Una giornata con l’anarchico costituzionale: il Re del Timorasso Walter Massa
di Giulia Gavagnin
La comunicazione del vino è difficilissima, quando dall’uomo si sposta alla bottiglia. Perché, banalmente, dietro alla maggior parte delle bottiglie, spesso l’uomo non c’è.
Diceva Veronelli che è meglio bere il peggior vino del contadino che il miglior vino industriale, e il senso della sua affermazione era esattamente questo.
Dietro a un vino artigianale ci sono uomini, dietro al vino industriale ci sono manager, spesso spersonalizzati da quell’humanitas che ci è molto cara.
Esecutori di protocolli, come in molti altri lavori che Marx avrebbe definito “di massa”.
E che succede, a proposito di Massa (..), quando ci s’imbatte in uno di quei contadini, homines pregni di humanitas al 100%, che oltre a fare un ottimo vino in una dimensione prettamente artigianale, hanno pure nobilitato un vitigno, uno di quelli che una volta erano utilizzati solo per il taglio, rendendolo (osiamo dire) il miglior vitigno a bacca bianca della sua regione?
D’accordo, su Walter Massa, il re del Timorasso dei Colli Tortonesi, si è scritto di tutto.
E’ facile scrivere su un uomo come lui: è un “personaggio”, un irregolare, uno di quelli adatti a essere raccontati in modo romanzato, con quelle suggestioni yankee a cavallo tra Hemingway e Bukowski. Un po’ spericolato alla Vasco, un po’ proletario chic alla Pellizza da Volpedo, salvo sorprenderci quando dice: “sono un estremista di centro”, praticamente un liberal vitaminizzato.
In una soleggiata e ventosa mattina di aprile ci accoglie, com’era prevedibile, sul trattore in mezzo a una delle sue vigne, in zona Montemarzino, intento a dissodare un filare. La sua figura smilza si staglia all’orizzonte, da lontano grida: “sono un contadino, cosa credete!”. E chi mai l’avrebbe dubitato.
I suoi cru di Timorasso, il Costa del Vento, il Montecitorio, lo Sterpi, sono talmente carichi di personalità da non lasciare dubbi sul lavoro svolto direttamente in vigna dal loro deus ex machina, unico signore e padrone.
Ognuno di questi si giova di un’esposizione differente che porta a lievi difformità di escursioni termiche, e l’acuto occhio indagatore del boss ne conosce ogni singola sfumatura.
Quando scende dal trattore, mi chiede: “cosa vuoi bere?”. Sarei stata tentata di dire “tutto”, ma manteniamoci nella decenza. “Montecitorio”.
Tra i cru di Massa, Montecitorio proviene da una singola vigna posta nel vigneto più in alto tra quelli dell’azienda, dove la matrice gessosa è preponderante. Se bevuto dopo qualche anno, sprigiona sentori di miele, frutta gialla e biancospino, ma è la peculiare acidità e la lieve pungenza a renderlo simile a un grande Chablis, pur con le dovute differenze di terroir. Costa del Vento, il suo cru probabilmente più celebre, vira più su note di frutta esotica. Montecitorio è il mio personale fuoriclasse: un vino unico che saprei riconoscere alla cieca su mille, in perfetto equilibrio tra mineralità e frutto, pur rischiando di attribuirgli note esotiche di “francesità”.
L’altro vino che scelgo è un Monleale, affidandomi a lui per l’annata.
La barbera è il vitigno storicamente più coltivato da queste parti, già dai tempi in cui i contadini erano perlopiù conferitori. Nei vitigni di Massa, 23 ettari in tutto, si coltivano anche croatina e freisa, ma il Monleale –barbera in purezza- è a mio avviso il vino più tipico del territorio, proveniente da uve di diversi vigneti.
E’ stato, peraltro, l’oggetto della sua prima vendemmia, nel 1978. Riferisco che ho avuto la fortuna di bere un Monleale ’78 presso la Locanda San Lorenzo di Puos d’Alpago (BL), poco tempo prima, e si è aperto un mondo, che è poi quello che ben conosco. Renzo Dal Farra, patron della Locanda, ad avviso di Massa è “il vero oste, uno dei migliori d’Italia”. Poi s’è parlato di grandi amici: Gianni Capovilla, il più grande distillatore d’Europa e Loris Follador di Casa Coste Piane, colui il quale ha fatto riscoprire la verità del Prosecco “col fondo”. Tutti, guardacaso, umanisti innovatori, primi a creare, che oggi vantano proseliti e imitatori.
