Vino e critica internazionale dopo Parker 15| Nan-Young Baek (Corea)


Nan-Young Baek

Nan-Young Baek

di Chiara Giorleo

Come sta evolvendo la comunicazione in Italia e all’estero? Come l’offerta formativa, oggi molto più ampia, può influire e sta influendo sul trend della comunicazione del vino, sempre più sofisticata e ancor più necessaria. Continua la serie di interviste ai critici del vino in Italia e all’estero.

Oggi lo chiediamo a Nan-Young Baek.

Nan-Young Baek è coreana ma vive in Italia dal 2002. Nel 2005 ha conseguito il diploma a seguito del corso intensivo di Cucina Italiana e Pasticceria organizzato dall’Associazione Cuochi di Torino. Poi si è appassionata al mondo del vino italiano, cosi ha frequentato i corsi professionali da sommelier dell’AIS e ha ottenuto il relativo diploma di Sommelier. Da allora è coordinatrice e organizzatrice di tour per enoturisti coreani in particolare nelle Langhe, in Veneto, in Toscana e talora anche in altre regioni. Dal 2012, è giornalista ed editorialista per le riviste online coreane WineOk e The Scent, specializzate su vini e gastronomia. Gestisce anche un blog (Barbarolscuola) che tratta di enogastronomia e formaggi italiani. Infatti, parallelamente al vino, si è appassionata anche ai formaggi italiani, per cui ha frequentato il primo livello del corso organizzato dall’ONAF (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi) e nel 2016 ha ottenuto il diploma di Assaggiatore ONAF. È membro del Korean Wine Writers Club i cui membri hanno pubblicato un libro intitolato “The Wine Is” nel 2017. Da alcuni anni è giudice per concorsi vinicoli internazionali come Berliner Wine Trophy, Asia Wine Trophy, Selezione del Sindaco, Portugieser Du Monde e Emozioni dal Mondo: Cabernet e Merlot Insieme.

Come sei “inciampata” nel settore vino?
Mi è accaduto quasi per caso: non sono entrata nel mondo del vino per passione sin da bambina, come è successo a tanti colleghi italiani e sudcoreani. Fino al 2008 conoscevo poco il vino e bevevo soprattutto moscato dolce e lambrusco per le occasioni festive, anche se sin dal mio arrivo in Italia, nel 2002, occasionalmente ne ho degustato. Un giorno, un collega coreano di mio marito che è un grande appassionato di vino, mi ha detto “lei vive da anni in Piemonte, dove nascono vini importanti che fanno impazzire gli amanti del vino italiano. Come mai non le interessa il vino?”.  Con un po’ di umiliazione, ho iniziato a cercare informazioni sui vini, soprattutto quelli piemontesi, su internet. Che sorpresa nello scoprire che la storia millenaria e la cultura italiana sono integrate miracolosamente nella storia del vino italiano. Come la cucina, il vino rappresenta l’anima dell’Italia. Allora mi sono decisa a iscrivermi ai corsi professionali dell’AIS e, durante i tre corsi, ho imparato moltissimo sui vini autoctoni italiani, la tecnica della degustazione, gli alimenti e l’abbinamento base dei piatti principali con i vini.  Sono sicura di aver avuto la fortuna di prendere la strada giusta per entrare nel mondo del vino.

Come credi sia evoluta la critica negli ultimi (30) anni nel tuo paese di origine? E da chi hai imparato di più?
I Coreani hanno iniziato a bere seriamente il vino (prodotto con vitis vinifera) soltanto poco più di 30 anni fa. Prima il vino era bevuto solo dai ricchi ed era considerato un simbolo di ricchezza e potere. I vini più consumati erano francesi e la sede di Sopexa a Seul è stata pioniera nell’aver fatto conoscere il vino ai Coreani, assieme ai formaggi francesi. All’epoca gli studiosi che andavano ad imparare la cultura del vino all’estero si rivolgevano soprattutto alla Francia e agli Stati Uniti.

La nascita della critica deve aspettare la fine degli anni 90, periodo che coincide con la diffusione di internet. Cosi sono nate le prime riviste, prima cartacee e poi online, specializzate nel settore vino, di cui alcune sono ancora attive. Nonostante abbiamo iniziato a conoscere il vino molto recentemente, si registra una crescita notevole dei consumi e ormai i vini da tutto il mondo si fanno concorrenza sul mercato coreano. Le riviste hanno un ruolo molto importante nel fare conoscere i nuovi vini. In una nazione così dinamica, i giornalisti devono essere pronti (e lo sono) ad affrontare, imparare e divulgare le caratteristiche dei nuovi vini sotto tutti gli aspetti. Negli ultimi mesi, ad esempio, c’è una forte crescita dell’attenzione verso i vini naturali, e le riviste sono state pronte ad intervenire con un’introduzione generale segnalando di fare attenzione a non confondere i difetti del vino con particolari caratteristiche dei vini naturali.

