La Vigna Monumentale di San Martino. di Peppe Morra, un paradiso nel cuore di Napoli


Peppe Morra, il vignaiolo urbano visionario

di Giulia Cannada Bartoli

Il Corso Vittorio Emanuele, nel cuore di Napoli, si snoda per circa 4,5 km da Piedigrotta fino a Piazza Mazzini. Eccetto brevi tratti, non ci sono edifici sul lato del mare.
Già dal 1853, Ferdinando II ne preservò il meraviglioso paesaggio. Il Corso, considerato come la prima “tangenziale” della città, fu voluto proprio da Ferdinando II che lo commissionò a famosi progettisti, tra i quali, Enrico Alvino. L’obiettivo era collegare due aree della città poste agli antipodi e la parte bassa della città con il quartiere collinare del Vomero. La strada, inizialmente dedicata alla regina Maria Teresa, dopo il 1860, fu intitolata al sovrano Vittorio Emanuele II.
Oggi il Corso è caotico e molto affollato. Nel tratto mediano ospita due tra i grandi alberghi più belli della città, il Grand Hotel Parkers e il De Bonart Naples, Hilton Collection.

La Vigna sulla città

Quasi a piazza Mazzini, superato il Suor Orsola Benincasa, fantastico patrimonio architettonico e sede universitaria, al civico 340, nascosta da un anonimo cancello, si cela una delle meraviglie del mondo: la Vigna Monumentale di San Martino.

La vigna è, incredibilmente, la seconda per estensione in Europa, miracolosamente scampata alla devastazione edilizia.
Un luogo incantato: sono rimasta senza fiato, nessuno potrebbe immaginare che dietro un semplice cancello, la città smetta di essere accalcata e disordinata, per apparire all’improvviso in una dimensione inattesa e fantastica.
Una tenuta agricola di 7 ettari e mezzo, rimasta inalterata per oltre sei secoli, ai piedi della cinquecentesca fortezza di Castel Sant’Elmo e della Certosa di San Martino.

 

La Vigna ai piedi della Certosa di San Martino

Fondato nel 1325 da Carlo di Calabria, figlio di Roberto d’Angiò, questo straordinario complesso religioso ha attraversato sette secoli di storia, trasformandosi da severo monastero gotico in uno dei più raffinati esempi di arte barocca italiana.
Nel 1866, con la soppressione degli ordini religiosi, la Certosa viene trasformata in museo per volontà di Giuseppe Fiorelli. Da allora, il Museo di San Martino è diventato il custode privilegiato della storia e della cultura artistica napoletana, raccogliendo opere d’arte e manifatture tradizionali da tutto l’ex regno borbonico, assumendo fin dalla sua apertura al pubblico nel 1867 un ruolo fondamentale nella costruzione dell’identità napoletana e nazionale.
Il Museo Nazionale di San Martino costituisce la principale raccolta pubblica italiana dedicata al presepe napoletano, tipica produzione che ha raggiunto i più alti vertici di qualità tra Sette e Ottocento. La sezione presepiale, ubicata nella zona dove erano le cucine dell’antica Certosa, ruota intorno al grandioso presepe Cuciniello, ambientato in una finta grotta, e dotato di un impianto d’illuminazione che simula l’alternarsi di alba, giorno pieno, tramonto e notte. Il presepe prende nome da Michele Cuciniello, il collezionista che donò allo Stato la sua raccolta di circa ottocento tra pastori, animali e accessori, e che volle personalmente seguire la messa in scena e il montaggio dell’intero presepe, inaugurato nel 1879.

La salita verso il vigneto

Varcata la soglia del civico 340, ci si trova a percorrere gli stessi sentieri che i monaci della Certosa di San Martino dal 1300 in poi, hanno camminato, assorti nel silenzio e nella preghiera, diretti a quei fazzoletti di terra, terrazzati e divisi in agrumeti, vigneti, uliveti, boschi e orti, fonte di sostentamento oltre che di cura, grazie al lavoro degli speziali, abili conoscitori e trasformatori di erbe, fiori e radici. I monaci non si occupavano direttamente della vigna, la affittavano a coloni. Dalla fine del 1800 la famiglia Gnecca fece costruire anche alcune masserie rurali delle quali oggi, soltanto una è stata riattata e sopravvive. I resti in tufo fanno parte dello straordinario paesaggio di cui si gode durante la salita.

