non è così e adesso, dopo aver appreso della sua scomparsa, mi sento a disagio per non aver mantenuto l’impegno preso.
Walter Mastroberardino era una roccia, una certezza.
Lo incrociai nell’ormai lontano 1993, avevo appena iniziato a tenere la rubrica del vino sul Mattino e lo andai a trovare in un momento particolare: si era separato dal fratello Antonio e, insieme ai tre figli aveva deciso, a 60 anni, di ripartire con una azienda intitolata alla moglie, Terredora. Dopo aver fatto un giro con Paolo tra i vigneti di greco a Santa Paolina, lo beccai mentre dava disposizione sulla vendemmia della prima falanghina piantata in Irpinia a Campore, la vigna nel comune di Lapio, da cui poi sono nati i cru pensati dal figlio Lucio Mastroberardino, scomparso prematuramente nel 2013. In questi trent’anni ho avuto la fortuna di incontrarlo molte volte ed era sempre un arricchimento per me perché Walter era una enciclopedia vivente. A differenza del fratello Antonio, colto e riservato, lui era colto ed espansivo, un fiume di parole condite sempre con battute ironiche. Pur così diversi di carattere, i due fratelli avevano uno stampino comune: una determinazione incrollabile nel portare avanti i propri progetti.
L’ultima volta che ci incrociammo per un dibattito fu qnel dicembre 2023 fa a Montemarano con il sindaco Beniamino Palmieri e l’assessore Natalia De Vito.
In quella occasione mi colpì la sua incredibile capacità di conoscere tutto e tutti: di ciascuno sapeva morte, vita, miracoli e albero genealogico e ricordo ancora il rispetto con il quale le persone lo ascoltarono quando gli diedi la parola.
Credo che la scomparsa di una persona dalla personalità così forte serva a farci fermare un attimo per restituirci la misura di tutte le cose. Oggi potremmo parlare di longevità dell’Aglianico e del Fiano o della potenza del Greco di Tufo se non ci fosse stata la Mastroberardino? In questo momento in cui i valori vengono rovesciati dallo sputtanamento delle proprie intimità sui social e in tv, la grandezza di uomini come Walter e Antonio si misura con quello che hanno lasciato, parlo non solo delle aziende ma anche delle generazioni successive, con Piero e Daniela che hanno ruoli di rilievo nazionali e sono rispettati in tutta Italia per l’esercizio sobrio ma al tempo stesso determinato del proprio ruolo.
Ma se debbo dire cosa mi ha insegnato Walter nei continui colloqui che abbiamo avuto in questi 30 anni di chiacchiere riguarda il rapporto fra produzione e commercio. A differenza delle favolette che si raccontano in questo mondo, fatto spesso di visioni bucoliche enunciate da chi non ha mai messo piede in una zolla, la realtà è che un vino esiste solo se diventa oggetto di desiderio sul mercato. Il vino diventa tale quando viene chiesto il primo ricarico, e poi il secondo e poi il terzo, e via all’infinito. Esiste se supera le mode del momento, se mantiene una propria identità riconoscibile senza inseguire gli stili di altri territori. Esiste se è espressione dei punti di cultura rurale e conviviale più alti toccati dal territorio in cui viene prodotto resi leggibili a chi questo territorio non lo ha mai visto e conosciuto.
Con la scomparsa di Walter si chiude una epopea, quella del passaggio del vino da alimento a bene voluttuario, dalla ossessione della quantità alla ricerca della qualità, dall’assenza di preoccupazioni estetiche alla cura del dettaglio nella presentazione e nella scelta dei nomi. Pur nelle loro differenze, il contributo dato da questa generazione di Mastroberardino resterà per sempre perché durante la loro opera hanno dovuto rispondere a sollecitazioni assolutamente nuove dopo che per millenni si era bevuto e coltivato sempre allo stesso modo.
Anche a Montemarano mi disse: “Pignataro, ma quando mi viene a trovare”. “Presto” risposi. Mi guardò e rise: “Non ci credo ma lo spero”.
Ciao Walter, stavolta mi permetto, dopo 30 anni, di darti del tu.