Non ho delle icone o personaggi particolari da considerare specificamente come miei maestri. Siccome incontro diversi esperti nel settore del vino, parlando con loro approfondisco le mie nozioni e mi aggiorno sulle novità vitivinicole. Soprattutto incontro parecchi produttori del vino italiano e imparo moltissimo da loro. Da chi altro si può assorbire la conoscenza profonda sui segreti del vino se non dai produttori stessi?

Come reputi la diffusione e la comunicazione del vino italiano nel tuo paese di origine?
Alcuni vini italiani sono ben conosciuti in Corea. Tra i vini attualmente più amati ci sono: Barolo, Amarone, Brunello di Montalcino. Il moscato dolce ha avuto un ruolo trainante per la diffusione del vino Italiano in Corea in passato ma recentemente il consumo sta calando. Ci vogliono un po’ di numeri per capire meglio il mercato del vino in Corea. Nell’anno 2016, sono state importate 30.919 tonnellate di vino (pari a US$ 154.590.000). Quindi un coreano in media consuma circa 0,60 litri di vino all’anno. I coreani preferiscono i rossi (60%), seguiti dai bianchi (29,70%) e dagli spumanti (11%). Però il prezzo degli spumanti supera quello dei bianchi e il consumo di spumante sta crescendo velocemente.

Per i consumatori coreani, le difficoltà sui vini italiani stanno nella lingua italiana e nei vitigni autoctoni. I vitigni autoctoni hanno vantaggi e svantaggi. Un vantaggio è di regalare ai consumatori esperienze gusto-olfattive inconfondibili in un mondo del vino ormai monopolizato dai vini fatti con vitigni francesi. Come svantaggio, la difficoltà con la lingua fa faticare i consumatori nel riconoscere e ricordare i vini italiani. Siccome in Corea la cultura del vino è recente, la gente tende a scegliere vini con nomi facili e corti (sapete bene che invece spesso i nomi dei vitigni italiani sono lunghi), o assonanti con parole coreane. A volte, i consumatori scelgono il vino guardando solo il disegno dell’etichetta.

Siccome la storia del vino e della cultura italiana sono gli elementi che inizialmente mi hanno fatto appassionare, personalmente cerco di raccontare i vini italiani integrandoli con storie popolari, favole, luoghi noti, e l’etimologia dei vitigni. Credo che gli argomenti diventino così più accessibili per la gente che non conosce i vini italiani. La cucina italiana è molto amata in Corea, quindi descrivo il vino proprio portando esempi di piatti noti delle zone da dove provengono i vini. Anche i formaggi italiani (parmigiano, gorgonzola, pecorino e mozzarella…) potrebbero essere buoni esempi di abbinamenti nel parlare del vino.

È noto che sia molto migliorata l’offerta formativa a disposizione di coloro che vogliono formarsi sulla tecnica di degustazione, la sommellerie, la geografia del vino e tutto il resto. Come credi che questo stia incidendo e inciderà sul presente e sul futuro della comuniczione del vino?
Sì certo. Negli ultimi anni ho visto un enorme interesse per le iniziative enologiche. Partecipo spesso a serate e degustazioni, organizzate non solo per gli operatori ma anche per gli amatori. Questo fenomeno spiega che la gente inizia a capire i vini: non sono soltanto bevande alcoliche ma anche un mezzo di socializzazione.

Anche in Corea l’interesse verso il vino sta aumentando. I media e gli importatori organizzano spesso delle degustazioni e delle serate. Ormai non è difficile vedere gente bere vino anche in locali e ristoranti tradizionali.

La Corea è uno dei paesi al mondo con il più alto consumo di bevande con gradazione alta. Negli ultimi anni la gente sta sostituendo i superalcolici con il vino perchè il vino è più salutare, ovviamente se lo si consuma moderatamente. Inoltre il vino stimola la curiosità sulla cultura del paese d’origine e sul relativo terroir.

Quali sono i presupposti per l’indipendenza della critica enologica?
Questo argomento mi viene sempre in mente e sarà così per tutta la mia vita. Non riguarda solo la critica enologica, ma tutti i settori. Secondo me, ci sono due generi di indipendenza: l’indipendenza economica e quella mentale.

