Vino e critica internazionale dopo Parker 11| Isabel Ferran (Francia/Spagna)


Isabel Ferran

Isabel Ferran

di Chiara Giorleo

Come sta evolvendo la comunicazione in Italia e all’estero? Come l’offerta formativa, oggi molto più ampia, può influire e sta influendo sul trend della comunicazione del vino, sempre più sofisticata e ancor più necessaria.

Oggi lo chiediamo a Isabel Ferran

Isabel si è laureata nel 2006 in Farmacia a Barcellona, sua città natale, dopo un Erasmus a Parigi. Ha lavorato come farmacista con specializzazione in microbiologia. Nel 2009 ha deciso di mollare lavoro, amore e le lezioni di tedesco per andare curiosare nella magistrale in viticultura ed enologia a Montpellier e poi ha scelto Udine per il secondo anno e la Master Thesis. A Udine ha lavorato con il Prof. Celotti Emilio, presidente SIVE, il quale le ha fatto scoprire tante regioni vitivinicole italiane. In seguito, è stata in giro per cantine in tutto il mondo (NZ Marlborough, Friuli Grave, Côtes du Rhône, Penedès-Cava…) fino a quando ha conosciuto il marito, francese, professore a Parigi e lo ha seguito proprio a Parigi dove ha lavorato come Responsabile Vini Italiani per Gilbert & Gaillard fino ad ora (ottobre 2017), il suo futuro lo scopriremo presto.

Come sei “inciampata” nel settore vino?

In Spagna, come 30 anni fa in Italia, il vino era un alimento della dieta mediterranea; ho sempre visto vini a tavola, i nonni avevano 4.5 ettari di vigneti, così come lo zio, e già da piccola mangiavo “pa amb vi i sucre” (pane bagnato con vino rosso e zucchero) per merenda. Poi a 16 anni il mio papà mi regalò un abbonamento al RACC (club automobilistico catalano) che prevedeva diversi tour per cantine in Catalogna. In seguito, nel corso del mio Erasmus come farmacista a Parigi sono finita nel Wine Club della facoltà perché c’è una gran cultura dell’associazionismo in Francia. Mi sono diplomata e ho iniziato a lavorare nel settore QC (Controllo Qualità) del laboratorio farmaceutico, cosi potevo pagarmi belle bottiglie e anche viaggiare… finché ho deciso di trasferirmi in Francia…

Come credi sia evoluta la critica negli ultimi 30 anni? E da chi hai imparato di più?

Devo dire che nel mio caso ho imparato tanto proprio dai produttori: diverse filosofie, tecnologie, stili e approcci senza segreti, mi hanno sempre aiutato a capire il perché di quello che sentivo nel bicchiere e il perché delle loro scelte quotidiane.

La critica è molto cambiata, in primis perché i critici del passato, come Robert Parker, venivano da settori professionali diversi (medici, avvocati, giornalisti, scrittori…): erano appassionati di vino ma senza formazione, quindi, secondo me, erano molto più propensi all’ascolto dei produttori da cui imparavano ed erano umili… davano soltanto un loro punto di vista, non si trattava certo di una verità assoluta, che tanto non esiste…

Il bello di oggi è che ci siano tante donne, tanti professionisti con formazione specifica del settore con una visione critica di base per discutere e valutare le cose.

Ho imparato anche molto delle persone con cui ho lavorato quando ero enologa in cantina condividendo esperienze con tanti giovani flying winemakers

Come reputi la diffusione e la comunicazione del vino italiano in Francia?

Bah, i francesi secondo me non hanno una visione cosi globale come altri paesi, vedi US, UK, Belgio, Svizzera, Canada. Loro bevono in primis vino francese perché secondo loro è il migliore al mondo… certo è che Sancerre, Champagne, Saint Joseph, Condrieu si producono esclusivamente qui… ma anche Hill of Grace esiste soltanto in Australia, Santa Carolina in Cile, Recaredo in Catalogna, Lacryma Christi in Italia. Io che sono specializzata in vini italiani ma che bevo tanti vini di tutto il mondo penso che i francesi non abbiano ancora aperto gli occhi, né educato il loro palato ad altre cose. Esiste una specie di protezionismo che però giocherà a sfavore dell’evoluzione dei produttori vitivinicoli francesi… dovrebbero sapere cosa succede in giro per il mondo… scoprire altri sapori per capire cosa piace ai consumatori di altri paesi… ecc.

