Vino e critica internazionale dopo Parker 16| Armando Castagno (Italia)


Armando Castagno

Armando Castagno

di Chiara Giorleo

Come sta evolvendo la comunicazione in Italia e all’estero? Come l’offerta formativa, oggi molto più ampia, può influire e sta influendo sul trend della comunicazione del vino, sempre più sofisticata e ancor più necessaria. Continua la serie di interviste ai critici del vino in Italia e all’estero.

Oggi lo chiediamo ad Armando Castagno.

Nato a Roma nel 1969, laureato in Giurisprudenza prima e con lode in Studi Storico-Artistici poi alla Sapienza di Roma, Armando Castagno ha scritto di sport dal 1986 al 2013 ed è nel mondo del vino da oltre venticinque anni.
Critico, storico dell’arte, scrittore, relatore e direttore di corsi di approfondimento sul vino in tutta Italia per l’Associazione Italiana Sommelier, della cui delegazione di Milano è attualmente socio, è stato per undici anni referente regionale della guida associativa e ha pubblicato oltre quaranta ampie monografie sulla rivista sociale a partire dal 2004; collabora oggi con diverse testate di settore. È professore a contratto presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, dove insegna Storia dell’Arte dei territori del vino e Geografia del Terroir.

Come sei “inciampato” nel settore vino?
Hai usato la parola giusta: inciampato. Ho comprato la Guida Veronelli 1994 nell’autunno del 1993 e mi si è – come si dice – aperto un mondo. Non avevo nessuna idea che il vino avesse dietro di sé un aspetto culturale di quella misura, e i vecchi testi di Veronelli, cui approdai poco dopo, avevano invece sempre battuto su quel tasto. Per almeno cinque anni non mi ha sfiorato l’idea di lavorarci, ma piano piano mi sono trovato in un vortice. Ho letto quel che ho trovato, e solo nel 1999 mi sono iscritto al corso AIS.

Come credi sia evoluta la critica negli ultimi 30 anni? E da chi hai imparato di più?
Sono convinto che la critica, in quanto tale, non esista. Esistono però i critici, individui singoli ognuno dei quali ha la sua gerarchia di valori molto relativa e personale, figlia della sua formazione innanzitutto, così come della formazione è figlio lo stile; ciascuno ha il suo modo di operare più o meno intransigente, a seconda delle aspettative economiche che ha, del suo grado di permeabilità, della sua vocazione all’indipendenza o alla riverenza. Ho imparato da molti, nel corso degli anni, da qualcuno ho anche desunto cosa non

Pensi che in Italia ci sia un deficit nella comunicazione dei prodotti enoici rispetto alle potenzialità delle risorse?
Non mi occupo di comunicazione pubblicitaria, non ne capisco nulla, quindi non saprei rispondere alla domanda. Sono peraltro sicuro che hai ragione quando parli di potenzialità enormi, ma piuttosto che convincere le persone grazie agli stratagemmi di comunicazione, spesso furbi e in qualche modo invadenti, io sono dell’idea che occorrano una informazione e una educazione più metodiche, più rispettose. Che partano da un concetto superiore dell’interlocutore che hanno di fronte, perché se uno è attratto dal vino, a mio giudizio, è già comunque da considerare predisposto alla coltivazione di aspetti culturali ed estetici complessi. Non è come il potenziale cliente di una ditta che fa detersivi.

È noto che sia molto migliorata l’offerta formativa a disposizione di coloro che vogliono formarsi sulla tecnica di degustazione, la sommellerie, la geografia del vino e tutto il resto. Come credi che questo stia incidendo e inciderà sul presente e sul futuro – nemmeno troppo remoto – della comunicazione del vino?
Sta incidendo e inciderà, ed è una buona cosa. Io però sono uno che tiene da oltre dodici anni seminari e corsi proprio su questi temi, quindi magari occorrerebbe chiederlo a chi li frequenta. Domandargli cosa ne ha tratto, che riflessioni, che mutamenti comportamentali nell’approccio al vino. Ho scritto, come sai, un volume ponderoso e costosissimo sul terroir della Borgogna, cioè proprio sulla sua geografia e non sulla sua antropologia o sul mondo produttivo, ed è andato esaurito in tre mesi. Abbiamo avuto solo cinque ordini superiori (di poco) alle 20 copie, il resto sono stati centinaia e centinaia di singoli lettori. Segno che in effetti la curiosità per questi aspetti del vino è diffusa, e forse dici bene: prima non era così. Di riflesso, la comunicazione del vino cambierà nel senso che la preparazione dei comunicatori dovrà essere più profonda, perché a un pubblico più preparato del doppio deve corrispondere un docente più preparato del quadruplo.