Peppe Morra, il Vesuvio, la lavanda e il mare

In una calda mattinata di novembre i profumi di tante erbe aromatiche, lavanda e rosmarino inebriano l’aria. Profumi di mare e macchia mediterranea, chi lo direbbe che siamo nel cuore della città?

Dal 1986 l’antico podere agricolo della certosa di San Martino è di proprietà di Giuseppe Morra, raffinato e sensibile uomo d’arte, gallerista e imprenditore napoletano dalla fine degli anni ’60. Morra si è dedicato a tempo pieno alla riqualificazione della tenuta.
Prima di lui, la proprietà è passata da alcune famiglie di privati (Mandara e Attanasio) che hanno posseduto la vigna alienata dallo Stato che,
l’aveva rilevata dalla Curia. Ultima proprietaria, la famiglia milanese dei Ceschina (proprietaria dal 1943), da cui l’architetto l’ha acquistata.

Morra ricorda: “Venni a sapere da un amico comune che la tenuta era in vendita.Incredulo, andai a incontrare la signora Ceschina, che mi disse… Architetto non ti preoccupare la vigna è tua! Vendetti tutto quello che avevo: la casa di Posillipo, la galleriad’arte in Via Calabritto e tante opere d’arte per mettere insieme la cifra necessaria. Da allora, la mia vita è interamente dedicata alla conservazione di questo posto. Il custode della Certosa di San Martino, a sera inoltrata, vedendomi ancora nel vigneto, mi diceva: oi Pè, vattenn’, a’ terra t’atterra!”
Io lo invitavo allora a scendere e a bere insieme un buon bicchiere di vino.”

Dal 2010 la Vigna di San Martino è diventata Monumento Nazionale per decreto del Ministero dei Beni Culturali, emesso su proposta della Sovraintendenza ai beni architettonici e paesaggistici di Napoli e provincia, un territorio agricolo urbano dichiarato “Bene di interesse storico artistico” che, su richiesta dello stesso proprietario, è entrato a far parte del patrimonio materiale e immateriale italiano,
proprio come una statua, una reggia o un’opera d’arte.

Il vigneto rigenerato

I vigneti, sparpagliati e non contigui, rappresentano circa la metà dei 7,5 ettari complessivi. Originariamente la coltivazione della vite era concentrata in un fazzoletto a pergola proprio ai piedi della Certosa. In quasi 40 anni poi, Peppe Morra con l’aiuto dell’insostituibile fattore Giovanni Santoro di origine quartese nei Campi Flegrei, ha realizzato nuovi impianti, sostituendo quelli di origine beneventana per fare spazio a quelli di matrice flegrea. La rigenerazione e propagazione è stata eseguita con l’antico sistema della “calatoia puteolana” che ha preservato l’origine a piede franco delle viti.

Durante la lenta passeggiata di oltre due ore, la bellezza dei luoghi si contrappone all’antropizzazione edilizia dilagante, riottosa componente del meraviglioso panorama che si gode dai sentieri e dai terrazzamenti creati dai monaci molti secoli fa.

San Martino, un’oasi tra i palazzi

Osservare, dall’alto degli uliveti e vigneti di San Martino, le strade e i palazzi di Napoli, con le stratificazioni urbanistiche verticali che si sono succedute dai greci fino a oggi, con la vista del Vesuvio, del porto di Napoli, di Capri, della collina di Posillipo, è un’esperienza di struggente bellezza. Incamminarsi lungo i sentieri e risalire i terrazzamenti creati dai monaci in un’epoca ormai dimenticata è come guardare due facce della stessa medaglia. Invece è una Napoli allo specchio: l’altra Napoli.

Il muro di cinta ottocentesco confina con l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa: accade spesso che, dal vigneto, s’intravedano studenti in pausa, affacciati sullo straordinario panorama.

Questa è una dimensione in cui la presenza di vigneti e uliveti centenari acquista un significato che supera la valenza storica, paesaggistica e produttiva, per toccare corde più profonde.
Grazie ad un salto tempo/spazio, si ricompone il vincolo ancestrale tra uomo e natura, restituendo ai luoghi l’essenza e la propria matrice rurale E’ questa la ragione per cui Peppe Morra ha dedicato la vita alla protezione di questo luogo: offrire un’opportunitànuova alla propria città, un’esperienza per accrescere il movimento per la difesa dell’ambiente e della bellezza, lontani da ogni considerazione di ricerca esasperata del profitto.

