Donne produttrici: il vino italiano al femminile 19| Vincenza Folgheretti


Vincenza Folgheretti

Vincenza Folgheretti

di Chiara Giorleo

Dopo una lunga serie sulle critiche di vino, il focus si sposta sulla produzione al femminile. Zone di ispirazione, stili produttivi e prospettive: ecco qual è l’approccio delle produttrici italiane.
Come membro dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino mi rivolgo alle produttrici di diverse regioni d’Italia per saperne di più.

Siciliana di nascita, toscana di adozione, Vincenza Folgheretti si laurea alla Facoltà di Viticoltura ed Enologia di Pisa nel 2008. Ha approfondito le sue conoscenze scientifiche conseguendo successivamente ulteriori due master: uno sulla “Gestione dell’Alta Qualità della Filiera Vitivinicola” e uno su “Bilancio e Amministrazione Aziendale”.

Prima di intraprendere la carriera come Enologo Consulente, ha lavorato per rinomate aziende del settore, sia in Italia che all’estero, arrivando fino in Nuova Zelanda.

Da enologo interno a direttore tecnico, con il tempo ha acquisito un bagaglio di esperienza e conoscenza tale che ha deciso poi di mettersi al servizio delle aziende. Sono numerose oggi le collaborazioni che ha all’attivo, incentrate principalmente in Toscana e in Friuli.

Collabora con l’Università di Pisa per la formazione professionale degli studenti, oltre ad avere l’incarico di membro esterno del comitato d’indirizzo del corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia.

È membro delle commissioni di degustazione per l’attribuzione delle Doc e Docg per 3 province della Regione Toscana, vice-presidente del “Comitato Regionale Assoenologi Toscana” e Consigliere Provinciale del “Collegio dei Periti Agrari di Grosseto”.

Giudice e membro ufficiale di diversi concorsi enologici nazionali ed internazionali e si occupa della stesura di articoli tecnici per importanti riviste di settore, una delle quali la rivista de “I Grandi Vini”.

È stata scelta come una delle più importanti Donne della Toscana nel libro “Donne del Vino della Toscana” scritto da Nadia Fondelli e Roberta Capanni.

Ha inoltre personalmente curato la parte tecnico enologica per la realizzazione del libro “Italian Wines, I fondamentali per capire il vino”, scritto da Stefano Quaglierini.

È stata vice-delegata delle Donne del Vino della Toscana e oggi è anche titolare di un’azienda vitivinicola con sede in Toscana.

Quando e come hai iniziato a fare vino?

Ho iniziato a fare vino per sfida, dopo che mi è stato detto che, in quanto donna, non avrei mai fatto strada in questo settore. Per me era inaccettabile una cosa del genere e avevo promesso a me stessa che ce l’avrei fatta.
Sicuramente non è stato semplice, soprattutto per chi come me non ha mai avuto un “maestro” che in qualche modo segnasse il percorso. Ho dovuto letteralmente imparare tutto da sola, nel bene e nel male, e questo oggi è diventato un mio grandissimo punto di forza. Ho dovuto assumermi grosse responsabilità, ma soprattutto ho dovuto mantenere una mente aperta a 360 gradi che mi ha consentito di conoscere molto di più di quello che è solo “fare vino”, diventando per le mie aziende oggi un importante valore aggiunto.

Quali sono i tuoi riferimenti o le tue zone di ispirazione in Italia e all’estero?

Non è semplice dare una risposta a questa domanda, ogni territorio, nelle sue forme più peculiari e di espressione, può essere una zona di ispirazione, anche se per me non è tanto cercare un territorio che possa ispirarmi ma trovare la chiave di lettura del territorio dove in quel momento sto operando o comunque dove andrò ad operare. Noi non possiamo costruire i vini secondo la nostra ispirazione, il ruolo dell’enologo è quello di accompagnare i vini durante tutto il loro percorso e nella loro evoluzione a partire dall’uva e, ancor prima, dall’impianto del vigneto, perché è l’uva la reale espressione del territorio ed è su quello che dobbiamo focalizzarci.