Quali sono i presupposti per l’indipendenza della critica enologica?
Primo tra tutti e di gran lunga il più importante, la refrattarietà all’idea di arricchirsi con questo lavoro. Il secondo presupposto, forse, è la mancanza di timori reverenziali e la capacità di tenere la distanza dal mondo della produzione, talvolta forse troppo promiscuo. Io le associazioni di giornalisti/critici e produttori, tutti insieme appassionatamente per “comunicare il prodotto italiano” le considero un letterale tradimento del lettore, peggiore ancora in quanto operato “alla luce del sole”, il che mostra che non ci si rende conto della gravità dell’idea di fondo. Il terzo è a mio avviso l’autorevolezza del giudizio, che porta a poter difendere un’opinione – anche la più netta – con argomenti consoni, dopo aver vagliato ogni aspetto, e soprattutto dopo averlo conosciuto. Stroncare o esaltare vini che non si conoscono a fondo è un’operazione che ha poco senso, perché il vino non è solo quello che sta nel bicchiere. Per questo sono sempre stato perplesso davanti alle degustazioni “alla cieca”: perché limitano il vino – e il giudizio sul vino – alla sua nuda performance. Il vino è molto d’altro, e spesso lo si può capire soltanto sapendo cosa sia e da dove venga. Se poi vi è chi nel mondo della critica si lascia “influenzare dall’etichetta” nel giudizio, c’è sempre la possibilità di cambiare mestiere.

Chi vedi nel futuro della critica enologica?
Non saprei fare nomi di mio, ma leggo moltissimo in giro e ho ammirazione per alcuni giovani scrittori. Preferirei però fare i nomi di tutti quelli che mi piacciono piuttosto che dimenticarne anche solo uno, quindi dammi un anno di tempo per raccogliere il materiale per rispondere.

Un consiglio per: i giovani che muovono oggi i primi passi lavorativi nel settore enoico, i consumatori più o meno appassionati, i colleghi.
Ai giovani che muovono i primi passi direi di contattarmi senza farsi problemi, sui social mi si trova; penso che i problemi che possano avere sono così tanti e così diversi che è inutile dare un consiglio secco e generico nello stile della Sibilla Cumana. Ai consumatori i consigli li do per mestiere ogni volta che scrivo qualcosa o scelgo i vini per una degustazione: è precisamente il mio lavoro, quello, e dovrebbe essere quello di qualunque critico, per come la vedo io. Ai colleghi semmai i consigli li chiedo, non li do. Infatti, finita l’intervista, te ne vorrei chiedere uno.

Interviste precedenti
1 Alessandro Torcoli, Italia
2 Horia Hasnas, Romania
3 Cathy van Zyl, Sud Africa
4  Akihiko Yamamoto, Giappone
5 Arto Koskelo, Finlandia
6  Aldo Fiordelli, Italia
7 Caro Maurer MW, Germania
8  Madeline Puckette, USA
9  Ned Goodwin MW, Australia
10 Alessandra Piubello, Italia
11  Isabel Ferran, Francia/Spagna
12 Bernardo Conticelli, Italia
13 -Asa Johansson, Svezia
14 – Gabrielle Vizzavona (Francia)
15 -Nan-Young Baek (Corea)

Un commento

  1. “Sono convinto che la critica, in quanto tale, non esista. Esistono però i critici, individui sinolo ognuno dei quali ha la sua gerarchia di valori molto relativa e personale, figlia della sua formazione innanzitutto, così come della formazione è figlio lo stile; ciascuno ha il suo modo di operare più o meno intransigente, a seconda delle aspettative economiche che ha, del suo grado di permeabilità, della sua vocazione all’INDIPENDENZA o alla riverenza”

    Quali sono i presupposti per l’INDINDIPENDENZA della critica enologica?
    “Primo tra tutti e di gran lunga il più importante, la refrattarietà all’idea di arricchirsi con questo lavoro. Il secondo presupposto, forse, è la mancanza di TIMORI REVERENZIALI e la capacità di tenere la distanza dal mondo della produzione, talvolta forse troppo promiscuo. Io le associazioni di giornalisti/critici e produttori, tutti insieme appassionatamente per “comunicare il prodotto italiano” le considero un letterale TRADIMENTO del LETTTORE, peggiore ancora in quanto operato “alla luce del sole”, il che mostra che non ci si rende conto della gravità dell’idea di fondo”
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    Condivido i concetti e le opinioni espresse in queste parole.
    Chiaramente, ogni testo può essere interpretato in vari modi e un’interpretazione potrebbe non collimare con le intenzioni di chi lo scrive.
    Onestamente allora dico che quelle parole le condivido anche se le intenzioni dell’autore “potrebbero” essere diverse.
    Alcuni di questi concetti, a modo mio, li ho più volte espressi su questo blog.
    Quante volte ho nominato la parola INDIPENDENZA?
    Ora, che un esperto, uno che è dentro il mondo della comunicazione del vino, dica certe cose mi fa un immenso piacere.
    E’ raro sentirle e perciò le ammiro.
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    Chi ha fatto o fa critiche …ai “crititici” e ai “food blogger”…viene “mal sopportato” o, in alcuni casi, censurato(mai in questo blog).

    Aggiungo qualcosa al bel discorso dell’esperto.
    Se molti food blogger che scrivono sui food blog lavorano nel marketing (e non lo nascondono) o fanno consulenze(e a volte lo nascondono) questo li rende poco credibili agli occhi di un lettore che non ha l’anello al naso.
    Anche gli enotecari che recensiscono vino o personaggi che fanno commercio online mi convincono poco.
    Dov’è è quell’indipendenza di cui tanto parliamo?
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    Ma il mondo del WEB, e specialmente quello dei SOCIAL, ha largamente attenuato il PENSIERO CRITICO dei cittadini che così sono più facilmente INFLUENZABILI dai Populisti della Politica e dagli INFLUENCER del Marketing che scrivono sul web.

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