Peppe Morra e la sua ‘decrescita felice’

Qui s’impone una deviazione sulla filosofia che ispira l’architetto Morra. La decrescita, un concetto teorizzato da Serge Latouche (La decrescita felice) che propone la riduzione controllata dei consumi e della produzione, avvantaggiando il prendersi cura, l’armonia tra uomo e ambiente, il cui obiettivo non è il meno, ma il “meno quando è meglio”.
E’ la ricchezza di esperienze, di relazioni, vivendo insomma, della gioia del raccolto della terra e del benessere fisico che questo assicura. Per Morra, il nostro futuro sta nella ricostruzione dell’Uomo, del Tempo e della Gioia.
Nel borgo, non a caso, cilentano di Caggiano, la Fondazione Morra e l’Associazione per la Decrescita promuovono “Arte e Natura. La vitalità del decrescere”, un ciclo di incontri dedicato al rapporto tra arte, filosofia e sostenibilità. Qui filosofi, artisti e studiosi riflettono sul “vivere con meno”, sull’armonia con la natura e sul ruolo rigeneratore dell’arte. Caggiano diventa laboratorio di “buon vivere”, dove arte e natura si incontrano per immaginare un futuro più armonico. In questa logica, Morra ha anche preso il gestione la Locanda Severino già Stella Michelin, per trasformarla in un luogo di accoglienza, del buon cibo e del buon vino, a prezzi accessibili per tutti.

Peppe Morra si definisce un autodidatta, apprendista della Natura: già da bambino, invece di andare a scuola, preferiva correre dietro a lucertole, insetti, uccellini e farfalle. La sua famiglia possedeva alcuni terreni di quella che, una volta, era campagna nella zona di Salvator Rosa.

La pergola centenaria a piede franco di Catalanesca

Torniamo alla vigna: le varietà oggi presenti in vigna sono Piedirosso, Falanghina e Catalanesca (ultra centenaria e a piede franco) e si producono circa 4.000 litri di vino l’anno da bere con gli amici e con chi viene ad ammirare la tenuta. Solidi pali di castagno sostengono le vecchie viti, tra i filari solo vegetazione spontanea. Trattamenti naturali, l’approccio al vigneto è quasi biodinamico. La vinificazione è semplice e artigianale.

La Falanghina della Vigna di San Martino

Le bottiglie sono quelle del vino sfuso di una volta con il tappo a corona. Per assaggiarlo, niente calici da degustazione, ma semplici, vecchi bicchieri da osteria: seduti su una vecchia panca di legno, all’ombra della pergola, perdendosi in chiacchiere sui “massimi sistemi” con l’architetto vignaiolo e il suo amico fattore che, ancora, lo chiama “Don Pè”.

La vigna, quando Morra la comprò dalla signora Ceschina, era in stato d’abbandono,coperta di rovi, sterpaglie, alberi bruciati e materiale di risulta.
Fu necessario un enorme lavoro e tre anni di tempo per svelare l’antica opera dei monaci che per sei secoli l’avevano modellata con terrazzamenti, muri di contenimento, canalizzazioni per l’acqua e un sistema di sentieri.

L’uliveto di San Martino

Oltre le antiche vigne sono riemerse, centinaia di aranci, limoni, mandarini, e un’infinità difiori e erbe spontanee, di cui l’aria profuma ancora, probabilmente le stesse con cui i monaci preparavano medicamenti e amari.
L’altro punto di forza della tenuta, altrettanto monumentale, è l’uliveto: oltre 1500 piante, alcune centenarie, di ulivo, varietà frantoio, leccino e altre locali che sopravvivono da secoli.

Anche la Vigna di San Martino fa parte di quel meraviglioso territorio della provincia di Napoli che va dalla collina di Posillipo, passando per Marano di Napoli, Agnano, Pozzuoli, Quarto, Monte di Procida e Bacoli. Qui si produce vino e al tempo stesso si difende il paesaggio.
I viticoltori dei Campi Flegrei sono infatti straordinarie sentinelle di bellezza e biodiversità. Peppe Morra mi racconta di aver sempre nutrito una
simpatia particolare verso i Campi Flegrei e di aver conosciuto ed essere stato amico di Gennaro Martusciello.