È noto che sia molto migliorata l’offerta formativa a disposizione di coloro che vogliono formarsi sulla tecnica di degustazione, la sommellerie, la geografia del vino e tutto il resto. Come credi che questo stia incidendo e inciderà sul presente e sul futuro – nemmeno troppo remoto – della comunicazione del vino?

Nel mio caso, ho fatto la scelta di non seguire la formazione WSET anche con il sostegno dei miei capi che hanno preferito il modello di conoscenze che io avevo acquisito a Montpellier con il professore Alain Razungles.

Secondo me, non è una buona cosa che oggi tutti gli export e brand ambassador / manager devono avere almeno la certificazione WSET 3 per trovare lavoro…

Per me comporta una standardizzazione dei palati, la base è una tecnica certo, ma poi ognuno deve fare la sua strada e la sue esperienze. È molto più istruttivo visitare aziende che andare a corsi di formazione, meglio conoscere le persone perchè il loro savoir faire e i loro segreti, non sono scritti sui libri.

Io sono preoccupata per l’educazione al gusto di giovani e bambini, i consumatori del futuro… ma a dire il vero anche di quelli del presente come mio fratello che è un millennial. Sono cresciuti con la Coca Cola e adesso bevono Prosecco Extra Dry, Spritz o Gin Tonic, pieni di zucchero.

La dieta mediterranea, il piacere della cucina, il piccolo orto a casa… tutto ciò con cui sono cresciuta a Barcellona non esiste più. Dobbiamo fare lo sforzo di scegliere prodotti di qualità pieni di nutrienti e di sapori… per educare il palato dei nostri figli e delle generazione future. Io mi rendo conto, con mio marito francese, che i francesi hanno una preferenza per il dolce, gli spagnoli per il salato e in certe regione italiane per l’amaro e questo indubbiamente influenza il giudizio sui diversi prodotti in base alla propria nazionalità e dunque nasce così l’importanza che esista la critica internazionale, che quindi attinga da diverse nazionalità.

Per me, l’offerta formativa specifica di settore non è ancora cosi ricca come dovrebbe.

Quali sono i presupposti per l’indipendenza della critica enologica?

In primis, devono esserci l’onestà e la professionalità di ciascuno, poi uno deve lavorare pensando che non fa una recensione per se stesso, ma cerca di descrivere un prodotto per aiutare il consumatore a capire se con quella descrizione il vino sará di suo gusto o meno.

Non è facile però, c’è molta politica, specialmente in Italia e non solo; ci sono tanti inviti che io rifiuto per non dovere stare zita dopo: se sono una critica è per poter dire e scrivere quello che penso e sento. Invece i responsabili di PR, Responsabili della Comunicazione, brand ambassador etc. cercano di creare un vincolo con le loro aziende, cercano di farti avere dei campioni regalo, esulando dal contesto lavorativo.

Uno deve essere focalizzato e libero per poter fare questo lavoro, pur sapendo che potrà dire cose che non piaceranno a tutti.

Chi vedi nel futuro della critica enologica?

Non so cosa rispondere, mi piacerebbe pensare sommelier, enologi, appassionati, come adesso… più donne, più nazionalità, più scambi anche nell’ambito della critica stessa; è quello che adoro delle Anteprime Toscane: il livello di giornalisti e critici che ci sono e tra i quali spesso ci sono anche io!

Un consiglio per: i giovani che muovono oggi i primi passi lavorativi nel settore enoico, i consumatori più o meno appassionati, i colleghi.

Girare, assaggiare, bere, partecipare a piccole fiere che permettono di degustare grandi vini (penso per esempio al 17 settembre con il Barbaresco a Neive), leggere dei libri di critici su tematiche specifiche, fare tante degustazioni alla cieca anche per gioco… non perdere mai la curiosità e la voglia di migliorarsi.

Interviste precedenti
1-Alessandro Torcoli, Italia
2-Horia Hasnas, Romania
3-Cathy van Zyl, Sud Africa
4-Akihiko Yamamoto, Giappone
5- Arto Koskelo, Finlandia
6- Aldo Fiordelli, Italia
7 – Caro Maurer MW, Germania
8 – Madeline Puckette, USA
9 – Ned Goodwin MW, Australia
10| Alessandra Piubello, Italia