Lo strepitoso ritardo del marketing del vino italiano sulla pizza e viceversa


Il libro di Antonella Amodio

 

La cosa più straordinaria della vita è che non si finisce mai di apprendere. Per cui l’umanità si divide in chi sa poco e spiega tutto e in chi sa molto ma preferisce ascoltare. Far finta di sapere è poi il terzo atteggiamento, ed è proprio di chi ha alla base una insicurezza esistenziale e quindi tende a difendersi in questo modo.
Il primo atteggiamento è paradossalmente il più facile da sostenere perchè gran parte degli italiani sembra aver fatto proprio l’insegnamento di Berlusconi: se dici una cosa non vera con convinzione l’interlocutore finirà per crederci.
Queste considerazioni valgono per le persone singole, non per tutte ovviamente, ma anche per alcune categorie, quelle dei produttori di vino e dei pizzaioli per esempio.
I primi non hanno capito che hanno sotto il naso quel nuovo mercato di consumo interno che stanno cercando da sempre con improvvisate e spesso improbabili azioni di marketing.
I secondi invece pensano che si possano acquistare bottiglie di pregio senza avere qualificato personale in sala capace di spiegare quello che c’è in carta e quindi di venderle.

Abbinamento Pizza Vino

Eppure la tendenza c’è e non da oggi. Mi ricordo un post di Charles Scicolone con il Brunello di Montalcino abbinato ad una pizza margherita e confesso, erano dieci anni fa, che rimasi sorpreso perchè io stesso non ci avevo mai pensato, soggiogato dai pregiudizi della formidabile campagna lanciata dall’industria della birra dopo il 1986 e dai pregiudizi verso la pizzeria intesa come locale di fascia più bassa rispetto a trattorie e ristorante.
Nel corso degli ultimi anni qualcosa è radicalmente cambiato e ci sono stati anche segnali precisi, come il sostegno del Consorzio del Sannio alla guid apizzerie del Gambero, oppure del Consorzio del Prosecco e poi dell’Asti a 50 Top Pizza.
Ma al di là di questi gesti politico-commerciali, ci sono precise indicazioni che vengono dal mercato. Allegrio a Roma in via Veneto è parte di questa tendenza in corso, il che non vuol dire che è già così ovunque perchè è una tendenza, appunto. A Milano Confine ha una carta dei vini più grande della maggioranza degli stellati e senza limiti di spesa, Dry è famosa per vini e cocktail. A Napoli Diego Vitagliano ha tre locali con grandi carte dei vini e sommelier professionisti assunti, come del resto Ciro Oliva che ha fatto fare un corso Ais a un suo collaboratore. Le carte dei vini di Ciro Salvo e dei fratelli Salvo sono enormi e hanno anche la distribuzione a bicchiere grazie alle macchinette. I fratelli Martucci idem a Caserta. Tutto ciò sino a cinque, sei anni fa non esisteva. Fenomeno diffuso anche in provincia, penso a Gli Esposito e Giagù a Salerno o a Giuseppe Bove a Benevento e Roberta Esposito a Caserta. Ma a Roma Giancarlo Casa della Gatta Mangiona propone da tempo serate a base Champagne  come lo stesso Sant’Isidoro Pizza e Bolle  mentre a Fiumicino Luca Pezzetta nel suo Clementina ha una grande carta dei vini con inserimento di chicche francesi. A Firenze il Vecchio e il Mare ha allargato l’aria pizzeria e ha una ottima carta dei vini mentre in Veneto il grande Simone Padoan accoglie vini naturali del territorio adeguati alla sua proposta.
Ripeto, non vuol dire che ovunque sia così, ma che ci sia una tendenza netta e sempre più marcata ormai è inconfutabile. A questo aggiungo le pizzerie che si aprono negli alberghi. Ma anche la mixology è entrata di prepotenza dopo Dry a Milano o Baldoria a Madrid.
Questo perchè la pizzeria non è più il locale dove si spende poco, non è questione per  turisti.

Vino-e-pizza-alla-Diavola

Vino-e-pizza-alla-Diavola

Naturalmente siamo in Italia e in questo rapporto fra vino e pizza si evincono due tipici difetti nazionali sul piano commerciale
Il primo, da parte del mondo del vino, un certo conservatorismo psicologico. Avendo aperto per primo la strada al marketing agricolo moderno dopo lo scandalo del metanolo, il marketing delle aziende è rimasto attaccato ad una idea di comunicazione che il più delle volte non tiene conto che il consumo è radicalmente cambiato rispetto ai magnifici anni Novanta nei modi e negli strumenti di comunicazione.
Il secondo difetto, lato mondo pizza, è la superficialità commerciale di molti pizzaioli, perché sta affrontando questa domanda, che fa alzare notevolmente lo scontrino medio, senza porsi il problema che il pubblico del vino non è quello della birra, e che quindi si deve avere personale qualificato specifico e adeguatamente pagato per questo lavoro. La battuta più carina mi è stata riferita da un collega in una pizzeria visitata anonimamente in cui gli è stato proposto sulla pizza uno champignon!
Naturalmente stando a Napoli è più facile cogliere questi fenomeni. Oggi presentiamo il primo libro sull’abbinamento Cibo-Vino di Antonella Amodio che cura su questo sito una rubrica specifica ormai da tre anni. L’Ais Campania e l’Associazione Verace Pizza Napoletana hanno avviato una collaborazione per impostare metodologicamente il rapporto fra pizza e vino così come è stato fatto per il cibo che si tradurra in una reciproca formazione
Prima lo capiranno i produttori di vino meglio sarà per loro, visto che le pizzerie pagano alla consegna :-)

 

Un commento

  1. Gli “champignon”ci vanno benissimo sulla pizza ma personalmente da anni vado ripetendo che spumanti Martinotti o charmant che dir si voglia a base Falanghina o Aglianico come ad esempio il Quid di La Guardiense ci stanno alla grande su tanti tipi di pizza.Costano la metà delle birre artigianali ma regalano doppio piacere.FRANCESCO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.