Pizzaioli e ristoratori alla sfida dei campi. Da Pietro Parisi a Valentino Tafuri, quando la cucina comincia dalla terra.


3 Voglie

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di Valerio Calabrese*

Da qualche anno, la cultura gastronomica in Italia ha assunto aspetti mainstream, è diventata, cioè, molto più diffusa e trasversale nella società.

Grazie alla popolarità crescente di chef, gastronomi e produttori, che hanno letteralmente invaso la tv e il web, oggi molte più persone conoscono la differenza tra un pomodoro San Marzano e uno del piennolo o tra un’alice di menaica e un’acciuga del Cantabrico. E, aldilà degli eccessi fisiologici – che hanno però contribuito al dilagare di mode e modelli alimentari spesso dannosi, e alla creazioni di quelle che, l’antropologo Marino Niola, chiama Tribù alimentari, spesso in guerra tra loro: vegani, sushisti, crudisti, no-carb e così via – quello che resta è una positiva crescente attenzione a ciò che mangiamo, a come viene prodotto il cibo e a chi ce lo prepara.

E se la domanda si qualifica sempre più, per la più elementare regola del mercato, ad essere premiato è chi propone un’offerta più ricercata, di qualità, attenta alle nuove tendenze del mercato, ma anche all’informazione e alla conoscenza dei molteplici aspetti del cibo.

3 Voglie

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Ma tra libri, corsi e full immersion per chef e addetti alla ristorazione, ciò che rimane e rimarrà sempre la migliore maestra per chi ha a che fare col cibo è la madre terra.

A capirlo, tra i primi, il cuoco-contadino Pietro Parisi, che da anni mette al centro della sua “politica gastronomica” i suoi piccoli produttori associati, facendoli conoscere e mostrandone le store, i volti e le mani segnate dalla fatica dei campi. Il suo Era Ora a Palma Campania o, ancora di più, Le cose buone di Nannina a San Gennaro Vesuviano, sono un altare della cultura contadina alle falde del Vesuvio. Segnali concreti di un nuovo rinascimento dei valori in cucina, di cui Carlin Petrini è stato senza dubbio il grande vate.

In questo solco – mai parola fu più efficace – nasce anche l’ultima sfida della pizzeria artigianale 3Voglie di Battipaglia, che ha come protagonista il grano, l’elemento che, insieme all’ulivo e alla vite, costituisce la “triade” simbolo della Dieta mediterranea, che poco più a sud, nel Cilento, ha visto la luce. “Abbiamo scelto di investire su questo ingrediente – ci racconta Valentino Tafuri, giovane pizzaiolo (27 anni appena) e anima del locale di famiglia – dedicandoci in prima persona alla sua semina, in un piccolo campo di 5.000 mq, a pochi chilometri dal nostro locale. Il grano che seminiamo appartiene alla varietà “Bologna”, un grano italiano certificato, prima di intraprendere la sfida dei grani antichi”.

Grano 'Bologna'

Grano ‘Bologna’

Coltivazione del grano

Coltivazione del grano

Coltivazione del grano

Coltivazione del grano

Coltivazione del grano

Coltivazione del grano

La lavorazione, nel rispetto della tradizione, avverrà rigorosamente a mano, dalla semina alla mietitura, fino alla trebbiatura. “Il nostro obiettivo – continua Tafuri – è quello di arrivare a produrre da settembre il 20% della farina che utilizziamo per i nostri impasti, nella duplice variante, tipo 1 e integrale”. Ma la semina del grano è solo l’inizio di una sfida più ampia, che consiste nel rendere la filiera dei prodotti sempre più corta. A partire da marzo, infatti, partirà anche la coltivazione del pomodoro tipo San Marzano, a cui si aggiungeranno ortaggi e verdure. Non è un caso, allora, che la giovane pizzeria di Battipaglia sia stata coinvolta da Slow Food per il progetto “10.000 Orti in Africa”, o la sua consolidata collaborazione con un’altra grande personalità della cucina contadina del Cilento, Giovanna Voria. E’, dunque, forse finito il tempo in cui il ristoratore doveva “soltanto” essere capace di girare per mercati ed acquistare il migliore prodotto. La nuova frontiera è quella del ristoratore-contadino, che si infila gli stivali e produce, per noi, i suoi prodotti. L’asticella è stata alzata, e ci piace così.

*Direttore Museo Vivente Dieta Mediteranea di Pioppi

 

2 Commenti

  1. Uno chef dovrebbe passare un anno in un’ azienda agricola per capire la stagionalità, il territorio, le eccellenze e il lavoro che c’è dietro. Solo così si può rispettare il lavoro di partenza prima che arriva in una cucina evitando così anche gli sprechi oltre alla conoscenza. Valentino ha capito tutto questo ed io ne sono felice. Bravissimo Vale, inizia tutto dalla terra, senza di essa non c’è vita.

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