La vecchia casa colonica di Zì Maria

La terra – mi racconta Morra – fino a qualche secolo fa, la coltivavano le donne, Zia Maria, l’ultima colona della famiglia Varriale, ha abitato nella tenuta fino a non molti anni fa. ‘A casa e zi’ Maria è l’unica rimasta in piedi: oggi viene usata per organizzare pranzi e cene di campagna con gli amici. Della
famiglia Varriale, i coloni originari della zona tra Chiaiano e Marano di Napoli, Luigi, classe 1960, ancora collabora nell’azienda agricola.

Ci si addentra lentamente, ascoltando i racconti di Peppe Morra, o, rimanendo in silenzio contemplativo davanti a un paesaggio incantato: vigneti, uliveti e mare blu a perdita d’occhio.

Rosa melograno

Durante la salita ci s’imbatte in profumati alberi di agrumi e antiche piante di bellissimi melograni che, a novembre, assumono un meraviglioso colore tra il rosa antico e il granato.

Il vigneto mediano è una meravigliosa pergola centenaria di Catalanesca a picco sul mare, seduti alla sua ombra, sembra di toccare il Vesuvio con mano.

La pergola e il mare

Mi viene da pensare che, nonostante tutto, in un mondo di guerre, votato al profitto e all’apparire, bisognerebbe ricordarsi più spesso che l’uomo vive di emozioni e della bellezza che nasce dai nostri sensi, che abbiamo il dovere di proteggere e conservare per le future generazioni.

La Vigna di San Martino, inserita nel Parco delle Colline Metropolitane di Napoli, è visitabile su appuntamento. Per precisa scelta, Giuseppe Morra, con l’aiuto delle due figlie Raffaella e Isabella e del poliedrico fattore Giovanni Santoro,(la sua famiglia allargata) ha deciso di non aprire la monumentale azienda agricola, al turismo di massa e alla “foodification” imperante che vorrebbe ogni esperienza tramutata esclusivamente in tour enogastronomico.

Peppe Morra con l’insostituibile fattore Giovanni Santoro, Flegreo doc

La falanghina che ho assaggiato con Peppe Morra e Giovanni Santoro, occhi neri, acuti, “da folletto metropolitano”, è semplice, fresca e dorata. “Qualche produttore flegreo voleva le nostre uve, ma la nostra Falanghina si beve solo qua!” Ai piedi della casa colonica c’è un forno per le pizze, naturalmente solo per gli amici.

Qui la Bellezza va vissuta intimamente e rispettata. La lenta salita, ipnotizzata da tanto splendore, è vero nutrimento per l’anima, in un minuto si passa dal caos cittadino al silenzio assoluto. Una giornata che mi sarà impossibile dimenticare, travolta da un’incredibile nostalgia.

 

Ph. Credit Salvatore Laporta

Vigna Monumentale di San Martino,
Corso Vittorio Emanuele 340, Napoli.
Per appuntamenti: [email protected]

8 Commenti

  1. Non “milionaria”ma agricola è la Napoli che ci piace.La terra ti atterra certamente ma parafrasando il grande Veronelli il vino di questa vigna unica e spettacolare più di tanti altri può essere definito il canto della terra verso il cielo.Bellissimo post che riconcilia noi Borbonici dalle brutture di via Caracciolo cui tutti speriamo si ponga al più presto rimedio.Ad maiora semper da FRANCESCO

  2. La descrizione di questa meraviglia innesca il desiderio di visitarla almeno una volta per annoverarla come una esperienza indimenticabile per un architetto ,artista e fotografo . Grazie anche a mio zio ing.Bruno Buonomo che mi ha fatto conoscere di persona l’ architetto Morra in occasione dell’evento recente,e
    ci ritroveremo accanto al famoso torchio tipografico donato alla fondazione Morra.

  3. Grazie mille, mi hai fatto ricordare quando da piccolo, nei primi anni 70, mio zio che abitava lì vicino mi portava su quei terrazzamenti. Uno spettacolo

  4. Grazie Peppe Morra per averci raccontato questa bella storia. non è una favola ma una realtà di cui ci è dato la possibilità di verificarne la grande bellezza .

  5. Io e i miei fratelli ci siamo nati [almeno uno ) Federico e cresciuti ..in questa meravigliosa…e unica realtà al centro di Napoli…e alla sol vedere le foto mi sono commosso…e i ricordi sono andati subito alla mia e nostra gioventù..e dei miei genitori…nonché della famiglia di Peppe…cresciuti ..e passati anni..insieme…un grande augurio….(mi commuovo))))

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