Pochi colleghi giornalisti coreani sono sotto contratto a tempo pieno. La maggioranza dei colleghi collabora senza retribuzione, oppure sono pagati veramente poco. Quindi la maggioranza dei colleghi ha un altro lavoro per potersi permettere di mantenere la passione per il vino e in Corea si consiglia di non lasciarlo se si vuole rimanere nel mondo del vino. Sono d’accordo al 100%.

L’indipendenza mentale: in Corea non è facile riuscire ad avere le vere e proprie generalità del vino italiano. Un importatore che arriva per primo in una zona pretende i migliori vini. Quindi quei primi vini spesso rappresentano il terroir in cui nascono i vini. Ovviamente sono produttori bravi e la qualità dei loro vini è buona senz’altro. Però, secondo me, un vino di un produttore non è sufficiente a rappresentare tutta una denominazione o un territorio. Bisogna provare parecchi vini di diversi produttori della stessa zona, ovvero della stessa denominazione. In questo senso, i giornalisti assumono una posizione molto importante, perché dovrebbero dare delle informazioni più generali.

Chi vedi nel futuro della critica enologica?
Inizio col dire che ormai molti blog sono diventati una specie di pagina Facebook con dei contenuti un po’ più lunghi e seri di quelli di Facebook, ma con lo stesso stile. Si trovano sempre più raramente blog con contenuti professionali e informativi. Tuttavia i giovani utenti sono già scappati via da Facebook e sono alloggiati su Instagram. Ma Instagram fa vedere solo immagini belle e sconvolgenti, con pochi commenti. Tutti e due sono contaminati da molta pubblicità. A breve ci sarà una nuova piattaforma che sostituirà questi social. Spero che questa nuova piattaforma darà più informazioni utili e non andrà a soddisfare solo il gusto estetico della gente o a seguire le mode.

È vero che la gente legge meno e lo so da anni. Però ci sono degli scrittori ben seguiti e i loro articoli sono amati da numerosi lettori. Ho paura a dire che parlare di vino (l’enologia, la viticultura, la tecnica sensoriale) e basta, ormai non sia tanto più attraente come una volta. Il vino è un settore flessibile e piace quasi a tutti. Il vino può integrarsi perfettamente con temi quali il cinema, la storia, la musica, l’arte e il turismo. Per esempio, ho scritto un articolo che presenta i vini di Noto (Sicilia) e parla del film Malèna in cui le scene sono state girate maggiormente nella provincia di Noto. Sono convinta che gli scrittori possano raccontare il vino mettendo insieme gli argomenti più seguiti.

Per questo motivo, più che indicare dei singoli critici, ritengo che, in generale, un futuro critico enologico debba essere una persona molto istruita che abbia più interessi su tutte le questioni di attualità e possa intrattenere il pubblico mescolando la sua capacità e le sue conoscenze multisettoriali.

Un consiglio per: i giovani che muovono oggi i primi passi lavorativi nel settore enoico, i consumatori più o meno appassionati, i colleghi.
Il vino è un mondo affascinante ma, per quanto riguarda la possibilità di trovare lavoro, non è un settore tanto positivo. Questa carenza del lavoro, in Italia, non si manifesta solo nel settore del vino ovviamente, ma riguarda un po’ tutti i settori. Se sei convinto di essere veramente appassionato del vino, si possono trovare possibilità di lavoro nei vari sotto-settori come l’enologia, la degustazione, la viticoltura, i laboratori sensoriali, il wine-marketing, il giornalismo, l’enoturismo e il commercio o come organizzatore di wine-event. Tutti noi lavoriamo in diversi posti e settori, ma siamo uniti sotto il nome del vino.

Riguardo ai consumatori, la cosa fondamentale è capire che anche bere il vino è una questione di cultura: si deve imparare a conoscerlo, ad apprezzarlo, a degustarlo, solo così il piacere del vino sarà di un livello superiore a quello portato dalla mera ubriachezza, che poi rischia di portare soltanto guai a se stessi e agli altri.

Interviste precedenti
1 Alessandro Torcoli, Italia
2 Horia Hasnas, Romania
3 Cathy van Zyl, Sud Africa
4  Akihiko Yamamoto, Giappone
5 Arto Koskelo, Finlandia
6  Aldo Fiordelli, Italia
7 Caro Maurer MW, Germania
8  Madeline Puckette, USA
9  Ned Goodwin MW, Australia
10 Alessandra Piubello, Italia
11  Isabel Ferran, Francia/Spagna
12 Bernardo Conticelli, Italia
13 -Asa Johansson, Svezia
14 – Gabrielle Vizzavona (Francia)