Credi che lo stile produttivo possa cambiare tra uomo e donna?

Io credo che sia principalmente questione di sensibilità. Cerco di spiegarmi meglio. È risaputo che noi donne abbiamo un olfatto molto più sensibile rispetto a quello dell’uomo e questo ci consente, con un naso allenato ovviamente, di percepire alcune caratteristiche che l’uomo non riesce a captare. Quando si parla però di “fare vino” cambia completamente il discorso, perché in quel caso entrano in gioco tanti altri fattori, non soltanto quelli gustativi ma di approccio, di conoscenza e di esperienza. Ricordiamoci che è più difficile fare un vino straordinariamente identitario che tecnicamente perfetto e questo non ha nulla a che vedere con il gender.

Qual è la tua firma stilistica?

Non mi piace parlare di firma stilistica. Non ho una firma stilistica, perlomeno mi auguro di non averla. Se nei miei vini si sente la mia “firma” è evidente che sto sbagliando qualcosa. Come dicevo prima, dobbiamo focalizzarci sull’uva e cercare di ottenere il massimo del risultato. Se “firmo” i miei vini, significa che li sto costruendo.
Se poi mi chiedi quale deve essere il caraterete distintivo di un vino sul quale non scendo a compromessi,indiscutibilmente finezza ed eleganza, che in un’unica parola significa emozione. E cosa c’è di più emozionante che riuscire a sentire in un vino la sua vera identità.

Quali sono le maggiori difficoltà nel fare vino in Italia oggi? E quali i vantaggi?

Io partirei subito dai vantaggi. Abbiamo una ricchezza ampelografica invidiata da tutto il mondo. Non esiste Paese che può vantare una così tale ricchezza.  Basti pensare che solo nel 2019, in Italia, sono state registrate circa 545 varietà autoctone. E poi abbiamo la nostra diversità pedoclimatica. L’Italia e lunga, da nord a sud c’è letteralmente un mondo, con territori, climi, microclimi completamente diversi da un posto a l’altro, che danno risultati completamente diversi.
Fare vino nel nostro Paese è qualcosa di veramente straordinario e per me, enologa, è entusiasmo e sfida allo stato puro.
Uno svantaggio, la scarsa capacità di noi italiani di saper comunicare il reale valore del nostro Paese in termini di ricchezza vitivinicola, ma piano piano stiamo cominciando ad imparare.

In che direzione sta andando il vino italiano secondo te?

Beh, su questo argomento c’è veramente tanto da dire, considerando soprattutto i fatti degli ultimi anni, sia a livello economico che ambientale.
La pandemia ha messo sicuramente a dura prova tutto il comparto, creando da un lato un inevitabile calo dei consumi, dall’altro un “effetto resilienza” che ha portato le aziende a mettersi in una posizione completamente diversa rispetto alla consuetudine, accelerando, se vogliamo, anche l’ampliamento di canali che probabilmente avrebbero impiegato più tempo a svilupparsi.
Ci stiamo inoltre confrontando oggi con un inesorabile aumento dei prezzi delle materie prime, che ovviamente va incidere sul prezzo finale della bottiglia e si sa che un aumento di prezzi, soprattutto quando si parla di vino, viene sempre mal digerito dal mercato.
Altro aspetto importante, che non possiamo assolutamente trascurare, sono ovviamente i cambiamenti climatici, sui quali non abbiamo alcun potere, se non quello di rivedere in nostro modo di fare vino e soprattutto l’approccio in vigna, che deve decisamente essere più rispettoso e sostenibile e su questo stiamo lavorando molto.
Oggi Italia e Spagna sono i Paesi “più sostenibili” in termini di certificazioni e questo sicuramente gioca a nostro favore soprattutto agli occhi del mercato estero.

 

Critiche e degustatrici: il vino italiano al femminile 1| Stefania Vinciguerra

Critiche e degustatrici: il vino italiano al femminile 2| Cristiana Lauro

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