Se non ci fosse stato Walter Massa, nessuno oggi avrebbe scommesso sul Timorasso. E non avevamo dubbi che lui si togliesse dalla Doc, lasciando a menzione del vitigno “Derthona”, antico toponimo di Tortona, giacché la verità risiede nelle radici. Del resto, il fascino di questi personaggi è quello di essere sempre “in direzione ostinata e contraria”, ad ammirare chi corre veloce da solo, senza omologarsi.
Così, quando stappiamo il Montecitorio 2017 davanti a un piatto di agnolotti, afferma: “guarda questo colore verde-oro, pensa ad Ayrton Senna che sfreccia con la bandiera del Brasile sulle spalle”. In effetti in questo vino senti il vento, e anche l’idrocarburo, una cosa di motori e velocità, come in un manifesto futurista dei primi del Novecento. E, in più, con una cosa da paradosso di Zenone: questo vino più invecchia, più sembra che prenda il volo, veloce.
Il quale, peraltro, regge benissimo anche un piatto di agnolotti: la mineralità gli conferisce una spalla decisiva.
Sarà merito del suo essere “estremista di centro”, in effetti, c’è un’armonia spontanea in ogni sua bottiglia. A un certo punto della conversazione cita quale suo modello Giuseppe di Vittorio, il politico di origine contadina che fu segretario della CGIL fino al ’57. Uno che si sporcava le mani per i diritti, quando i diritti erano una cosa seria e non capricci della contemporaneità. Per questo un viticoltore non può dirsi tale “se non si sporca le mani”, dice. “E lasciamo stare la politica attuale”.
Meglio, perché il vino seguente è il Monleale 2011, che avrà vita lunga almeno per altri quindici anni.
La barbera tortonese ha un carattere diverso da quella astigiana. La sua caratteristica è la “terra bagnata” con tratti torbati, di cui quella di Massa ha una concentrazione intensa, quasi crepuscolare, con note di caffè, cacao, qualche sentore di cuoio e frutta rossa sotto spirito. Un vino decisamente unico, che rimane teso e vibrante, con un centro di gravità permanente, forse grazie alla peculiare forma di estremismo di cui sopra.
Perfetto per il salame di queste zone, scuro e compatto. Magari quello del salamificio artigianale Corte di Brignano, insaporito con il vino rosso, che ho avuto la fortuna di acquistare.
Entrambi i vini avevano il tappo a sughero, curiosamente. Perché Massa, fa parte degli “svitati”, gli adepti dello Stelvin, che dal 2019 ormai applica a tutti i suoi vini. Una scelta ormai necessaria, che si scontra con i sostenitori della “ritualità” dell’apertura della bottiglia, perché il sughero, come tante altre cose non è più quello di una volta. Però, per fortuna a noi è andata bene.
Dopo aver scelto io cosa bere sceglie lui: Cerreta 2004. Blend di Barbera, Nebbiolo e Croatina che matura 24 mesi in barrique. Balsamico e speziato, necessiterebbe di altro salame che purtroppo è terminato.
Così, con il vento tra i capelli e il sole in fronte, ci rechiamo verso il landmark del territorio (solo dopo la cantina di Walter, ovviamente): il murales de Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, in centro a Volpedo, ca va sans dire.
E’ proprio la piazza del paese quella in cui il famoso dipinto fu ambientato, preceduto da due studi altrettanto celebri: Ambasciatori della fame e La Fiumana. Walter si diverte a posare davanti ai tre braccianti leader dell’opposizione pacifica, come fosse uno di loro.
In effetti, la sua rivoluzione da contadino illuminato l’ha fatta, e ha condiviso molte ragioni con Pellizza. Scrisse infatti il pittore: “la questione sociale s’impone.. anche l’arte non deve essere estranea a questo movimento”.
E così il vino, potremmo aggiungere.
Del resto, non è questo il senso della filosofia enoica di un produttore che chiama il proprio moscato “Anarchia costituzionale”?
Lunga vita a Walter Massa!
Vigneti Massa
Piazza Capsoni 10
15059 Monleale (AL)
0131 80302
Per una strana associazione mentale(Contadini Veronelli ecc )il personaggio che si auto definisce svitato mi rimanda alla Via dei canti di Bruce Chatwin.PS Al di là di ogni ben articolato Storytelling(complimenti davvero)ciò che poi alla fine conta è il grande vino che dal bicchiere arriva in “os veritatis”.Ad maiora semper da FRANCESCO